Colpevoli di innocenza: Israele e le accuse a Israa Jaabis
Ho paura quando mi guardo allo specchio, quindi immaginate cosa devono provare gli altri quando mi guardano”.
Queste sono le parole di Israa Jaabis, una madre palestinese di 33 anni di Gerusalemme che langue a Hasharon, l’unica prigione israeliana per le detenute palestinesi.
È accusata da Israele di tentato omicidio dopo aver fatto saltare in aria la sua auto a un posto di blocco, un’accusa che nega. Le sue ustioni, sostiene, sono il risultato di un’esplosione nell’auto a seguito di un guasto tecnico.
Rotta all’interno, fisicamente bruciata, e con un dolore immenso, Jaabis ha detto la settimana scorsa, in una lettera dettata al suo avvocato, che non riceve cure mediche adeguate dal sistema carcerario israeliano (IPS). “Anche la Croce Rossa Internazionale è gravemente carente nell’intraprendere qualsiasi azione per aiutare Israa. È compito del CICR fornire visite permanenti e riferire sulle condizioni di salute dei prigionieri e sollecitare tutte le parti a lavorare per il trattamento dei casi di malati e feriti”, ha spiegato. Gli hashtag dei social media #Save_Israa e #Help_Israa mirano ad aumentare la consapevolezza e a fare pressione sull’IPS affinché le conceda le cure mediche necessarie.
Soffre di ustioni di primo e terzo grado sul 60% del suo corpo, e dipende da una compagna di prigione che l’assista in compiti semplici, lasciandola “umiliata”.
Otto delle sue dita sono state amputate perché si sono sciolte a causa delle ustioni, non può alzare le mani fino in fondo perché la sua pelle sotto le ascelle è incollata, l’orecchio destro è quasi inesistente e in un costante stato di infiammazione, il naso ha un buco spalancato su un lato, respira per lo più attraverso la bocca e l’incidente le ha portato oltre conseguenze fisiche anche psichiche, soffre di esaurimenti nervosi e gravi crisi psicologiche.
Jaabis ha bisogno di almeno otto interventi chirurgici, compreso un innesto di pelle intorno all’occhio destro e la ricostruzione facciale.
Andiamo quindi a ripercorrere ciò che le è accaduto.
Esplosione di auto: 10 ottobre 2015
Jaabis si stava spostando con la sua auto verso la sua casa nel quartiere di Jabal Al-Mukaber a Gerusalemme quando, a 500 metri dal checkpoint di al-Zayyim a Gerusalemme, ha perso il controllo del veicolo.
Due settimane dopo l’inizio della “Intifada del coltello” o della “rivolta di ottobre”, caratterizzata da attacchi individuali che vanno da pugnalate, speronamenti di auto e, in misura minore, sparatorie, per lo più da parte di palestinesi adolescenti e ventenni non affiliati a fazioni politiche.
I soldati israeliani hanno gridato a Jaabis di fermare la macchina, che ha deviato nella corsia adiacente. All’improvviso, un’esplosione nella macchina.
“La versione israeliana è che ha cercato di far saltare la sua auto al posto di blocco, ma come poteva essere il caso quando i finestrini dell’auto erano tutti intatti?” ha detto Mona Jaabis, la sorella di Israa.
“L’esterno dell’auto non ha nemmeno cambiato colore. E se ci fosse stata un’esplosione, Israa sarebbe saltata in aria con essa in molti pezzi”.
Quello che è successo alla macchina è stato un guasto tecnico, ha detto Mona.
“C’è stato un contatto elettrico che ha colpito l’airbag nel volante, e le sostanze chimiche nell’airbag hanno causato l’incendio”, ha detto.
Il gruppo per i diritti dei prigionieri palestinesi, Addameer, ha detto che il guasto ha causato l’esplosione di una bombola di gas.
“Un soldato israeliano si è avvicinato a lei dopo che ha lasciato l’auto in fiamme, ha urlato e le ha puntato contro la pistola, e ha proceduto ad arrestarla sul posto”, ha detto Addameer.
L’auto non è stata ispezionata all’indomani dell’incidente dalle autorità israeliane, che secondo Mona non hanno alcun interesse ad
entrare nei colloqui sulle richieste di risarcimento.
Imprigionata nel “mattatoio”.
Jaabis ha trascorso tre mesi all’ospedale di Hadassah Ein Kerem, prima di essere trasferita all’ospedale della prigione di Ramleh, definito da altri detenuti “il mattatoio”.
Nel 2017 è stata condannata a 11 anni di carcere dal tribunale centrale di Gerusalemme con l’accusa di tentato omicidio.
Israa Jaabis, prigioniera palestinese:
La settimana scorsa, Jaabis è comparsa in tribunale per presentare ricorso in appello contro la sua sentenza. L’appello è stato rinviato fino a nuovo avviso.
C’è un dolore più grande di questo? Non vedo alcuna giustificazione per il motivo per cui sono qui in prigione.
Leah Tsemel, l’avvocato di Jaabis, disse ad Al Jazeera: “Non sta molto bene e sta soffrendo e soffrendo molto… Le stanno dando delle vitamine, ma non si sta curando bene e non si sta facendo nulla per migliorare il suo aspetto”.
Potrebbe essere troppo tardi”.
Al bambino è stato permesso di vedere la madre dopo 18 mesi di detenzione, ma tali visite sono state interrotte, ha detto l’IPS, perché non ha il documento d’identità richiesto.
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