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Chi ha ucciso Eduardo Mendua?

Più in là di chi ha sparato con l’arma assassina

di Alberto Acosta, da ECOR Network

“L’intera storia del petrolio è ricolma di criminalità,
corruzione, il crudo esercizio del potere
e il peggio del capitalismo di frontiera”.

Michael J. Watts


Un altro assassinio. Di questo passo, non sarà neanche l’ultimo. Eduardo Mendúa è stato ucciso il 26 febbraio. Membro della nazione A’i Cofán, dirigente del settore Relazioni Internazionali della CONAIE, si è distinto per la lotta contro le attività di estrazione del petrolio, nonché per la difesa dei diritti umani, dei diritti collettivi, dei diritti della Pachamama, ovverosia il suo territorio, dove sono ubicate parti importanti delle selve umide che rimangono.

Pochi giorni prima del suo assassinio, questo leader amazzonico aveva denunciato e incolpato la compagnia statale Petroecuador e il governo del presidente Guillermo Lasso per le violenza scatenata nella sua comunità di Dureno, situata nella provincia amazzonica di Sucumbíos. Una regione che subisce violenze da molti decenni come conseguenza  delle attività petrolifere e negli anni recenti a causa dell’espansione mineraria.

Su questo omicidio sono in corso le indagini della polizia. È urgente che colui o coloro che hanno sparato siano catturati e puniti, compresi i complici e tutti quelli che li hanno appoggiati; così come qualsiasi altra persona o persone che potrebbero aver avuto un ruolo come attori intellettuali dell’omicidio di Mendúa. Ci auguriamo che questo crimine non resti impunito come è avvenuto in diverse altre occasioni, in analoghi contesti di espansione delle attività estrattiviste, come nel caso del brutale assassinio di José Tendetza nel 2014.2

Alcuni precedenti con la stessa brutale violenza

Nel territorio di A’i Cofán, le pressioni petrolifere hanno una lunga storia.3 A partire dagli anni ’60, lungo il fiume Aguarico sono state registrate attività sismiche e poi trivellazioni di pozzi petroliferi. Senza alcun tipo di consultazione, nel 1972 fu perforato il pozzo petrolifero Dureno 1, nel territorio della comunità. Le attività petrolifere sono proseguite asservendo con molta forza le popolazioni e la Natura. La resistenza fu difficile. Dopo un’ardua e, come sempre, impari lotta, si ottenne il riconoscimento del territorio e, nel 1998, si riuscì a chiudere alcuni pozzi petroliferi, tra cui il primo di questi.

Le pressioni petrolifere non cessarono. Durante il governo di Rafael Correa, nel 2014, è stato riaperto il pozzo Dureno 1 e fu ampliata la piattaforma Guanta 12 in territorio A’i Cofán.4 In quel periodo si è cercato di ammorbidire la resistenza con una “città del millennio”5 , come parte di un’ampia strategia con la quale si dice di dare impulso alla modernizzazione e al progresso, cosa che in pratica approfondisce sempre più la matrice produttiva basata sullo sfruttamento delle materie prime, cosa che a sua volta porta alla distruzione di sempre più territori.

Il governo di Lenín Moreno continuò sulla strada tracciata dal suo predecessore e patrocinatore . E l’attuale presidente Guillermo Lasso ha inaugurato il suo mandato proponendosi di raddoppiare il tasso di estrazione del greggio, arrivando ad affermare solennemente che “sfrutteremo fino all’ultima goccia di petrolio”. Lasso, con un paio di decreti quasi all’inizio della sua amministrazione, dispose di accelerare le attività estrattive, sia petrolifere che minerarie.

Nel territorio comunitario A’i Cofán la pressione è aumentata. Nell’anno 2022, la compagnia petrolifera statale tentò di perforare 30 pozzi nel territorio, attraverso tre piattaforme. Ciò premesso, Eduardo e parte della comunità opposero una forte resistenza e intrapresero un’azione legale contro l’azienda di Stato. Partivano dal principio di autodeterminazione, chiedendo almeno una consultazione preventiva, libera e informata. Nel gennaio 2023 l’azienda tentò di entrare ancora una volta con l’aiuto della forza pubblica, poiché era decisa a proseguire con la costruzione della strada. Petroecuador ha cercato di dividere la comunità distribuendo 300.000 dollari a persone favorevoli all’estrazione del petrolio. Gran parte della comunità è rimasta in resistenza e di conseguenza ci sono stati vari scontri sanguinosi e persino morti.
 
