Elezioni-truffa, collasso in Honduras: coprifuoco, scontri e barricate in tutto il paese
Dodici ore di coprifuoco e dieci giorni di stato di emergenza: questo il verdetto uscito dalle urne del paese centroamericano lo scorso 26 novembre.
L’elettorato era chiamato alla scelta tra Salvador Nasralla – ex presentatore televisivo espressione di una coalizione di formazioni progressiste ed anticorruzione e movimenti indigeni e contadini – e Juan Orlando Hernandez (JOH), presidente in carica ed uomo dell’establishment e delle forze armate. Nonostante la ricandidatura di JOH fosse incostituzionale ed al 70% delle schede scrutinate gli osservatori si fossero espressi sulla vittoria tecnica di Nasralla (che godeva di un vantaggio del 5%), dopo un ritardo nella comunicazione dei risultati di un giorno e mezzo (che, tra le polemiche, ha visto anche il blocco dei sistemi informatici elettorali) il presidente uscente si è autoproclamato vincitore.
La protesta, alimentata dalla rabbia della piazza e dal malcontento verso povertà e corruzione dilaganti, è esplosa in 14 dei 18 dipartimenti del paese. Nella capitale Tegucigalpa la popolazione ha cercato di fare irruzione nella sede del Tribunale Elettorale, fronteggiando nelle strade i lacrimogeni di militari e polizia. Questi ultimi impegnati a sostenere quello che si profila sempre di più essere un golpe compiuto, con la sospensione di tutte le garanzie costituzionali nella giornata di ieri. Blocchi spontanei e barricate hanno paralizzato le autostrade honduregne, mentre nel grande centro settentrionale di San Pedro Sula sono state prese d’assalto banche ed attività commerciali.
L’elite del Partito Nazionale, tornata al potere nel 2009 dopo il golpe contro il presidente progressista Zelaya (operazione benedetta dalla presidenza Obama con in prima linea l’allora Segretaria di Stato USA Hillary Clinton) ha responsabilità gravissime nelle persecuzioni e negli omicidi politici di decine di oppositori. Tra i quali Berta Caceres, leader indigena impegnata in una strenua lotta contro gli interessi delle multinazionali dell’agrobusiness e delle grandi opere; mentre di recente anche sua figlia Berta Zuniga, prosecutrice della sua attività, è stata obiettivo di un attentato. Ora alle cifre del massacro si aggiungono 7 morti nella repressione di piazza, tra cui un bambino di 11 anni, e decine di feriti. Il tutto nell’imbarazzante silenzio di un’Unione Europea sempre più indifendibile nel suo sostegno agli interessi oligarchici delle destre da Madrid a Caracas, e nel suo odio verso qualsiasi processo di autodeterminazione dal basso. Mentre serpeggiano voci di sciopero generale, la piazza centroamericana resta presidiata: nel tentativo di sfuggire ad un destino di oppressione che, nell’intreccio tra dittatura militare e regime liberale, si perpetua da oltre 40 anni.
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