Usa, povertà vecchia e nuova
Mercati in picchiata, dibattito sul deficit, agenzie di rating che squalificano l’economia: gli ingredienti per parlare di ‘nuova povertà’ negli Stati Uniti ci sono tutti. Nonostante la loro esistenza ben prima di queste avvisaglie di recessione, tuttavia, dei vecchi poveri americani non si sta facendo carico ancora nessuno. Ma se ne comincia a parlare, con maggiore insistenza e attenzione.
Dagli ambienti degli addetti ai lavori – servizi sociali, chiesa, associazionismo – la cerchia delle conversazioni si sta ampliando, e il dibattito sulla povertà (37,3 milioni di persone vivono sotto la soglia dell’indigenza) rischia per la prima volta di investire la politica, se non anche l’interesse dei giornalisti.
Due individui, Tavis Smiley (presentatore radio-televisivo) e Cornel West (docente alla Princeton University) hanno compiuto un tour negli Usa raccogliendo le storie di famiglie che lottano contro la povertà, esortando al contempo Obama e altri politici a mettere in agenda la questione prima delle elezioni del 2012.
Oltre 46 milioni di persone vivono di assegni per gli alimenti, 14 milioni sono disoccupati, altre decine sotto-occupati. Neri e ispanici hanno perso rispettivamente il 55 e il 66 percento della loro ricchezza dal 2009 a oggi. Smiley e West hanno intervistato nativi americani così poveri da non essere neppure sfiorati dalla recessione.
“Abbiamo visto un numero infinito di persone che facevano parte dalla classe media, e che adesso sono diventati poveri, dall’oggi al domani”, dicono i due, che porteranno il dibattito sulla povertà nel programma della radio pubblica americana che prende il nome dei ricercatori, ‘Smiley and West’.
Tutti gli occhi sono puntati sul super-comitato di 12 legislatori – equamente divisi tra Democratici e Repubblicani – che ha iniziato da poco a lavorare a un piano di tagli di 1.500 miliardi di dollari. Si prevedono interventi pesanti su assistenza all’infanzia, sanità, social security, programmi di alimentazione per bambini e anziani, case popolari, assegni alimentari e istruzione. Tutto il welfare, praticamente. Come al solito, in un parallelismo fino troppo familiare con il nostro Paese, negli Stati Uniti è la disconnessione tra i leader politici – proni a corporation e banche – e le famiglie che perdono lavoro, casa e salute, a gonfiare il grido di aiuto dei poveri americani, vecchi e nuovi.
L’unico, tra i politici che sembra aver dedicato qualche discorso alla parola ‘povertà’ è stato il repubblicano Mitt Romney, candidato alle primarie per le presidenziali. Romney ha menzionato il vocabolo, ma solo per attaccare la spesa sociale. “Dobbiamo trovare il modo di ridurre la spesa su molti di programmi destinati a combattere la povertà e la disoccupazione”, ha detto durante un dibattito nell’Iowa. E’ per combattere individui come Romney che stanno nascendo negli Usa movimenti progressisti, come per esempio l’originale ‘Coffee Party’, antagonista del Tea party. C. Douglas Smith, tra i fondatori del progetto pilota del Coffee Party, spiega come l’establishment tenda a “creare una voluta apatia al riguardo”. Ciononostante, “quando la gente sente dal suo vicino di casa che c’è un movimento che difende i lavoratori, che intende eradicare la fame, ecco, ciascuno si sente partecipe. Il Coffe Party vuol fare proprio questo. Siamo all’inizio, è vero, ma non ci scoraggiamo, anche se i mass-media ci ignorano”.
Se le analisi mediatiche sono oggi intente ad occuparsi della Middle Class che scompare e l’avvento di una nuova classe, sospesa tra il ‘già’ e il ‘non ancora’, nessuno ha ancora stimato l’impatto che i nuovi tagli avranno su chi già da anni vive a limite. Il reverendo Michael Livingston, direttore del Consiglio ecclesiale nazionale, sostiene che “nessuno al congresso parla esplicitamente di povertà. Si parla di tagli, ma la parola ‘povero’ sembra essere un tabù impronunciabile”. Livingston fu arrestato all’interno del palazzo del Congresso durante i negoziati sul tetto del debito. Insieme ad altri, stava pregando affinché i fondi sociali per i più vulnerabili dell nazione fossero preservati.
“Oggi, purtroppo, la preghiera non basta più. Così come non bastano più le comunità religiose e di volontariato, ad assistere i poveri. C’è bisogno dello Stato. “Ma qualcosa si muove – sostiene il reverendo -, c’è più movimento, più consapevolezza riguardo alla questione povertà. La gente comincia dar voce alla rabbia per politiche che non sostengono i poveri. O quelli che lo stanno per diventare”.
Luca Galassi per Peace Reporter
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