Inoltre, nel 2023, lo stesso governante ha ordinato la militarizzazione delle aree in cui si sviluppano progetti estrattivistici, istituendo Aree Riservate di Sicurezza. In questo modo le Forze Armate interverrebbero di nuovo, assicurando le operazioni e gli interessi delle compagnie minerarie transnazionali. Pertanto, con queste varie disposizioni, vengono violati i diritti delle comunità indigene stabiliti dalla Costituzione della Repubblica dell’Ecuador. Così come vengono calpestate le norme internazionali sui Diritti dei Popoli Indigeni, come la Dichiarazione delle Nazioni Unite del 2007, di cui l’Ecuador è firmatario, che vieta attività militari nelle terre o territori dei popoli indigeni.

La verità è che simultaneamente in varie regioni crescevano le pressioni violente per imporre soprattutto l’estrazione mineraria. Poche ore prima del delitto che causa la nostra indignazione, il 23 febbraio, esercito e polizia, insieme a guardie private di un paio di compagnie minerarie, fecero brutalmente irruzione nella parrocchia di Gualel nella provincia di Loja, con l’obiettivo di accedere al colle di Guagrahuma, situato nella Cordillera de Fierro Urco. Le popolazioni contadine e il popolo Saraguro che difendevano il páramo considerato come la Stella Idrica del Sud, furono aggredite, visto che questa regione rifornisce di acqua quattro province: Azuay, El Oro, Loja e Zamora Chinchipe.

È opportuno ricordare che Eduardo Mandúa era stato categorico nel suo impegno a difendere il territorio della sua comunità. Poche ore prima di cadere vittima dei proiettili assassini, scrisse sul suo account Facebook:

“… rimarremo più saldi e forti che mai, non cederemo nemmeno
un centimetro del nostro territorio, così da non permettere
che petrolieri stranieri distruggano gli esseri spirituali e le
persone invisibili della nostra selva, i fiumi, le lagune,
i luoghi sacri, i ruscelli, la medicina, i nostri ceibos.”

In questa complessa situazione, con un governo piegato agli interessi estrattivistici, è stato attuato l’assassinio del leader indigeno.6
 

L’assassino, una vecchia conoscenza

Al di là delle conclusioni al quale si è arrivati nell’ambito della giustizia penale, dobbiamo precisare che chi uccide le persone che difendono i loro territori, in particolare i loro leader come Eduardo Mendúa, è abbastanza conosciuto, ha un nome.

Basta ripercorrere una storia la cui origine si perde nelle pieghe dei secoli. Fin dalle origini della Colonia, queste terre di Abya-Yala furono vincolate al mercato mondiale. Da allora sono andate configurandosi le strutture e le pratiche delle attuali economie di export di prodotti primari. Ai paesi ricchi di risorse naturali è stato imposto da allora un ruolo passivo e sottomesso nella divisione internazionale del lavoro, legato alle esigenze del capitalismo metropolitano. Questa realtà non è cambiata. I Paesi della Nostra America, con società impoverite, ma ammaliate dal delirante progetto di “sviluppo”7, continuano ad estrarre ed esportare materie prime. Nell’ambiente si mantengono i dogmi fondanti del libero mercato, che ci condanna a ricorrere ancora e poi ancora al vecchio credo di approfittare dei “vantaggi comparativi” offerti dalla Natura, che devono essere sfruttati al massimo. Per sostenere questo ingannevole messaggio, lo si ripete instancabilmente come una litania profetica: la necessità imperativa di approfittare delle ricchezze naturali, per non continuare ad essere poveri seduti su sacchi d’oro… Il risultato è innegabile: questa logica di funzionamento delle economie estrattiviste provoca una serie di patologie, che configurano la “maledizione dell’abbondanza”.8

Ci sono diversi miti che sostengono cotanta aberrazione. Uno di questi si regge sull’urgenza dei proventi portati da queste attività estrattive – petrolifere o minerarie – per realizzare lo “sviluppo” e – mai si tralascia di ricordare – per finanziare le politiche sociali. La limitatezza del ragionamento è evidente quando si vede che nemmeno i redditi ricavati dalla tassazione di dette attività – molto limitati, va notato – hanno sostenuto in maniera adeguata e sufficiente queste politiche che, peraltro, si muovono spesso a suon di pratiche clientelari: un esempio di tutto ciò è l’uso delle regalìe anticipate per “oliare” l’accettazione delle attività minerarie nelle comunità interessate, cosa che accade in quasi tutti i paesi della regione indipendentemente dalla tendenza ideologica dei loro governi.9

