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Dall’ HubMeeting tra saperi, condizione femminile e mutualismo nella crisi.

 

Durante il pomeriggio della seconda giornata del Meeting si sono svolti due workshop dedicati alla tematica del mondo dei saperi e a quella delle donne nel contesto della crisi e le forme radicali di mutualismo sociale. Il workshop incentrato sulla conoscenza ha visto la partecipazione di diversi studenti di Ljubljana e dintorni, oltre che a universitari italiani, austriaci, lituani, croati,portoghesi.

E’ stato un confronto e uno scambio di esperienze e impressioni molto intenso, dove sono emerse tutte le complessità del caso nel trovare una lettura univoca delle problematiche della gestione aziendale dei saperi, che trova differenti declinazioni e diverse risposte dal basso da un paese all’altro. A riprova dell’importanza di avere uno sguardo transnazionale sia sul breve che sul lungo termine tutti i compagni e le compagne presenti al workshop hanno ribadito l’importanza di darsi spazi e tempi di vita autonomi dove poter far circolare saperi di lotta e altri rispetto a quelli imposti dalle corporazioni e dalle istituzioni.

Si é molto dibattuto anche sulle strategie di contrapposizione e di attacco dei dispositivi di governance sui saperi, partendo dalla prospettiva che essi non siano qualcosa di oggettivamente dato, ma un campo in cui confliggere e sperimentare modalità organizzative. Molti interventi hanno ribadito la necessità di estendere e generalizzare le istanze studentesche oltre le mura di scuole e università allargando il raggio d’intervento al tessuto metropolitano.

Il tutto proprio nel giorno in cui in Italia studenti e precari mettevano in campo una data transregionale di mobilitazione per la riappropriazione di reddito e spazi che a partire dal mondo della formazione ha parlato a tutta la società riguardo a forme di resistenza e contrattacco nel tempo dell’austerity. Alcuni interventi hanno insistito anche sull’importanza del libero accesso alla cultura tramite lotte per l’open source e la liberazione di spazi culturali come sta avvenendo anche in Italia con l’esperienza dei teatri occupati.

In seconda battuta i partecipanti all’Hub Meeting si sono ritrovati nell’atelier “Tiffany”, all’interno dello spazio sociale Metelkova. Qui si é tenuto il workshop dal titolo “Women Crisis and Social (Radical) Care”, che si è aperto con gli interventi del gruppo femminista e lesbico dell’Università di Ljubljana. Questo gruppo di attiviste porta avanti da tempo iniziative sull’antisessismo, tematiche antipatriarcali e sostenendo altri gruppi femministi e di emancipazione sociale come le Pussy Riot, all’interno di spazi autonomi e liberati. A livello di pensiero le compagne di Ljubljana si pongono l’interrogativo costante su come portare avanti strategie femministe e al contempo anticapitaliste in un contesto sociale allargato. I loro interventi e le loro proposte vengono spesso comunicate attraverso la ripresa di strade e piazze.

A livello analitico, il workshop si è incentrato dapprima sull’analisi della figura femminile dentro la crisi, in particolare nel contesto dell’Europa dell’Est. Sono state citate due nuove categorie centrali introdotte nel pensiero femminista balcanico, cioè la “ridomesticizzazione” delle donne e la “ripatriarcalizzazione” della società nei paesi post-socialisti. Queste categorie sono presenti in quasi ogni ragionamento sociale del femminismo sloveno, che vede l’attuale imposizione di misure di austerity e tagli in modo strettamente connesso col potenziamento delle istanze femminili e la svalorizzazione delle proprie capacità.

Capita sempre più spesso all’interno delle società balcaniche che il salario femminile sia considerato come una appendice utile ma non importante all’interno dei nuclei familiari. Ne consegue che le donne in senso esteso stanno perdendo in maniera esponenziale la loro indipendenza economica e stanno tornando sempre di più ad essere relegate al lavoro di riproduzione, quando i sussidi per la maternità sono sempre meno e i posti negli asili nidi sempre più scarsi. Nella coscienza comune il lavoro di casalinga che sta dietro alle faccende domestiche e ai figli viene considerato un non lavoro, che quindi non necessita un salario, mettendo seriamente a rischio queste donne di ritrovarsi al di sotto del livello di povertà.

