Damasco e la pax siriana
di Gabriele Pedrini (collaboratore de Il Mulino)
Segnalatoci da un nostro contatto in Siria, pubblichiamo questa interessante cronaca per la Rivista del Mulino. Un contributo interessante, scritto da chi a Damasco ci vive e sta osservando gli accadimenti in prima persona, scevro tanto dagli interessi di certi media nostrani quanto dal bisogno di difendere il ‘Leoncino di Damasco’.
Il 2011 sarà ricordato come un anno cruciale nella storia del mondo arabo. Il cosiddetto “vento della rivolta” ha interessato profondamente alcuni Paesi, meno altri. La Siria rientra sicuramente tra questi ultimi. Tuttavia, anche qui non sono mancati segnali che per taluni osservatori hanno lasciato intravedere la conferma di un possibile “effetto contagio”.In queste ultime settimane, alcuni centri della Siria sono stati interessati da manifestazioni anti-governative, in particolare a Dara’a, città del sud a pochi chilometri dal confine giordano. Stando alle notizie circolanti, le manifestazioni sarebbero state represse duramente, causando un numero imprecisato di morti, ma – allo stato attuale – non ci è data la possibilità di verificare né l’entità delle vittime né il tenore della protesta.
È interessante notare come, a differenza delle rivoluzioni egiziana e tunisina, il fattore “internet” sia stato profondamente sterile nel suscitare la protesta, in un Paese dove – tra l’altro – l’accesso a Facebook e Youtube è ormai libero. La pagina di Facebook Syrian Revolution 2011 aveva proclamato per il 4 febbraio la “Giornata della Collera”, annunciando una imponente manifestazione popolare a Damasco. Malgrado ciò, la chiamata a raccolta non ha sortito gli effetti sperati: la manifestazione è andata deserta. Gli organizzatori hanno quindi indetto una nuova manifestazione, svoltasi il 15 marzo nel centrale suq Hamadiya di Damasco, che ha visto una partecipazione piuttosto esigua (40-50 persone) suscitando – tra l’altro – il disappunto di passanti e negozianti. Il terzo appuntamento è stato fissato il 25 marzo sempre a Damasco, davanti alla moschea degli Omayyadi, dove il numero dei manifestanti è stato addirittura inferiore a quello dell’appuntamento precedente, sovrastato dalle migliaia di manifestanti pro-Bashar che hanno animato la capitale fino a notte fonda.
Nel momento in cui scriviamo sono in corso di svolgimento manifestazioni pro-Bashar in tutte le principali città siriane. In particolare, a Damasco sono scese in piazza diverse centinaia di migliaia di persone che hanno invaso il centro della capitale con bandiere siriane e foto del presidente Al-Asad, il cui discorso alla nazione davanti al Parlamento siriano è atteso per oggi o domani. Nel frattempo, ieri il governo in carica ha provveduto a rassegnare le dimissioni nelle mani del presidente. Stando a quanto affermano le autorità siriane, sarebbe in cantiere una serie di riforme che il nuovo esecutivo dovrà farsi carico di attuare: abrogazione dello stato di emergenza in vigore dal 1963, liberalizzazione del sistema partitico e dell’informazione. Sembrerebbe dunque che gli inviti al rovesciamento delle istituzioni non abbiano sortito l’effetto che taluni davano per scontato.
La Siria si è rivelata un Paese decisamente più stabile rispetto a Egitto e Tunisia, nonostante la sua economia sia più povera e le risorse naturali scarseggino. La diversità di risposta del popolo siriano al “vento della rivolta” si può spiegare attraverso il fattore ideologico, in ragione dell’alto livello di ideologizzazione di tutta la regione vicinorientale, dovuto a quattro fattori principali: a) cronica instabilità regionale, b) conflitto arabo-israeliano, c) fallimenti del processo di pace, d) costante ingerenza delle potenze occidentali. La radicale coerenza nella politica estera e la scelta della Siria di far proprio il sentimento popolare di rivalsa nei confronti di queste ultime e di Israele ha impedito che nel popolo siriano fermentasse quello stesso sentimento di frustrazione e di impotenza che ha portato alla caduta di Mubarak e di Ben ‘Ali, la cui politica di allineamento occidentale è stata una costante. Seppure sia spesso sottovalutato dagli analisti, tale fattore si è dimostrato decisivo nel diffondere la volontà di cambiamento. Al contrario, Bashar Al-‘Asad è diffusamente percepito come un presidente in grado di rappresentare i sentimenti e le istanze popolari e nazionali. Gli sviluppi degli eventi e le imponenti manifestazioni in corso sembrano confermare tale tesi.
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