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Dopo-Morsi: Assad brinda, Istanbul accusa, Qatar piange

È questo uno dei riflessi più importanti della deposizione, sotto la minaccia dei fucili dell’Esercito egiziano, del presidente Mohammed Morsi, uno dei leader della Fratellanza. Una battuta d’arresto nel più importante dei Paesi arabi che non può non avere effetti nel resto della regione. Non a caso la Turchia islamista del premier Erdogan (anch’egli contestato da settimane nel suo Paese) e del ministro degli esteri Davutoglu è stata la più rapida nel condannare il golpe attuato dai militari egiziani. Anche perché la Turchia ha una lunga storia di “interventi” delle Forze Armate contro i movimenti islamisti in forte ascesa, a “salvaguardia” dello Stato laico.

«È inaccettabile rovesciare con un golpe militare un governo democraticamente eletto», ha commentato Davutoglu. E non sorprende neppure che una condanna giunga dalla Tunisia, culla della «primavera araba», dove il partito di governo en-Nahda, versione locale della Fratellanza, ha definito «un colpo alla democrazia» la cacciata di Morsi.

Diverse le reazioni dei petromonarchi del Golfo. Re e principi sauditi, kuwaitiani ed emiratini, in perenne lotta contro i Fratelli Musulmani, si sono prontamente congratulati con il neo presidente ad interim dell’Egitto, Adly Mansour. È di questa settimana la notizia della condanna negli Emirati di 49 islamisti a dieci anni di reclusione con l’accusa di «complotto mirato a rovesciare il governo».

Mandano al Cairo messaggi di auguri anche gli emiri vecchi e nuovi del Qatar che però dietro le quinte imprecano. I qatarioti da qualche anno sono lo sponsor principale dei Fratelli Musulmani ovunque, dalla Siria in guerra civile a Gaza controllata da Hamas e sotto blocco israeliano.

Non è difficile immaginare il presidente siriano Bashar Assad brindare e festeggiare l’altra sera, assieme al suo entourage, mentre dal Cairo giungeva la notizia della deposizione di Morsi che appena qualche giorno prima, in aperto sostegno alla ribellione armata (a trazione dei FM) contro il suo regime, aveva interrotto ogni rapporto tra il Cairo e Damasco (un tempo due capitali “sorelle”). Un compiacimento che emerge pienamente dall’intervista data da Assad ai giornali governativi siriani e pubblicata ieri. L’esperimento di governo dei Fratelli musulmani – ha affermato il presidente siriano – «è fallito perché è in contraddizione con la natura del popolo», e perché, sempre a suo dire, gli islamisti hanno un «progetto ipocrita che mira a seminare zizzania» nel mondo arabo. «Gli egiziani non possono sempre essere presi in giro perché sono portatori di una civiltà che ha migliaia di anni e sono forti di un pensiero nazionalista panarabo chiaro», ha commentato Assad.

Frasi scontate dopo due anni e oltre di guerra civile in Siria e di contrapposizione violenta tra regime e opposizione, in buona parte islamista. Senza dimenticare che da 33 anni l’ala siriana dei FM è illegale in Siria e i suoi membri sono puniti con la pena di morte. Agli inizi degli anni Ottanta il padre di Assad, Hafez, massacrò a Hama migliaia di attivisti della Fratellanza in rivolta.

Se le valutazioni di un Assad molto interessato e coinvolto si possono tenere in considerazione solo in parte, è però vero che anche in Occidente si ritiene che la cacciata del presidente Morsi rappresenti una sconfitta significativa per l’Islam politico, anche nella sua espressione più moderna rappresentata dai Fratelli Musulmani.

Gli analisti del Washington Post scrivono che il golpe egiziano avrà ripercussioni in tutto il mondo arabo e azzardano che minerà «il lungo sforzo della Fratellanza Islamica per presentarsi come un’alternativa ai regimi più repressivi della regione».

Invita alla cautela con giudizi e previsioni l’analista arabo Mouin Rabbani. «Di fronte a fatti tanto importanti, come il golpe in Egitto, molti gareggiano nel fare previsioni per i prossimi trent’anni in Medio Oriente – ha notato Rabbani, rispondendo alle domande del manifesto – ricordo che quando furono cacciati i dittatori Ben Ali e Mubarak in Tunisia ed Egitto si disse che i giovani avrebbero guidato il mondo arabo, poi si è detto che gli islamisti avrebbero tenuto nelle loro mani le redini dei Paesi della regione, ora si parla di fine delle ambizioni dei Fratelli Musulmani». Secondo Rabbani piuttosto sarebbe giusto osservare che i processi politici e sociali in Medio Oriente e Nordafrica “sono più rapidi del previsto e che le trasformazioni continueranno, in Egitto come in Turchia, e raggiungeranno anche il Golfo”.

da NenaNews

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