Egitto, ex presidente Morsi condannato a 20 anni per scontri del 2012
La Corte criminale del Cairo ha condannato 15 imputati, tra cui il deposto presidente Mohamed Morsi e alcuni membri di spicco della fratellanza musulmana – tra cui Essam al-Erian e Mohamed al-Beltagy – a 20 anni di carcere di massima sicurezza nel processo relativo agli scontri davanti al palazzo presidenziale di Ettehadiya nel 2012.
Gli imputati sono stati condannati per incitamento alla violenza contro i manifestanti ma sono stati assolti dall’accusa di omicidio premeditato e di possesso di armi senza licenza. Quella di oggi è la prima condanna emessa contro Morsi, che si trova attualmente imputato in altri quattro processi, con accuse che vanno dallo spionaggio alla collaborazione con gruppi armati stranieri, tra cui l’organizzazione palestinese Hamas.
I fatti si riferiscono agli scontri avvenuti fuori dal palazzo presidenziale di Ettehadiya il 5 dicembre 2012 – dopo che Morsi aveva presentato la nuova costituzione di ispirazione islamista – durante i quali circa 50 manifestanti vennero tenuti in ostaggio per una notte intera e picchiati da polizia e sostenitori dei Fratelli Musulmani. Nella notte persero la vita 10 persone di entrambe le fazioni e decine furono quelle ferite.
La Corte ha emesso la sentenza rifiutandosi di permettere a Morsi di rispondere ai giudici sulla base del fatto che precedentemente “aveva rifiutato la Corte e messo in dubbio la sua legittimità”, episodio per il quale l’ex presidente è tuttora inquisito. Morsi è stato assegnato ad un avvocato nominato dal Tribunale, dopo che aveva rifiutato di assumere la propria difesa.
Le indagini avrebbero dimostrato che Essam al-Erian, Mohamed al-Beltagy e Wagdy Ghoneim avevano incitato allo sgombero forzato del presidio che si svolgeva davanti al Palazzo Presidenziale. Gli imputati sono stati accusati di avere attaccato e torturato i manifestanti, tra cui il giornalista Abu Deif Al-Husseini – che fu colpito alla testa da un colpo di pistola.
Gli avvocati dell’accusa, quasi tutti attivisti di organizzazioni di sinistra, hanno dichiarato di avere chiesto la pena massima, pur chiarendo di essere contrari alla condanna a morte. L’avvocato Hoda Nasrallah — dell’iniziativa egiziana per i diritti personali — ha comunicato al sito egiziano indipendente Mada Masr: “è chiaro che c’è un diluvio di condanne a morte, insieme all’imposizione di sanzioni esagerate per gli imputati affiliati alla fratellanza musulmana. Tuttavia, resta il fatto che la fratellanza musulmana — nel corso dell’anno in cui assunse il potere [sotto la presidenza di Morsi, ndr] — ha commesso crimini che richiedono un’azione legale”.
Ciononostante la condanna di oggi riporta al centro dell’attenzione la dura battaglia in atto tra lo stato (attualmente guidato dalla giunta militare con a capo il generale al-Sisi) e la fratellanza musulmana. Morsi, ex leader dell’ala politica dei Fratelli musulmani [il Partito di Libertà e Giustizia, ndr], è stato eletto alla presidenza del Paese nel 2012 ed è stato successivamente deposto da un golpe militare nell’estate del 2013 dall’allora capo militare e ministro alla difesa Abdel Fattah as-Sisi. In seguito al colpo di stato, i leader dei Fratelli Musulmani e i loro sostenitori (ma anche gli attivisti laici e di sinistra) sono stati duramente repressi con il processi sommari e omicidi: all’oggi si stima, infatti, che siano oltre 41.000 i prigionieri politici in tutto l’Egitto.
La condanna di oggi prosegue in questo senso il processo che il presidente al-Sisi ha intrapreso nell’ottica di eliminare – fisicamente e politicamente – tutti i protagonisti emersi dopo la rivolta che nel gennaio 2011 portò alla deposizione del raìs Mubarak. La mancata condanna a morte di Morsi è dunque da leggersi anche nell’ottica di una volontà, da parte della giunta militare, di non esasperare gli animi dei sostenitori della fratellanza musulmana con il rischio di riaccendere focolai di protesta nel paese, dopo i duri scontri di gennaio e la strage contro gli ultras dello Zamalek lo scorso 9 febbraio.
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