Up yours!
Occupato, letteralmente. Camminando per le strade del centro, oggi, la città della finanza e dello shopping sembrava essere diventata di colpo una nave da crociera dirottata dai pirati. Il gruppo UKuncut, che da mesi denuncia le corporation inglesi che evadono miliardi di tasse, ha condotto un’attacco coordinato e straordinariamente efficace ai negozi di proprietà degli evasori. Topshop, la superboutique della moda giovane, Boots, il gigante della farmaceutica di massa, e la compagnia telefonica Vodafone hanno visto i loro negozi del centro occupati da folle di dimostranti. Uno dopo l’altro, tutti i negozi attaccati hanno chiuso i battenti per il resto della giornata. Il colpo di classe, però, si è avuto soltanto nel primo pomeriggio, quando da Oxford Circus una decina di migliaia di persone si sono divise in quattro gruppi e con la rapidità di un commando hanno fatto simultaneamente irruzione nel palazzo che ospita i magazzini di lusso di Fortnum and Mason.
Al grido di ‘pay your taxes’ (pagate le tasse) e ‘shove your royal wedding up your ass’ (mettetevi il matrimonio reale su per il culo) i quattro piani di Fortnum and Mason sono stati rapidamente trasformati in un’enorme assemblea popolare, in mezzo a pacchetti di cioccolatini che volavano da tutte le parti, barattoli di marmellata che sparivano negli zaini e bottiglie di champagne aperte per l’occasione e distribuite agli occupanti. Mentre il grosso della manifestazione confluiva verso Hide Park per seguire i comizi, dozzine di ‘cellule’ da un migliaio di persone l’una si andavano a posizionare a ogni angolo del West End della città. La Porsche è stata oggetto dell’attenzione di alcune di queste ‘cellule’, che hanno sfasciato le vetrine di una delle sue concessionarie, e poi la Barclays bank, che ha perso un paio delle sue succursali, la HSBC bank, la Lloyds bank, Santander bank e infine, dulcis in fundo, il celeberrimo hotel Ritz, le cui cinque stelle extralusso sono state coperte dai frantumi delle vetrate, secchiate di vernice e da una gradinata di fumogeni.
E in tutto questo, la polizia? Il presidente della federazione della Metropolitan Police, Peter Smyth, intervistato poco prima della manifestazione, aveva ammesso senza indugi che parecchi poliziotti non in servizio quel giorno si sarebbero uniti alla protesta in difesa della spesa pubblica e di quel che rimane del welfare. ‘Questa volta, i poliziotti e i sindacati hanno una causa in comune’, aveva concluso. Dall’interno dei magazzini di Fortnum and Mason, mentre gli anarchici incappucciati condividevano i cioccolatini ‘espropriati’ con i poliziotti presenti, ho avuto anch’io questa impressione. Parlando con gli agenti in tenuta antisommossa, la risposta più comune che ho ricevuto alla mia domanda ‘Voi che ne pensate?’ è stata ‘Non farmi parlare, va’. Noi poliziotti non abbiamo nemmeno un sindacato, non possiamo manco scioperare. Fuori dalla divisa, siamo dalla vostra parte. Scusateci se oggi siamo qui con gli scudi.’ In tutta la mia vita, nessun poliziotto mi aveva mai chiesto scusa di nulla. Fuori dai magazzini occupati, però, la situazione era piuttosto diversa. Più di 5,000 black bloc – numeri che non si vedevano da Rostock – si divertivano a giocare a gatto e topo con il distaccamento di polizia nella strada. I caschi della Met Police arretravano, si chiudevano a guscio, si facevano mettere sotto kettle da quegli stessi ragazzi incappucciati che per mesi e anni hanno subito le angherie di questi presunti ‘figli dei proletari’ armati di manganello e taser. Solidarietà, ok, ma fino a un certo punto. Certi conti in sospeso non si chiudono con delle semplici scuse.
Mentre il suono degli scontri, degli elicotteri, degli slogan e dei sound system portatili si mescolavano in un unico muggito che sapeva di democrazia, ho ripercorso al contrario la strada che mi avrebbe portato alla stazione di Charing Cross e al treno verso casa. Vivo in questa città da anni, ho percorso centinaia di volte quelle strade, ma mai mi era capitato di farlo in un universo parallelo. Quando i ragazzi gridavano ‘occupiamo tutto!’, non stavano scherzando. Oxford Street, Piccadilly Circus, Haymarket, Leicester Square… Tutto il centro era un’enorme zona temporaneamente autonoma. Alla fine di Regent’s Street, tra il megastore della Nike e quello della Benetton, un enorme cavallo di stoffa e legno alto cinque metri, costruito dall’auto-proclamato ‘Braccio Armato della TUC’, veniva incendiato tra i canti della folla. Dieci minuti dopo, le barricate di Jeremyn street venivano date alle fiamme.
Mi faccio strada tra pali divelti, samba bands e mamme che portano a spasso bandiere anarchiche attaccate ai passeggini, e raggiungo Trafalgar Square. Altre migliaia di manifestanti. ‘We are everywhere!’ La gente apre le tende, accende i fuochi, si prepara per la notte. Una signora di mezza età cerca di insegnare con scarso successo agli astanti un canto in arabo, ‘Trasformiamo Trafalgare Square in Piazza Tharir!’. Lo spirito è quello. Un anziano signore prende in mano il microfono da mc di un sound system portatile e dice ‘Voglio ringraziare gli studenti, senza le vostre riot di novembre noi non ci saremmo mai svegliati!’ In un angolo, dei ragazzi organizzano le munizioni: mattoni, sanpietrini, bottiglie incendiarie. La polizia inizia a accerchiare la piazza. Tre uomini in sedia a rotelle scoppiano a ridere contemporaneamente e si passano una birra. L’atmosfera è surreale, quasi ipnotica. Mi chiedo, è così che sembrerà? Quando tutto scoppierà veramente, è così che sembrerà? O è tutto già iniziato a scoppiare? Il sole scende sull’orizzonte, la piazza si tinge di rosso. Guardo il tramonto, incredulo. Sembra l’alba.
Federico Campagna
26 Marzo 2011, London
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