Uno sguardo sul ’12 marzo’ torinese
In una commistione piuttosto disorganica di patriottismo, giustizialismo, perbenismo e sussulti di indignazione vari si è dato questo tentativo di emulazione della sicuramente meglio riuscita manifestazione del 13 febbraio dal nome “Se non ora quando?”. La giornata di oggi ha visto a Torino una partecipazione visibilmente minore, intorno al migliaio di persone (stimate per eccesso) in confronto con le molte decine di migliaia di quella precedente ed una composizione piuttosto diversa da quella che aveva attraversato il 13 febbraio. Moltissima società civile, molti quadri sindacali e di partito, poca gente comune e neanche l’ombra di un giovane.
Come mai questa sostanziale differenza con la scorsa iniziativa lanciata dalla stessa santa alleanza antiberlusconiana? Come mai questo calo di partecipazione e soprattutto questo cambiamento di composizione?
E’ importante indagare queste novità per avere anche un termometro reale del senso comune che aleggia nelle piazze del nostro paese.
Innanzi tutto sono cambiate tra il 13 febbraio ed oggi le parole d’ordine che hanno caratterizzato l’iniziativa. Mentre in quella giornata si faceva leva sull’indignazione popolare verso le gesta sessuali del Cavaliere, utilizzando un bacino di disagio reale che si sta diffondendo in Italia con l’aggravarsi degli effetti sul quotidiano della crisi, oggi a tenere banco erano le parole chiave “costituzione” e “formazione”.
Il tentativo piuttosto grossolano era quello di raccogliere le istanze che in questi mesi hanno attraversato il mondo della scuola e dell’università e di incanalarle dentro una difesa della formazione come cosa pubblica. Ma su più piani i conti sono stati fatti male.
La costituzione e la sua difesa sono come non mai lontane dalle esigenze reali che si fanno spazio in questo paese. Solo un certo tipo di società civile coglie lo stimolo, tutto strumentale e funzionale nel fare propria questa istanza.
Anche la formazione come parola chiave trova un tiepido se non gelato pubblico (mai attore). In questi tre anni di movimento di opposizione alla riforma Gelmini gli studenti sono andati ben oltre una volontà di difesa ideologica del pubblico o di conservazione della scuola e dell’università così com’è. Hanno imparato a declinare il segno politico che prende l’istruzione dentro le logiche di mercato, hanno capito come questo segno sia tutt’altro che neutro. Neanche gli attori più allineati del movimento studentesco hanno voluto mettere il proprio volto in gioco in questa piazza.
Insomma il tentativo di utilizzare delle istanze collettive in prospettive utili a questa casta nella casta non è riuscita nello scontrarsi con un soggetto organizzato come quello studentesco, che non è sceso in piazza in questa occasione o dove è sceso in Italia ha caratterizzato in maniera completamente diversa e con istanze reali la giornata capovolgendone il senso.
Il gioco riuscito il tredici grazie anche al filo teso tra la cacciata dei raiss e la figura di Berlusconi sconta la differenza di campo su cui è stata preparata questa giornata.
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