Carri armati e migliaia di soldati turchi avanzano verso il Kurdistan
Oggi hanno ucciso anche una donna di 30 anni, a Cizre”. Burcu Cicek Sahinli, attivista kurda turca, fa l’elenco dei morti, ormai quotidiani nel Kurdistan turco.
“I civili vengono uccisi ogni minuto dalla polizia e dai soldati – dice a Nena News – I carri armati dell’esercito sono dentro le città ora e sparano. Sono morti oltre 200 civili da luglio. Il governo li uccide e poi dice che erano terroristi.
La stessa vecchia storia”. Burcu si lamenta per il silenzio dell’Europa che invece di fare pressioni su Ankara la premia con accordi sui rifugiati: “Erdogan sa bene come giocare la carta dei rifugiati. E così tutti i valori europei, libertà, democrazia, possono essere tranquillamente violati”.
Che il silenzio sia sceso sul conflitto lanciato dal governo dell’Akp al movimento indipendentista kurdo ma anche alla popolazione civile è un dato di fatto. L’attenzione del mondo è concentrata sugli screzi tra Russia e Turchia, sulla guerra civile siriana, sulle truppe turche in Iraq. E in Kurdistan si muore.
Ieri a Cizre un bambino di soli 11 anni è stato colpito da un cecchino turco. Poco dopo è toccato ad una 30enne, nella stessa città, che da giorni subisce un coprifuoco violento.
Stanotte l’esercito turco ha mandato i carri armati in molte comunità a sud est del paese, in aree civili a Cizre, Silopi, Sur, Yuksekowa, e non ha esitato ad aprire il fuoco, raccontano i testimoni. A Silopi una bomba a mano lanciata dalla polizia è entrara in una casa nel quartiere di Nasak: un anziano è morto per soffocamento. Intanto i carri armati venivano dispiegati nei quartieri di Basak e Yenisehir e circondato alcune scuole elementari, per poi aprire il fuoco contro alcuni edifici civili, secondo quanto riportato dall’agenzia stampa kurda Anf.
Sono migliaia i soldati e i poliziotti mandati in queste ore nel Kurdistan turco, per quella che il governo ha definito “una campagna militare decisiva”. Nel mirino ci sono i quartieri residenziali e le aree abitate da civili, dove Ankara ritiene si nascondano i combattenti del Pkk. Ma l’immagine che si ha da fuori è quella di una punizione collettiva, un’operazione che pieghi definitivamente le ambizioni autonomiste kurde.
Solo oltre 200mila le persone che hanno lasciato le proprie case in cerca di sicurezza; gli insegnanti sono stati mandati via dalle scuole; gli ospedali sono costretti a lavorare senza sosta per portare soccorso ai feriti, mentre nelle città migliaia di soldati arrivano a bordo di autobus e aerei.
La repressione turca si è intensificata a partire dal 14 dicembre, dopo la grande manifestazione di Diyarbakir. Quel giorno il premier Davutoglu ha promesso di scovare i militanti kurdi “quartiere per quartiere, strada per strada, casa per casa”. E lo sta facendo. Ma a pagarne il prezzo sono i civili: “La gente è senza acqua, elettricità, cibo, medicinali e molti civili sono morti – spiega Nurcan Baysal, fondatore del Diyarbakir Political and Social Research Institute – E i funzionari statali dicono che continueranno”.
La gente reagisce: ieri migliaia di persone sono scese in piazza in tutto il Kurdistan turco contro le politiche dell’Akp, definite terrorismo di Stato. A Van centinaia di donne hanno marciato nella città; a Siirt e Marsin i partiti Hdp e Dbp hanno tenuto sit-in di fronte alle sedi dei comuni; ad Urfa centinaia di persone hanno marciato in solidarietà con Sur, Cizre, Silopi e tutte le comunità sotto coprifuoco.
da Nena News
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