Il bilancio di questa lunga pratica è ben visibile. Economie, Stati e anche imprenditori, si organizzano intorno alla rendita della Natura. Società clienteliste e profondamente diseguali e inique, perversamente legate al controllo delle risorse ricavate da tali entrate. Apparati produttivi caratterizzati dalla loro eterogeneità strutturale sostenuta dalle esportazioni primarie. Istituzioni incapaci di controllare queste attività economiche primarie di esportazione in cui, tra l’altro, dilagano varie forme di evasione fiscale, che coesistono con molteplici meccanismi di sussidio alle compagnie petrolifere e minerarie. Sistemi politici affetti da corruzione e autoritarismo.10

Il tutto come parte di un modello di sfruttamento che si alimenta soffocando la vita di esseri umani e non umani per mantenere il giro dell’accumulazione di capitale. Allo stato attuale, il saccheggio causato da questo sistema è esacerbato in maniera incommensurabile con la dimensione crescente della domanda internazionale di risorse naturali. Di conseguenza, è facile capire come questo modello predatorio si nutra di molteplici violenze.

Parliamo di estrattivismo. Una modalità di accumulazione che esige continue violenze fisiche, simboliche e psicologiche contro comunità ed ecosistemi per rendere realizzabili dozzine di megaprogetti. Violenze che non sono una semplice conseguenza dell’attività mineraria o petrolifera (o anche agro-esportatrice). Sono forme di violenza che si configurano come condizione necessaria per avviare e sostenere queste attività estrattive, che finiscono per disgregare le comunità umane e smantellare le comunità naturali.

Così, questi processi di espropriazione, cioè di appropriazione violenta della ricchezza, vincolati agli schemi di accumulazione allargata del capitale, lasciano il posto alla deterritorializzazione, ciò che porta alla morte di molte culture. Scompare la visione vitale dello stare dentro, del vivere in armonia con la Natura, in comunità, mentre s’impone la visione dello stare fuori, si accelera la mercificazione della Natura e della stessa vita umana. Con il discorso della modernizzazione e delle pratiche estrattiviste, vengono schiacciati i metabolismi della vita.

Per questi motivi non possiamo focalizzare l’attenzione esclusivamente sul crimine in sé. E’ necessario identificare in maniera categorica la causa sistemica di tanta morte: l’estrattivismo.11
 

Le tante facce della violenza estrattivista

L’azione violenta delle attività estrattive è molteplice. La criminalizzazione, la minaccia, la persecuzione, la repressione e l’assassinio degli oppositori dei progetti minerari e petroliferi sono pane quotidiano. Sono molti e diversi i meccanismi di controllo del territorio dispiegati dalle imprese estrattiviste con il sostegno e il protagonismo degli Stati, attraverso, ad esempio, di irregolari e abusivi acquisti di terreni, sgomberi appoggiati dalla forza pubblica e la complicità della giustizia. La perversa combinazione del potere combinato transnazionale-statale, con il supporto dei mass media e persino di alcuni centri accademici, emargina e persino attacca violentemente coloro che si oppongono o semplicemente mettono in discussione queste attività. Così, con questo accumulo di violenze, si riesce ad assicurare il controllo sui territori, svuotati della loro essenza di vita, mentre si radica nella società una visione estrattivista che appare impossibile da cambiare e persino da criticare.

In molte occasioni la violenza si cela in azioni che affermano di cercare il benessere delle comunità. Per ottenere il sostegno della comunità, le compagnie estrattive cercano alleati, come è successo nel caso della comunità di A’i Cofán. Con varie azioni pro-sviluppo, lo Stato e le compagnie estrattive provocano profonde divisioni. Ci sono gruppi che accettano questi benefici in termini di accesso a qualche impiego, miglioramenti nella viabilità, costruzione di scuole o centri di salute, in cambio dell’apertura delle porte all’estrattivismo. Altri gruppi restano fermi nella loro difesa del territorio, chiedendo che lo Stato – non le imprese – rispetti il ​​suo obbligo di soddisfare le loro richieste. Ciò crea differenze e tensioni. Frequentemente si registrano scontri sanguinosi tra gli stessi membri della comunità e persino tra membri della stessa famiglia. Ed è così che si inocula dall’esterno il virus dell’avidità che finisce per disgregare le comunità.

