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Come negli Stati Uniti, anche in Israele la violenza razzista è radicata nella polizia

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Negli Stati Uniti, l’attività di polizia può essere fatta risalire alle “ slave patrols”* del diciannovesimo secolo, composte da giovani uomini bianchi. In Israele, le forze di sicurezza hanno radici nell’Haganah, un gruppo di milizie sioniste coinvolte nella pulizia etnica della Palestina.

Fonte: english version

Jessica Buxbaum – 15 aprile 2021

Foto di copertina: Le reclute dell’Haganah marciano da un campo segreto utilizzato dall’organizzazione prima di essere inviate nelle sicure colonie ebraiche periferiche. Foto | AP

HAIFA, ISRAELE – La violenza di Stato israeliana si manifesta in diversi modi: uccisioni di polizia, demolizioni di case, sfollamenti e detenzioni, ma ognuno è fondato sulla stessa ideologia colonialista che dura da decenni

Negli Stati Uniti, l’attività di polizia può essere fatta risalire alle  “slave patrols” del diciannovesimo secolo progettate per controllare e sopprimere i neri. In Israele, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) e l’agenzia di sicurezza israeliana, Shin Bet, hanno radici nell’Haganah, un gruppo di milizie sioniste coinvolto nella pulizia etnica della Palestina (nota come Nakba) prima che Israele diventasse uno Stato.

Le organizzazioni ramificate dell’Haganah, Irgun e Lehi, hanno commesso atrocità come il massacro di Deir Yassin. Il 9 aprile 1948, questi combattenti sionisti presero d’assalto il villaggio di Deir Yassin, “giustiziarono più di 100 uomini, donne e bambini, e poi bruciarono i loro corpi.”

La storia israeliana dell’Haganah cerca spesso di dissociarlo dalle organizzazioni paramilitari di destra Irgun e Lehi, ma i massacri erano una parte centrale della strategia dell’Haganah. Durante la Nakba, l’Haganah eseguì bombardamenti, esecuzioni e persino evirazioni.

Miko Peled, un attivista per i diritti umani il cui padre  prestò servizio nell’esercito israeliano e faceva parte dell’Haganah, considera il gruppo sionista un’organizzazione terroristica.

“La loro intera esistenza era dedicata a perseguire la pulizia etnica della Palestina. E non c’è altro modo di eseguire la pulizia etnica se non terrorizzando la popolazione”, ha detto Peled, aggiungendo:

“L’Haganah divenne l’esercito israeliano dopo il maggio del 1948, ma in termini di modalità di operazioni e ideologia, erano in realtà la stessa organizzazione terroristica glorificata ora come esercito”.

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Membri della milizia sionista camminano davanti a un hotel arabo bombardato dall’Haganah a Gerusalemme, il 6 maggio 1948. Jim Pringle | AP

Mentre l’IDF proviene dall’Haganah, la polizia israeliana proviene dalle forze di polizia palestinesi. Fondata dagli inglesi, l’organizzazione è passata da un’istituzione che alla sua fondazione nel 1920 era  principalmente palestinese, a una per lo più composta da ufficiali britannici ed ebrei nel 1948.

In particolare, le forze ebraiche dominavano il Notrim, un ramo del servizio di difesa degli insediamenti ebraici. La maggioranza dei suoi membri furono reclutati dall’Haganah. Il Notrim è diventato quello che oggi è conosciuto come la Polizia Militare israeliana. Tra il 1947 e il 1948, gli agenti di polizia palestinesi si unirono alle forze arabe per difendere la Palestina, mentre la polizia ebraica collaborò con le milizie sioniste.

Peled ha spiegato che queste interconnessioni tra le diverse forze di polizia e militari esistono ancora:

“La polizia, l’esercito e lo Shabak (Shin Bet) lavorano tutti insieme. Molti ufficiali si congedano dall’esercito ed entrano nella polizia o nello Shabak. Sono stati tutti cresciuti  con la stessa ideologia e metodologia, e  con il principio che le vite palestinesi non contano”.

La violenza e le convinzioni razziste delle”slave patrols” , dell’Haganah e delle forze di polizia palestinesi si possono vedere ancora oggi nella polizia americana e nell’esercito israeliano.

L’emergenza della violenza poliziesca in Israele e Palestina

Il 29 marzo, la madre di Munir Anabtawi chiese l’intervento della polizia per farsi aiutare a dissuadere il figlio mentalmente instabile, che brandiva un coltello, nella loro casa nel quartiere Wadi Nisnas di Haifa. La polizia arrivò, ma invece di risolvere la situazione, un agente sparò due volte al petto di  Anabtawi, uccidendolo.

L’episodio  suscitò rinnovata preoccupazione per il trattamento riservato dalla polizia israeliana alle comunità emarginate, in particolare ai palestinesi con e senza cittadinanza israeliana.

Anabtawi, 33 anni, era un cittadino palestinese di Israele. La sua uccisione è ancora sotto inchiesta, ma l’ufficiale che lo ha ucciso è ora tornato in servizio dopo che il Ministero della Giustizia israeliano ha accettato la sua versione di aver sparato per legittima difesa. Secondo l’ufficiale, Anabtawi  aveva cercato di pugnalarlo. Un coltello  venne rinvenuto sulla scena.

