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Elezioni catalane: cede l’opzione indipendentista. Avanzano le ragioni dei movimenti

Le elezioni nella Comunidad, partecipate perché collocate in un momento di sfiducia verso il Governo di Madrid ai massimi storici, consegna al partito indipendentista di destra CIU un notevole smacco; nonostante il tentativo del presidente Màs di minimizzare la portata del risultato sulle principali testate locali e internazionali, la coalizione, espressione dei poteri economici forti della regione, ha perso oltre 120mila voti e dodici seggi rispetto al 2010.

Prende forza, per contro, la sinistra repubblicana di Catalunya (Erc), che vede raddoppiare i suoi seggi. Questi risultati nella loro ambivalenza vanno anche letti come il frutto del lavoro dei movimenti contro la crisi e l’austerità che, con una notevole campagna di contro-informazione centrata sulla nocività dello strapotere di CiU e l’autoritarismo dell’opzione secessionista di stampo neoliberista da una parte e contro ogni opzione di voto legata a partiti spagnoli dall’altra, hanno rotto lo schema politico su cui il sistema dei partiti sembrava orientarsi.

La propaganda elettorale portata avanti da CiU si è “affievolita” nelle ultimissime settimane, dopo l’exploit populista del 9 settembre, quando a Barcellona un milione e mezzo di persone erano scese in piazza animate da un sentimento indipendentista non prettamente identitario ma che era più che altro una declinazione del dissenso verso le misure del governo centrale spagnolo .

Adesso più in che in altri momenti di chiamata alle urne, non è risultato difficile per molti catalani vedere le contraddizioni intrinseche nel discorso di Màs, e dell’alta borghesia catalana, nel promettere una soluzione di “libertà” basata su una forma – stato ancor più rigida e classista di quella centrale e ad ogni modo legata anch’essa ai dettami della troika, essendo la finanza e l’economia della regione troppo importanti per i delicatissimi equilibri dell’ UE.

Fa da corollario l’annunciato tracollo della compagine del partito socialista, mentre paradossalmente cresce di un seggio rispetto al 2010 la rappresentanza del Partito Popolare catalano, beneficiario indiretto del timore di uno strapotere dell’opzione secessionista.

Non esce rafforzato nemmeno il CUP (Candidatura d’Unitat Popular- Alternativa d’ Esquerres): la base movimentista del suo elettorato mal digerisce le contraddizioni di un partito socialista radicale che aspira ancora ad una forma di stato catalano indipendente tipica del XX° secolo e palesemente in contrasto con il respiro transnazionale assunto dalla forma-movimento in risposta alla crisi globale.

La messa in discussione dell’esistente portata avanti dai movimenti catalani, arricchita dal contemporaneo evolversi e radicalizzarsi in maniera difforme della crisi della rappresentanza su tutto il territorio spagnolo, espressasi anche il 14n su un piano che rivendica immediatamente la costruzione di uno spazio transnazionale mediterraneo ed europeo incentrato sulle lotte e i desideri dei soggetti che lo vivono, è stato un agente non secondario sull’esito di questa tornata elettorale che ha scalfito concretamente la macchina di consenso costruita da “Convergencia y Uniò”.

I punti cardine portati avanti dalle piattaforme cittadine di movimento sono stati: il rifiuto categorico di una ipotesi di nuovi stati-nazione come forme in grado di mettere in discussione le politiche di austerity, e una lotta contro la costruzione di ulteriori forme di rappresentanza che aspirino ad essere voce dei movimenti, in un contesto in cui alleanze strategiche o processi di negoziazione parlamentare sono depotenzianti di tutto il portato che le forme di decisionalità dal basso apportano.

Quindi non resta altro che gridare ancora una volta in faccia ai palazzi del potere “rodea tu congreso!”.

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