Poi, quando si installano le compagnie estrattive, la violenza si moltiplica in molte forme. Solo a mò di esempio, di un lunghissimo elenco di abusi e violazioni, ricordiamo i problemi causati dall’arrivo di lavoratori dall’esterno (prevalentemente giovani). Questa nuova popolazione, composta da tecnici e operai stranieri, che costituiscono enclaves nei territori, aumenta drasticamente il costo della vita nelle comunità alimentazione, affitti, valore delle proprietà, utenze). I conseguenti squilibri nelle aree di sfruttamento si ripercuotono anche nelle regioni limitrofe, generando nuove conflittualità sociali. Non avendo legami sociali o culturali con il resto della comunità, i nuovi residenti possono causare seri problemi sociali di cui donne e bambini sono le prime vittime. Lì fioriscono la prostituzione, la tossicodipendenza, l’alcolismo, la delinquenza, l’insicurezza, la criminalità, i femminicidi, compreso lo sfruttamento sessuale e il traffico di esseri umani. Come conseguenza di questi processi, si assiste a una ridefinizione dei ruoli di genere, la mascolinizzazione degli spazi e la ri-patriarcalizzazione delle comunità. In questi processi di terrore, la militarizzazione dei territori gioca un ruolo decisivo.

Nell’Ecuador produttore di petrolio, le pratiche dannose per la natura e la vita dei suoi abitanti amazzonici sono iniziate più di 50 anni fa con il consorzio Texaco Gulf. Informazioni sufficienti, con dati ambientali di inconfutabile validità, dimostrano la contaminazione ambientale nell’area delle concessioni. Gli ecosistemi, infettati da idrocarburi e altri contaminanti relazionati ad attività petrolifere sono innumerevoli. I terreni in stazioni e pozzi contengono residui di petrolio e metalli in concentrazioni molte volte superiori agli standard internazionali. Le acque sotterranee sotto le fosse di scarico sono contaminate oltre gli standard massimi, per non parlare dei fiumi, delle zone umide e delle lagune. Osservazioni dirette sul territorio confermano come la vita di piante e animali sia impattata da tanta distruzione e contaminazione. Il rumore assordante e la combustione del gas associato completano questo scenario di molteplici distruzioni. Molte aziende hanno anche operato con pratiche e politiche ambientali inadeguate per la conservazione dell’ecosistema, utilizzando pochi o nessun controllo ambientale.

In particolare, va ricordato che sulla Texaco Gulf, oltre ai danni ambientali causati, pesano anche danni sociali e culturali causati alle popolazioni indigene Siona, Secoya, Cofán, Kichwa e Waorani, oltre ai danni nei confronti dei coloni bianchi e meticci. E non ci si può dimenticare dell’estinzione di popolazioni indigene come i Tetetes ei Sansahuari, con il cui nome, ironia della sorte, vengono chiamati due giacimenti petroliferi nella stessa zona in cui prima vivevano.

Tanta distruzione risulta incommensurabile. Gli impatti dovuti a sversamenti, contaminazione di paludi, gas flaring, deforestazione, perdita di biodiversità e morte di animali selvatici e domestici sono davvero non quantificabili. A ciò vanno aggiunti i materiali utilizzati che hanno causato la salinizzazione dei fiumi. Impossibile da calcolare sono le malattie (come il cancro) e anche il lavoro mal retribuito. Nell’ambito psicosociale, gli impatti sono brutali: violazioni da parte degli operatori delle compagnie petrolifere nei confronti di donne adulte e minori, meticce e indigene, aborti spontanei, discriminazione e razzismo, trasferimenti forzati, impatto culturale nocivo e rottura della coesione sociale12. E di certo tutto questo scenario dantesco ha come attori tutte le compagnie petrolifere, siano esse private o la stessa statale, sempre in aperta collusione con lo Stato.13

Nell’Ecuador minerario, nonostante si tratti di attività più recente, come ci aspettava le violenze sono aumentate rapidamente.14 Con enormi operazioni di polizia e militari, il governo Correa aveva imposto attività minerarie nella Cordillera del Cóndor e nella valle dell’Intag.15 Lo sgombero dei territori, la repressione contro le comunità che resistono e la criminalizzazione di coloro che cercano di mantenere liberi dalle attività minerarie i loro territori, da allora sono all’ordine del giorno. Anche qui le attività estrattive si svolgono senza consultazioni ambientali, sulla base di una sistematica violazione della Costituzione e della legge, considerando che ogni attività mineraria ritenuta legale risulterebbe illegale.16

Le violazioni dei diritti delle comunità e dei loro territori si espandono a cerchi concentrici in tutto il Paese: a Imbabura, oltre a Intag, c’è il caso di Buenos Aires, in Esmeraldas ci sono diverse zone colpite, Rio Blanco ad Azuay, Fierro Urcu a Loja, Curipamba a Bolívar, Chocó Andino nel Distretto Metropolitano di Quito, per menzionare solo un paio di località.17 L’estrazione dell’oro attualmente devasta le foreste amazzoniche nei pressi del fiume Punino, Yutzupino, territorio di Shuar Arutam, Parco Nazionale Podocarpus, Foresta Protetta Cuenca Alta del Río Nangaritza: la deforestazione causata finora da questa estrazione aurifera in questi cinque territori è pari a 1.660 ettari: paragonabile a 2.325 campi da calcio.