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Palestinesi della città occupata di Haifa protestano dopo l’omicidio di Munir Anabtawi, il 30 marzo 2021. Foto | Activestills

Sia il Ministro di Pubblica Sicurezza Amir Ohana che il Comandante in Capo della Polizia si sono schierati a sostegno dell’ufficiale.

Alber Nahas, l’avvocato della famiglia Anabtawi, contesta la logica dell’autodifesa della polizia. Sostiene che la polizia è professionale e dovrebbe sapere come evitare la degenerazione di uno scontro senza uccidere un individuo.

“Avrebbero potuto sparargli alle gambe, non al petto”, ha detto Nahas.

La polizia israeliana ha imposto un ordine di riservatezza sul caso di Anabtawi per evitare ulteriori denunce. La famiglia di Anabtawi ha richiesto che l’autopsia fosse eseguita dal proprio rappresentante. Tuttavia Nahas ha detto che i risultati dell’autopsia rimangono sconosciuti a causa dell’ordine di riservatezza.

Il giorno dopo la morte di Anabtawi, la folla si  riunì sventolando bandiere palestinesi davanti alla casa della sua famiglia per protestare contro l’omicidio.

Nelle ultime settimane, sono iniziate imponenti manifestazioni nelle comunità palestinesi all’interno di Israele per protestare contro la brutalità della polizia contro i cittadini palestinesi di Israele e per la cattiva gestione della violenza derivante dal crimine organizzato da parte delle forze dell’ordine.

Le riprese video di una protesta di febbraio a Umm al-Fahm, nel nord di Israele, mostrano agenti di polizia che impiegano un uso eccessivo della forza contro i partecipanti. Il largo impiego di gas lacrimogeni e granate stordenti da parte della polizia ha procurato a un manifestante lesioni che hanno richiesto un intervento chirurgico alla testa.

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A febbraio, Ahmad Hejazi, un cittadino palestinese di Israele che stava semplicemente camminando,rimase ucciso quando la polizia aprì il fuoco durante una incursione.

Queste azioni hanno spinto le organizzazioni per i diritti umani come Adalah, The Legal Center for Arab Minority Rights in Israel (Centro Legale per i Diritti delle Minoranze Arabe in Israele) e membri palestinesi del parlamento israeliano ad accusare gli agenti di polizia di considerare i cittadini palestinesi come nemici dello Stato.

“L’uccisione del 33enne Munir Anabtawi è semplicemente la continuazione del trattamento aggressivo praticato dalla polizia nei confronti dei cittadini arabi”, ha dichiarato al “Times of Israel” Ayman Odeh, capo della Lista Congiunta, una coalizione dei principali partiti politici arabi di Israele. “La polizia vede i cittadini arabi come nemici, non come cittadini uguali”.

Secondo il Mossawa Center, un’organizzazione per la difesa dei palestinesi in Israele, la polizia israeliana ha ucciso 62 cittadini palestinesi di Israele e 47 di queste morti possono essere attribuite al razzismo. Suha Salman Mousa, direttore esecutivo di Mossawa, ha spiegato come questa violenza sia intrinsecamente razzista.

“Dal 2000 vediamo che il Capo della Polizia, gli agenti di polizia e l’intero sistema stanno discriminando i cittadini arabi di Israele. E questo fa parte del razzismo di cui soffriamo. Soffriamo di razzismo sotto forma di brutalità della polizia, soffriamo di razzismo nelle leggi approvate dalla Knesset (parlamento israeliano) e soffriamo di razzismo con la demolizione di case. Soffriamo di razzismo in tutti gli aspetti della vita, e uno di questi è la brutalità della polizia”.

Black Lives Matter, Palestinian Lives Matter (La vita dei neri conta, la vita dei palestinesi conta)

L’anno scorso, sulla scia degli orribili omicidi della polizia di Breonna Taylor e George Floyd e della rinascita del Movimento Black Lives Matter negli Stati Uniti, Palestina e Israele  hanno avuto il proprio Movimento Palestinian Lives Matter.

Il 30 maggio 2020, la polizia di frontiera israeliana  uccise Iyad Hallak, un uomo palestinese con autismo, a Gerusalemme. Il motivo dell’esecuzione? Gli agenti sospettavano che Hallak fosse armato. Dopo la sua morte si scoprì che non aveva  nessuna arma.

Palestinesi e attivisti israeliani fecero una comparazione tra la morte di Floyd e quella di Hallak. Il volto di George Floyd è stato dipinto sul Muro dell’Apartheid, la barriera che separa la Cisgiordania e Israele. Gli attivisti che manifestarono contro l’uccisione di Hallak a Tel Aviv e Gerusalemme  brandivano cartelli con la scritta “Palestinian Lives Matter”, un ovvio riferimento alla lotta per i diritti civili in corso negli Stati Uniti.

