Egitto: 3 anni dopo Piazza Tahrir
Partiamo da 48 ore fa: venerdì diversi ordigni sono scoppiati nelle strade del Cairo, portandosi dietro morte e distruzione. Pochi minuti dopo lo scoppio delle bombe artigianali, mentre venivano contati i morti e soccorsi i feriti, i sostenitori dei Fratelli Musulmani sono diventati l’obiettivo non solo delle centinaia di soldati e poliziotti che correvano per le strade del Cairo, ma anche dei molti residenti che si sono scagliati contro i sostenitori della Fratellanza.
Siano stati o no quest’ultimi a piazzare le 4 bombe che hanno ucciso almeno 5 persone, sia stato il clima influenzato dalla propaganda del regime che non perde un attimo per fomentare l’odio contro la Fratellanza, resta il fatto che quegli attentati – poi rivendicati da una formazione vicina ad Al Qaeda – hanno reso ancor più teso il clima con cui l’Egitto si avvicinava alla ricorrenza di ieri.
Ieri, infatti, ricadeva l’anniversario della caduta di Hosni Mubarak: proprio il 25 Gennaio 2011, dopo le 18 giornate di occupazione di Piazza Tahrir, il vecchio raìs finalmente lascia il potere. Si aprono giornate di speranza e di felicità: un milione di persone in festa a mostrare un unità e una speranza che sembrano, ad oggi, essere scomparse.
Dopo Mubarak il popolo egiziano si è ribellato contro i militari di Tantawi, poi contro l’Islam di Morsi, e ora si trova stretto proprio tra quei due poteri che poco tempo fa si era mobilitato per abbattere.
Dalla mattina di ieri le principali città egiziane sono state attraversate da migliaia di manifestanti, raggruppati in 3 diversi schieramenti: sostenitori dell’Islam di Morsi, sostenitori dei militari, attivisti del “Revolutionary Path Front”.
Quest’ultimi, coalizione formata da gruppi e attivisti laici come il 6 April e i Socialisti Rivoluzionari, si sono concentrati in due punti della capitale egiziana: l’uno di fronte alla Moschea Mostafa Mahmoud, l’altro di fronte alla sede del sindacato dei giornalisti, nei pressi di Piazza Tahrir. Le parole d’ordine dei manifestanti sono state “no ai militari, no all’ Ikhwan” (Fratelli Musulmani), “giustizia e libertà”.
I sostenitori dei Fratelli Musulmani, sotto la sigla “National Alliance to Support Legitimacy”, si sono invece dati appuntamento di fronte a 30 diverse Moschee solo al Cairo, per poi marciare in direzione Piazza Tahrir in sostegno a Morsi e contro un governo che ritengono tirannico e illegittimo.
Infine i sostenitori dei militari, in Piazza Tahrir a manifestare il loro appoggio al governo, l’unico, secondo loro, capace di salvare il paese dalla deriva islamica.
Un 25 gennaio che ha visto quindi decine di migliaia di egiziani nelle strade a gridare la parola “rivoluzione”, ma con 3 diverse accezioni.
Già dalla mattina gli scontri sono divampati in molte zone dell’Egitto. Scontri tra le tre diverse piazze: lealisti del governo in carica contro Fratelli Musulmani; scontri di questi con la piazza laica. Ma anche repressione militare contro le due piazze “nemiche”: quella dei Fratelli Musulmani e del “Fronte Rivoluzionario”.
Dinamiche non chiare. Gli stessi media egiziani narrano versioni contrastanti delle dinamiche di piazza. Ciò che è sicuro è l’alto numero delle vittime, per adesso 49 accertati; molti al Cairo nei pressi di Piazza Tahrir (dove nel pomeriggio cercavano di confluire tutte le varie manifestazioni), una decina a Giza, altri tra Alessandra, Minya, Ismalia, Aswan. Centinaia i feriti, un numero imprecisato di arresti.
Inoltre, sempre nella giornata di ieri una postazione militare è stata attaccata nel Sinai, zona desertica sempre più preda di azioni che i media attribuiscono a Al Qaeda, o semplicemente a gruppi tribali. Dopo poche ore, un elicottero con personale militare si è schiantato al suolo, in circostanze ancora poco chiare, durante “operazioni antiterroristiche” tenutesi nel Sinai, quell’immenso deserto di frontiera in cui il controllo statale sembra non aver lasciato alcuna traccia.
Diversa la situazione dell’altra parte del paese, teatro da ieri di scontri e di piazze contrapposte.
Islam e Sharia, militari e stabilità, giustizia e laicità, queste a grandi linee caratteristiche e rivendicazioni dei tre diversi schieramenti che si sono scontrati nelle piazze egiziane. Con, in più, la (nuova) incognita Al Qaeda, che, stando alle parole dei media arabi e egiziani, starebbe prendendo piede e iniziando a terrorizzare.
Quello che si chiedono gli egiziani e che ci chiediamo tutti, è non solo che ne sarà dell’ “Arab Spring” nel paese, ma anche cosa questo processo abbia rappresentato fino ad oggi. Rivoluzione finita? Rubata? Rivoluzione ancora in corso? Dobbiamo aspettarci una nuova ripresa rivoluzionaria?
Ad ora, dopo tre anni, nessuno ancora riesce a dare una concreta risposta. Se è vero che la giornata di ieri ha reso ancor più incerte le dinamiche e posto ancor più dubbi, è altrettanto vero che ha dimostrato che nelle strade egiziane si torna anche a reclamare una soluzione diversa, contro il “regime vecchio, con facce nuove”.
Riproponiamo infine un video, con sottotitoli in lingua inglese, ma esplicativo anche dalle sole immagini. Il video di Ahram – giornale molto vicino alle autorità egiziane – ben mostra le divisioni e il clima che si respira in Egitto, nonostante non dia adeguatamente ragione ai numeri presenti nelle piazze [sia nella piazza “militare”, sia in quelle dell’ Ikhwan musulmani, che nelle strade “rivoluzionarie”, in molte migliaia manifestavano].
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