In questo quadro complesso, è innegabile la complicità dello Stato e anche di alcune società “formali” con l’estrazione illegale che estende i suoi tentacoli in tutto il Paese, anche legate ad organizzazioni criminali. Nel frattempo, le autorità non rispettano né fanno rispettare la Costituzione e le leggi, e neanche la volontà popolare, che in grande maggioranza si esprime contro l’estrazione mineraria, come è accaduto con le consultazioni popolari legali dei cantoni di Girón (2019) e Cuenca (2021) nella provincia di Azuay.18

Ma ci sono altre forme di violenza apparentemente meno drammatiche. Ci riferiamo agli attacchi simbolici. Quelli che sono racchiusi nei messaggi dei grandi mezzi di comunicazione e che vengono diffusi dagli esperti che difendono l’estrattivismo, che non si stancano di insistere sui presunti benefici di queste attività presentate come essenziali per raggiungere lo “sviluppo”. A sostegno delle loro affermazioni, in un esercizio di estremo cinismo, non si fanno scrupoli nemmeno a dichiarare che si tratterebbe di attività “sostenibili”.

Ciò che risulta estremamente perverso è che tutto questo viene fatto in base all'”interesse nazionale”; una questione che, nel caso dei governi progressisti, si cristallizza alzando la bandiera del nazionalismo, con una azione intensificata delle imprese statali, la cui azione non differisce nella sostanza da quella dei consorzi transnazionali. Ma non solo: frequentemente gli enti statali svolgono il ruolo di ariete per abbattere gli ostacoli legali e le stesse resistenze comunitarie che possono frenare l’espansione estrattivista.19

Tutte queste molteplici e diverse forme di violenza, sia reali che simboliche, sono alimentate dall’intolleranza e dall’autoritarismo che accompagnano gli estrattivismi. A titolo di esempio, si potrebbero ricordare le parole dell’allora presidente Correa, il 10 dicembre 2011, quando affermò che

“Abbiamo perso troppo tempo per lo sviluppo, non abbiamo un secondo da perdere, (…) quelli che ci fanno perdere tempo sono anche quei demagoghi, no alle miniere, no al petrolio, perdiamo tempo a discutere di sciocchezze. Sentite un po’, se andate negli Stati Uniti a tirar fuori queste idiozie, o in Giappone, vi mettono in manicomio.”

La realtà è diversa, ma non meno incisiva e certamente non meno preoccupante. Le nostre società si trovano rinchiuse nel manicomio degli estrattivismi. L’unico modo per raggiungere lo “sviluppo” passerebbe – secondo il discorso dominante – attraverso la crescita economica con la quale si supererebbe il “sottosviluppo” e questo richiede volumi crescenti di esportazioni di risorse naturali per sostenere soprattutto gli investimenti sociali. Diciamocelo, nelle nostre società, a cominciare dai nostri governanti, si è sviluppato una sorta di DNA-estrattivista che limita anche il sorgere di un ampio e serio dibattito su questi temi.
Uscire da questo labirinto carico di tante pazzie e violenze è l’obiettivo.
 

Per uscire dal manicomio estrattivista

Sarebbero necessarie pagine e pagine di analisi per valutare fino in fondo i dettagli delle molteplici forme di violenza legate all’estrattivismo. I profondi impatti sociali e culturali, psicosociali e sulla salute pubblica, così come i danni alla Natura e anche agli apparati produttivi locali, sono incommensurabili. Oltre ai territori direttamente colpiti, non si possono dimenticare le violenze che impattano sull’ambito della giustizia, della democrazia, della cultura e della stessa economia.

Capiamoci, gli estrattivismi, e le politiche pubbliche che li ospitano e li incoraggiano, fanno parte di una sorta di necropolitica destinata a sostenere la civiltà delle merci e degli sprechi, che si alimenta con il calpestamento della vita. Comprendere questa realtà è una necessità. Così come è anche essenziale accettare che, al di là di alcune differenze reali e dei loro discorsi apparentemente inconciliabili, i governi progressisti e neoliberisti sono in perfetta comunione, con questa necropolitica.

