Carceri statunitensi, un inferno democratico
Le carceri statunitensi, molte delle quali a gestione privata, sono veri luoghi di tortura, dove i reclusi arrivano ad essere affamati ed assetati, oltre che sfruttati nei lavori forzati.
LaShawn Thompson era un trentacinquenne della Georgia. Joshua McLemore aveva 28 anni ed era residente nell’Indiana. In carcere in attesa di giudizio vi hanno trovato la morte: il primo malnutrito e letteralmente mangiato vivo da cimici e pidocchi, il secondo, ritenuto schizofrenico, lasciato appassire tra i suoi escrementi in una cella imbottita.
Questi due casi non sono eccezioni ma solo la punta di un’iceberg.
Secondo i dati di Prison Policy Initiative gli Stati Uniti hanno il tasso di incarcerazione più elevato del mondo, con 565 arresti ogni 100mila abitanti e oltre due milioni di persone rinchiuse nelle 1566 prigioni statali, 3116 carceri federali, 1323 istituti penitenziari minorili, 181 centri detentivi per immigrati e ottanta prigioni tribali delle Riserve indiane, dov’è “ospitato” un quarto dell’intera popolazione carceraria del pianeta.
Ne abbiamo parlato con Robertino Barbieri, che ha ricostruito la genealogia di questa carcerazione di massa che ha le proprie radici nella “war on drugs” e nella “Reaganomics”
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