Quindi sono intervenute la compagne del gruppo del Social Care workers che inizialmente hanno letto il loro manifesto di denuncia su come il sistema dei servizi sociali costringa i suoi dipendenti a diventare dei supervisori sociali continuamente impegnati ad occuparsi di un numero sempre maggiore di soggetti sempre più in condizioni disperate, create dal sistema di ricatto e sfruttamento dei tagli statali che tolgono ai poveri per dare ai ricchi. Queste condizioni azzerano anche la speranza minima di sopravvivenza di questi soggetti rendendo il lavoro degli operatori una battaglia senza via d’uscita.

Denunciando quindi la violenza sistematica intrinseca a questa situazione le ragazze hanno deciso di tradurre le loro analisi in pratiche da portare e condividere all’interno dei momenti di mobilitazione che hanno attraversato il loro paese. Dal fronteggiare la polizia schierata con assorbenti interni colorati di rosso e palloncini di vernice al portare urla e cori da “hooligans” in corteo (approccio che a qualcuno negli stessi cortei non sembra molto attinente a delle donne), il loro scopo è stato anche portare in evidenza la visione al femminile dei problemi creati dalla crisi e la lotta contro questi all’interno di un contesto generale, visione e impegno che anche se fortemente presenti faticano a rendersi visibili, a differenza invece del protagonismo maschile.

Altre pratiche menzionate si avvalgono della riappriopriazione diretta dei muri, attraverso le mobilitazioni “one minute” che utilizzano il linguaggio dei graffiti sui palazzi del potere, o di spazi abbandonati come nel caso di un vecchio cinema che è stato occupato per costruire un workshop di presentazione di filmati zapatisti. L’intervento di una compagna di Berlino ha posto l’accento su come le lotte delle donne in questo periodo di crisi stiano diventando sempre più radicali in tutta Europa e come solo queste gettino realmente le basi per una prospettiva di trasformazione della società.

Dall’Italia sono state portate le importanti (e per ora putroppo abbastanza eccezionali)esperienze delle lotte contro la Sodexo di Pisa e delle donne NoTav in Val di Susa. In particolare l’interesse per la lotta della Sodexo si è rivelato molto alto (diverse compagne e compagni conoscevano questa vicenda), accogliendo molto favorevolmente il coraggio e la dignità che ha contraddistinto le lavoratrici e ha fatto parlare di sé a tanti altri settori sociali dai quali hanno incassato solidarietà e vicinanza.

Infine il workshop ha dibattuto sul ruolo particolare dell’operatore sociale su cui le compagne delle social care workers si stanno interrogando dal momento della loro nascita come gruppo, all’incirca cinque mesi fa. I punti centrali della loro riflessione sono l’approccio a questo ruolo non in termini umanitari, ma per ricomporre quei soggetti “scartati” dalla società aiutandoli ad acquisire (o a riacquisire) le capacità per identificare i loro reali bisogni e a perseguirli in modo diretto; rifiutano le categorie psichiatriche che normalmente incasellano i soggetti che arrivano ai servizi sociali, mettendoli in condizione di potersi reinventare un’identità attiva e non vittimista che partecipi direttamente alle lotte contro il sistema che crea le condizioni per l’esistenza della povertà e del disadattamento; rifiutano la concezione di lavoro volontaristico, poiché pretendono che il ruolo degli operatori sia riconosciuto dallo stato come lavoro necessariamente finanziato.

Il workshop si è concluso con una riflessione sul loro obiettivo a lungo termine, ovvero quello dell’eliminazione del ruolo dell’assistente sociale in un contesto in cui i bisogni di ogni individuo sono garantiti e raggiungibili. Una costante riscontrabile in ogni intervento e fondamentale per capire l’essenza e la vitalità del movimento femminista sloveno, protagonista di mobilitazioni allargate e a tutto campo negli ultimi mesi, è la profonda convinzione che all’interno dei processi rivoluzionari si deve innervare ed estendere una concezione totalmente antipatriarcale della società.

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