Quindi, se vogliamo uscire da questo manicomio estrattivista, è necessario addentrarsi in un’analisi multipla e profonda. Tutte queste forme di violenza devono essere conosciute, comprese e collocate nello spazio corrispondente per cominciare a costruire alternative di uscita in termini di transizioni. I presunti benefici dell’estrattivismo, che in realtà non sono altro che false promesse sostenute attraverso una serie di favole, devono essere smontati.

La via d’uscita consiste nel fermare tanta distruzione e costruire strategie per camminare verso altri orizzonti di civiltà. Innanzitutto, è tempo di rafforzare le lotte di resistenza, che allo stesso tempo sono per la ri-esistenza, incoraggiando l’azione comunitaria sulla base di un tessuto sempre più ampio di molteplici solidarietà all’interno e all’esterno del Paese. Allo stesso modo, è necessario incidere in tutte le aree di azione strategica, senza minimizzare la capacità di azione dello Stato, tanto meno il potenziale di azione internazionale. Cerchiamo di capire che la coevoluzione tra esseri umani e non umani rende il post-estrattivismo un’opportunità inevitabile per affrontare il collasso climatico in corso.

Pensiamo e costruiamo tutti i mondi possibili in cui tutti gli esseri umani vivano con dignità e in armonia con la Natura.

* Traduzione di Giorgio Tinelli per Ecor.Network

Qui la versione in inglese. 

Qui la versione in spagnolo.


Note:

