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Università di Pisa: è il momento di aprire nuove vertenze sociali

 

Università di Pisa: è il momento di aprire nuove vertenze sociali

L’assemblea d’Ateneo del 16 Aprile ha fatto emergere un punto di vista collettivo e di parte sulla crisi di sistema che attraversiamo. Questa ha profondamente mutato in questi anni la nostra condizione e i nostri comportamenti in quanto soggetti in formazione.

Un decennio di attacchi ai diritti e alle garanzie della soggettività studentesca, alla sua identità sociale ha incrinato drammaticamente per un’intera generazione le prospettive emancipative entro un quadro di compatibilità con il sistema.

La rottura di un sistema di messa a valore di capacità, conoscenze e saperi garantito dall'”Università pubblica” ha prodotto, sulle macerie di questa, la nostra dispersione in contesti fatti di precarietà e impoverimento, costruendo nuova violenza e nuovi profitti responsabili della nostra esclusione sociale.

In questo nuovo scenario l’università diventa un costo sociale eccessivo, da ridimensionare e allo stesso tempo si configura come un nuovo terreno in cui per il capitale è possibile espandersi nel verso di una rapina di capacità e conoscenze senza garantire a noi stessi però alcuna contropartita. 40% di disoccupazione giovanile, una vera e propria bolla formativa, che neanche il più bieco tentativo di falsificazione delle statistiche riesce a contenere: l’università, per chi la fa e la produce, non è un ascensore sociale.

I nostri percorsi di studio si strutturano sul ricatto della competitività tra accreditamento e merito stimolando la nostra produttività, ma, allo stesso tempo, non garantiscono per noi nulla né in termini di reddito né tanto meno in termini di dignità. Un’insoddisfazione crescente caratterizza la nostra routine studentesca scomponendola in una normalità insopportabile fatta di lavoro e reddito intermittente, precarietà e ritmi di studio ingestibili.

Chiunque continui a chiederci ulteriori sacrifici accomodandosi su una direzione secondo la quale la crisi colpisce tutti e pertanto socialmente bisogna accollarsi i costi di questa – quasi non ci fossero responsabili – è direttamente contrapposto a noi, che vogliamo iniziare a rifiutare un destino già scritto fatto di precarietà a vita. In questo senso pensiamo che le politiche di dimagrimento dell’università pubblica, della sua disarticolazione, non attacchino soltanto un sistema di garanzie studentesche ma, in maniera più profonda, minino la stessa possibilità di riproduzione ed emancipazione sociale di un’intera generazione, asservendola a una logica di sfruttamento.

Riscattarci da questa condizione significa direttamente per noi aprire, anche nel campo dei saperi e di questa università in trasformazione, nuovi spazi di vertenza sociale sul piano della riappropriazione di reddito.

Laddove la governance universitaria dentro la crisi dell’austerità prova a far cassa chiudendo i nostri luoghi di studio, noi iniziamo ad opporci riaprendoli.
Dove il diritto allo studio, con il decreto Profumo, diventa competitività e corsa all’accreditamento per aumentare la nostra produttività strappandoci ulteriore redditto e garanzie, noi iniziamo ad opporci costruendo cooperazione e rigettando la possibilità stessa del binomio merito/esclusione. Dove le riforme, con i criteri AVA, traducono la logica della competitività e dell’attrattività di capitali sul piano istituzionale dei corsi di studio creando ulteriore selezione e riduzione dell’accesso, noi affermiamo che le nostre capacità non sono oggetto né di valutazione né di mercificazione ma sono la risorsa prima per costruire il nostro presente.

Per questo, partendo da queste nostre condizioni comuni, con l’assemblea d’ateneo abbiamo riaperto uno stabile abbandonato dell’Università di Pisa: Palazzo Feroci.
Questa occupazione esprime, qui ed ora, una nuova tendenza alla riappropriazione, che sostituisce al lamento, alla rassegnazione ed infine all’impotenza con cui spesso viene rappresentata la nostra condizione, il bisogno di riscatto sociale di coloro che non accettano più di essere sottomessi. Segna anche una discontinuità, praticando una nuova contrapposizione all’attuale stagione di tagli ed impoverimento della formazione pubblica.

Questa occupazione è quindi un passaggio ed una tappa necessaria, affinchè si aprano – e si vincano – decine di lotte e vertenze. Da quelle dei pendolari, a quelle contro la chiusura di corsi didattici ritenuti “improduttivi” o rimossi dal blocco dei turn over, fino a quelle sul welfare studentesco.

Per questo nasce “spot”, uno spazio in cui studenti e studentesse decidono di non accettare quella retorica dei sacrifici per cui “la mancanza di risorse” viene interamente scaricata su chi questa università, materialmente e culturalmente, la produce.

Le risorse ci sono, basta sottrarle dai piani di alienazione, dalla rendita finanziaria ed immobiliare, dai profitti delle aziende che invasivamente catturano i nostri percorsi di studi con stage e tirocini gratuiti o sottopagati.

L’Università di Pisa dismette e svende ma noi intendiamo riappropriarci di quanto ci viene sottratto perché il terreno della riconquista di reddito diventi uno spazio di resistenza e di ricomposizione sociale per un’intera generazione espropriata di futuro.

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