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Il  murale raffigurante George Floyd sul muro dell’apartheid israeliano nella città palestinese di Betlemme, 9 aprile 2021. Maya Alleruzzo |  AP

L’uccisione di Anabtawi riporta alla mente quella di Hallak. ” Secondo la sorella , Anabtawi avrebbe potuto essere arrestato senza sparargli, “, ha detto il membro palestinese della Knesset Ahmad Tibi. “I nomi Iyad Hallak e Mustafa Yunis Zel, morti per mano di agenti dal grilletto facile, ritornano.”

Proprio come gli afroamericani sono visti come sospetti dalla polizia statunitense, così i palestinesi dalle forze israeliane.

“Ogni volta che la polizia vede un arabo, diventa immediatamente un bersaglio”, ha detto ad Al-Monitor, pochi giorni dopo la sua morte, uno dei parenti di Hallak, Hatem Awiwi.

Per Mousa, la violenza della polizia negli Stati Uniti e in Israele-Palestina è il prodotto di un problema diffuso condiviso: “Se lo si paragona con il Movimento Black Lives Matter e gli agenti di polizia negli Stati Uniti, è il razzismo. È quasi la stessa cosa.”

Un connubio tra polizia israeliana e americana

La polizia americana ha ucciso 1.127 persone nel 2020, il 28% di coloro che sono stati uccisi erano afroamericani; la popolazione afroamericana degli Stati Uniti è poco più del 12%.

Dall’altra parte del mondo, in Palestina-Israele, i numeri raccontano una storia simile. Nel 2019, si sa che dalla polizia sono state uccise 13 persone, 11  delle quali erano palestinesi e altre due erano di origine etiope.

Nonostante la differenza nelle statistiche, un continuo scambio di pratiche militanti e tattiche illegali accomuna le due organizzazioni.

Nel 2002, il Jewish Institute for National Security Affairs (Istituto Ebraico per gli Affari di Sicurezza Nazionale – JINSA) ha avviato uno scambio tra le forze di polizia israeliane e americane. Il suo successo ha dato vita a un programma di scambio ufficiale tra gli alleati, in base al quale ogni anno centinaia di agenti di polizia americani si recano in Israele per l’addestramento con il personale militare e di polizia. Altre migliaia partecipano a conferenze e seminari guidati da funzionari israeliani negli Stati Uniti.

Secondo un rapporto del 2018 di Researching the American-Israeli Alliance (Ricerca sull’Alleanza Americano-Israeliana – RAIA), mentre gli scambi sono propagandati come un’opportunità per la polizia americana di collaborare con un alleato straniero e acquisire una preziosa esperienza antiterrorismo, in realtà rafforzano le pratiche discriminatorie insite nelle forze dell’ordine. In particolare, questi scambi migliorano le strategie di sorveglianza, profilazione razziale e repressione forzata delle proteste tra gli agenti di polizia americani. RAIA ha scritto:

“Al loro ritorno, gli agenti delle forze dell’ordine statunitensi implementano le pratiche apprese dall’uso israeliano della sorveglianza invasiva, profilazione razziale e forza repressiva contro il dissenso. Piuttosto che promuovere la sicurezza per tutti, questi programmi facilitano uno scambio di metodi di violenza e controllo statale che mettono in pericolo tutti noi”.

Nel complesso, questa “israelizzazione” della polizia statunitense porta a una maggiore militarizzazione di una forza di polizia già fortemente militarizzata.

In Israele, i cittadini sono obbligati a trascorrere due anni nell’esercito. L’avvocato della famiglia Anabtawi ha detto che gli piacerebbe credere che gli agenti di polizia provenienti dall’IDF capissero la differenza tra un cittadino e un nemico. Alber Nahas ha spiegato:

“Quando sei con l’esercito, stai combattendo il nemico. Se stai combattendo il nemico, è più facile sparare, uccidere il nemico, ma la polizia non dovrebbe guardare il popolo arabo, i cittadini all’interno del paese, come nemici. Quindi, il governo dovrebbe istruire meglio la polizia in modo che ciò non accada.

Perché le statistiche ci dicono che ci sono più arabi che non arabi uccisi dai poliziotti. E questo non dovrebbe essere umanamente accettabile.”

Jessica Buxbaum è una giornalista con sede a Gerusalemme per MintPress News che copre Palestina, Israele e Siria. Il suo lavoro è stato pubblicato su Middle East Eye, The New Arab e Gulf News.

* Slave Patrols (pattuglie degli schiavi), squadroni composti da volontari bianchi autorizzati a far rispettare le leggi relative alla schiavitù. Queste pattuglie cercavano gli schiavi fuggiti e li restituivano ai padroni, sopprimevano le rivolte degli schiavi e punivano gli stessi, ritenuti colpevoli di aver violato le regole del lavoro nelle piantagioni. I membri delle Slave Patrols inoltre potevano entrare con la forza nelle case di chiunque, indipendentemente dalla loro razza o etnia, sulla base del sospetto che stessero dando rifugio a persone scampate alla schiavitù. Le prime Slave Patrols sorsero nella Carolina del Sud all’inizio del 1700.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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