1) Economista ecuadoriano. Professore universitario. Responsabile del settore commerciale della Corporación Estatal Petrolera Ecuatoriana – CEPE (1982-1983). Ministro dell’energia e delle miniere (2007). Presidente dell’Assemblea costituente (2007-2008). Candidato alla Presidenza della Repubblica dell’Ecuador (2012-2013). Consulente petrolifero ed energetico. Attivista nelle lotte dei movimenti sociali. Autore di diversi libri.
2) L’elenco dei difensori dei loro territori cresce in Ecuador. Riconoscendo che è sicuramente molto più lungo, qui ricordiamo Bosco Wisuma (2009), Freddy Taish (2013), José Tendetza (2014), Andrés Durazno (2021), Nange Yeti (2021).
3) Per comprendere il contesto di tensioni in quella regione, consigliamo di leggere un breve articolo di Mishell Mantuano (27.02.2023); “¿Quién era Eduardo Mendúa, el dirigente de la CONAIE asesinado?” Disponibile su https://wambra.ec/eduardo-mendua-dirigente-conaie-asesinado/
4) Si consiglia di leggere il riassunto dell’attività petrolifera: “Comunidad A’i Kofán Dureno: Fase de exploración petrolera “, Comunidades en Riesgo – Verdad para la Vida. Disponibile su https://verdadparalavida.org/caso/comunidad-ai-kofan-dureno-fase-de-exploracion-petrolera/
5) Si raccomanda la ricerca pubblicata nel libro di Japhy Wilson e Manuel Bayón (2017). La selva de los elefantes blancos. Megaproyectos y extractivismos en la Amazonia Ecuatoriana, Abya-Yala, Quito.
6) La situazione politica nazionale è altrimenti complicata. Un governo screditato e massicciamente sconfitto alle urne del 5 febbraio, sia nel referendum che nelle elezioni per scegliere le autorità dei governi autonomi decentrati. Una società travolta dalla crisi economica e da una crescente insicurezza recentemente scatenata soprattutto dalla criminalità organizzata. Con un ambiente in cui sono previste grandi proteste popolari come quelle vissute nel giugno 2022 o nell’ottobre 2019.
7) Occorre smantellare lo “sviluppo” come miraggio con cui si cerca di organizzare il mondo secondo la logica della Modernità. Segnaliamo il contributo dell’autore con Eduardo Gudynas (2011); “El buen vivir o la disolución de la idea del progreso”. Disponibile su https://www.gudynas.com/publicaciones/capitulos/GudynasAcostaDisolucionProgresoMx11r.pdf
8) Consultare il libro dell’autore (2009); La maldición de la abundancia, Comité Ecuménico de Proyectos y Abya-Yala, Quito. Disponibile su: http://www.rebelion.org/docs/122604.pdf
9) Questo meccanismo fu persino raccomandato da Rafael Correa all’allora presidente neoliberista colombiano Juan Manuel Santos, che ringraziò pubblicamente il presidente progressista ecuadoriano per questa misura che serve a spezzare la resistenza delle comunità. Il discorso in cui Santos ringrazia Correa è disponibile su https://www.youtube.com/watch?v=b870ezpLm3Y
10) Vedi in Acosta, Alberto e Cajas Guijarro, John (2017); “Cruda realidad: Corrupción, extractivismos, autoritarismo”. Disponibile su https://www.academia.edu/34830221/Acosta_Alberto_y_Cajas_Guijarro_John_2017_Cruda_realidad_Corrupci%C3%B3n_extractivismos_autoritarismo_
11) Su questo tema un libro consigliato è quello di Eduardo Gudynas (2015); “Extractivismos. Ecología, economía y política de un modo de entender el desarrollo y la Naturaleza”, CLAES, CEDIB, La Paz.  Disponibile su https://ambiental.net/2015/10/extractivismos-ecologia-economia-y-politica-de-un-modo-de-entender-el-desarrollo-la-naturaleza/
12) Per comprendere l’entità del danno causato, si consiglia di leggere il libro di Carlos Martín Beristein, Dario Páez Rovira, Itziar Fernándes e Carolina Valladares (2009); “Las palabras de la selva: estudio psicosocial del impacto de las explotaciones petroleras de Texaco en las comunidades amazónicas de Ecuador”, hegoea. Disponibile su https://libros.metabiblioteca.org/bitstream/001/429/1/Las%20palabras%20de%20la%20selva.pdf
13) È interessante notare come questa violenza acquisisca sfumature perverse in alcuni paesi i cui governi progressisti si ostinano a sventolare bandiere nazionaliste. Oltre all’Ecuador, con Correa, si è potuto vedere cosa è successo in Bolivia, con Evo Morales. L’autore di queste righe ha più volte affrontato la questione riferita al TIPNIS. Un’approssimazione si trova nell’articolo (2011): “La maldición de la violencia – Extractivismo al desnudo”. Disponibile su https://albertoacosta.ec/wp-content/uploads/2014/01/Maldicionviolencia-11.pdf
14) Consulto in Alberto Acosta, John Cajas-Guiarro, Francisco Hurtado, William Sacher (2020): “El Festín Minero del Siglo XXI – ¿Del ocaso petrolero a la pandemia megaminera”, Abya-Yala, Quito. Disponibile su https://rosalux.org.ec/pdfs/festin-minero.pdf
15) Ricordiamo lo sradicamento del quartiere San Marcos a Tundayme con la distruzione nel 2014 della chiesa e della scuola e gli sgomberi forzati e violenti nel 2015; così come l’azione violenta di sgombero, repressione e criminalizzazione avvenuta negli anni 2016 e 2017 a Nankintz e Tsuntusim.
16) Consulta l’articolo dell’autore con John Cajas-Guijarro (2020); “¿Minería legal o minería ilegal?: una falsa disyuntiva”, Piano V. Disponibile su https://www.planv.com.ec/historias/sociedad/mineria-legal-o-mineria-ilegal-una-falsa-disyuntiva
17) I dati relativi a questa deforestazione sono disponibili in “MAAP #182: Deforestación por Minería de Oro en la Amazonía Ecuatoriana”. Disponibile su https://maaproject.org/2023/mineria-ecuador-amazonia/
18) A proposito della tena l’autore ha scritto (2021): “El Agua, fuerza motriz de la Naturaleza – Su emancipación por la senda de las consultas populares”. Disponibile su https://www.aporrea.org/tiburon/a301480.html
19) Un caso degno di nota è quello di Intag, la cui comunità ha resistito unitariamente per decenni alle pressioni minerarie straniere fino al 2012, con l’arrivo della compagnia statale (della carta) Empresa Nacional Minera ENAMI EP con la compagnia statale cilena CODELCO, sostenuta da centinaia di agenti di polizia, durante il governo Correa, la resistenza della comunità si è indebolita. A questo proposito, leggi il testo che l’autore di queste righe ha scritto con uno dei riferimenti storici di queste lotte: Carlos Zorrilla (2021): “CODELCO: El Subimperialismo Minero Chileno…”. Disponibile su https://olca.cl/articulo/nota.php?id=109159

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Caduta Aleppo, si combatte intorno a Hama. Ieri migliaia di miliziani di Ha’yat Tahrir al Sham (Hts) e di altre formazioni jihadiste appoggiate dalla Turchia hanno ripreso ad avanzare verso la città un tempo roccaforte dell’islamismo sunnita. Incontrano la resistenza delle forze governative che sembrano aver in parte ricompattato i ranghi dopo il crollo ad […]

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Conflitti Globali

Oltre 800 banche europee investono 371 miliardi di euro in aziende che sostengono gli insediamenti illegali in Cisgiordania

La Coalizione Don’t Buy Into Occupation nomina 58 aziende e 822 istituti finanziari europei complici dell’illegale impresa di insediamenti colonici di Israele.

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Conflitti Globali

Siria: jihadisti filo-turchi entrano ad Aleppo. Attacata anche la regione curda di Shehba

In Siria a partire dal 27 novembre, milizie jihadiste legate alla Turchia hanno lanciato un’offensiva dalla regione di Idlib e raggiungendo i quartieri occidentali di Aleppo. Come sottolinea ai nostri microfoni Jacopo Bindi, dell’Accademia della Modernità Democratica, l’Esercito nazionale siriano, responsabile di attacchi nella regione di Shehba, è strettamente legato ad Ankara. Questo gruppo, che […]

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Conflitti Globali

Una fragile (sanguinosa) tregua

Alle 10 di questa [ieri] mattina è partita la tregua di 60 giorni (rinnovabile) tra Israele e Hezbollah, orchestrata dagli Stati Uniti e in parte dalla Francia. Una tregua fragile e sporca, che riporta la situazione ad un impossibile status quo ex ante, come se di mezzo non ci fossero stati 4000 morti (restringendo la guerra al solo Libano) e 1.200.000 sfollati su un paese di circa 6 milioni di abitanti.

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Conflitti Globali

Entra ufficialmente in vigore il cessate il fuoco tra Libano e Israele

Riprendiamo l’articolo di InfoPal: Beirut. Il cessate il fuoco israeliano con il Libano è entrato ufficialmente in vigore mercoledì alle 4:00 del mattino (ora locale). Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato martedì sera che il suo governo ha approvato un accordo di cessate il fuoco con Hezbollah in Libano, dopo settimane di colloqui […]

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Confluenza

Antropologia conviviale – estrattivismo e cura della terra

Il tavolo “estrattivismo e cura della terra,” tenutosi durante le giornate di Antropologia conviviale (Val Chiusella, 22-25 agosto 2024), è stato un momento di confronto tra diversi contesti e modi di intendere il problema dell’estrattivismo, problema che possiamo definire, con Raul Zibechi, come la forma mentis o forma ideologica del capitalismo. Con questo testo, scritto […]

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Crisi Climatica

Perù: Annunciata giornata nazionale contro l’attività mineraria

Gli indigeni dell’Amazzonia si mobiliteranno per chiedere l’implementazione di 15 azioni concrete contro l’attività mineraria aurifera che avanza nei loro territori. Con una giornata nazionale di azione che includerà mobilitazioni a Lima e nei territori indigeni, diversi popoli dell’Amazzonia questo 2 e 3 dicembre esprimeranno il loro rifiuto dell’attività mineraria aurifera. Stanchi di promesse, chiederanno […]

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Confluenza

Guerre, transizioni ecologiche ed estrattivismi: un’analisi critica del presente

Proponiamo una prima parte del dibattito dal titolo “Guerre, transizioni ecologiche ed estrattivismi: un’analisi critica del presente” che si è tenuto a settembre a Venaus in occasione del campeggio di Ecologia Politica Network.

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Confluenza

Giù le mani dalle montagne Toscane!

Diffondiamo il comunicato stampa del Coordinamento dei Comitati Territoriali delle Cinque Montagne per lanciare l’iniziativa di Sabato 28 settembre 2024, ore 15.00 in Piazza Duomo n°10, Sede della regione Toscana, Firenze.

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Crisi Climatica

2/5 settembre 2024: programma campeggio di Ecologia Politica Network

Manca ormai pochissimo al campeggio di Ecologia Politica Network

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Confluenza

Mettere in comune i saperi: Estrattivismo e cura della terra alle Giornate di Antropologia Conviviale, 22-25 agosto 2024

Diffondiamo volentieri l’indizione al tavolo su Estrattivismo e cura della Terra che si terrà in occasione delle giornate di Antropologia Conviviale al quale il progetto Confluenza è invitato a prendere parte.

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Crisi Climatica

Radura 2.10: Tra i rifiuti

Con Francesco parliamo del ciclo dei rifiuti in Pianura Padana e delle lotte che negli anni hanno attraversato un territorio segnato da questo genere di business come il basso Garda.

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Confluenza

Confluenza – Per il bisogno di confluire tra terre emerse

Da gocce a fiume per far salire la marea. Il manifesto di Confluenza

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Confluenza

Assemblea di Confluenza

Assemblea di Confluenza domenica 28 luglio alle ore 11.30 presso Venaus, durante il Festival Alta Felicità.

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Crisi Climatica

Collassi localizzati, debito ecologico e politiche pubbliche

Le inondazioni nel Rio Grande do Sul, una delle zone più ricche e potenti del Brasile, hanno provocato 163 morti, più di 80 persone disperse e 640.000 persone costrette a lasciare le proprie case.