Essere curdi
Dopo il reportage sul villaggio delle donne di Jinwar, riprendiamo dalla pagina di Nervo che osserva (una compagna che si trova in Kurdistan) questa intervista a un membro del PKK, Heval Iskan.
Ci troviamo spesso a parlare della rivoluzione in Kurdistan, dei movimenti delle donne Kurde e dei movimenti di autodifesa, uno di questi è il PKK (partito dei lavoratori del kurdistan) noto per la resistenza armata che porta avanti dal 1984 e per il suo leader Abdullah Öcalan. Il PKK non è solo un partito ma una scelta di vita, in quanto chi ne diventa membro sceglie di dedicare la propria esistenza alla causa kurda. Ma cosa spinge le persone ad arruolarsi nel PKK, a fare una scelta di vita radicale? Di seguito un’intervista sulla vita di Heval Iskan, un membro del PKK, che ripercorre la sua infanzia fino ad arrivare al motivo per cui ha fatto questa scelta.
Mi chiamo Heval Iskan. Sono nato a Diyarbakir nel 1980, ma vivevo in un piccolo villaggio lì vicino, è questo il motivo per cui ho un rapporto speciale con la natura. Quando nacqui mio padre fu imprigionato, a quei tempi i kurdi venivano perseguitati molto dal governo turco. Mio padre era un simpatizzante dell’ideologia socialista ed è per questo che fu imprigionato. La nostra situazione economica era molto buona e nel villaggio godevamo del rispetto di tutti, non avevamo bisogno di nulla e stavamo bene.
Passai la mia infanzia in questo piccolo villaggio e quando crebbi dovetti frequentare le scuole turche. Questo periodo fu molto difficile per me perchè non conoscevo il turco e l’insegnante mi picchiava se parlavo curdo, ma quella era la mia lingua, immagina se tu che sei italiana dovessi essere costretta a studiare in Francia, la condizione era questa. Ero un bambino e non capivo il motivo per cui mi picchiava, i bambini non sanno nulla di politica, la nostra mentalità era pura e naturale, nel villaggio giocavamo e parlavamo ma a scuola divenne impossibile e non sapevamo perchè, fu un periodo molto duro.
Nel 1984 il PKK cominciò la difesa armata contro il governo turco e per i curdi fu molto difficile. Mio padre ci teneva che noi conoscessimo la nostra cultura e ci faceva ascoltare delle cassette di musica curda tradizionale, affinchè non dimenticassimo chi eravamo, ma se i turchi trovavano queste cassette potevano accursarci di affiliazione e arrestarci, ma mio padre continuava a farcele ascoltare. In generale, la mia famiglia supportava il PKK come molte altre famiglie all’epoca. Due mie cugine facevano parte della gueriglia del PKK, adesso sono diventate martiri. Amavo le mie due cugine.
Quando alla tv sentivamo parlare del PKK, ne parlavano come se fossero dei terroristi, ma io sapevo che il governo turco era il terrorista. Il PKK era sempre presente, veniva nelle nostre case, nei nostri villaggi, ci informava e ci preparava alla resistenza. Nel 1990 avevamo sì una posizione politica ma non sapevamo nulla della nostra cultura, abbiamo dovuto lavorare e formarci per rafforzare e migliorare la nostra ideologia.
A quel tempo il governo turco diceva che avrebbe buttato il Kurdistan, la sua cultura e il suo popolo in una tomba e ci avrebbe seppelliti con una colata di cemento. Perchè per il governo turco i curdi non esistono. E in parte hanno fatto quello che avevano professato, hanno ucciso tante persone tante altre torturate, se guardo il Kurdistan oggi, vedo che ci hanno divisi in 4 parti, per controllarci e annientarci più facilmente.
Nel 1991 avevo 11 anni , i turchi uccisero 12 curdi fra cui anche bambini ed esposero i loro corpi a scuola per farci spaventare e intimorirci. Quando ho visto questo con i miei occhi ho cominciato ad odiare i turchi e ogni volta che li vedevo volevo ucciderli tutti, così decisi di entrare nella guerriglia.
Lì c’era mio zio Mahamut Gun. Era il comandante della guerriglia e mi disse di tornare a casa, che ero troppo piccolo per combattere. Tornai a casa e continuai la mia vita, nel mio villaggio, un villaggio molto semplice e con un ottimo rapporto con la natura, la rispettavamo. I turchi arrivarono nel nostro villaggio e lo bruciarono e noi fummo costretti ad abbandonarlo e così cominciammo la migrazione.
Ci ritrovammo nelle città a cui non eravamo abituati e dove non conoscevamo nessuno, nel frattempo c’era molta propaganda contro i curdi e il PKK, dicevano che eravamo senza dio, che non eravamo dei buoni musulmani e questo in una popolazione profondamente credente e religiosa attecchisce più che mai. Continuammo a essere perseguitati e non fu facile cambiare la mentalità nei confronti dei curdi e del PKK. Quando divenni studente divenni anche un simpatizzante del movimento. Nella scuola eravamo preparati al fatto che potessero venire ad arrestarci e avevamo dei coltelli e altre armi minori per difenderci. Un giorno, avevo 12 anni, i turchi vennerò ad arrestarci e noi avevamo dei coltelli ma non sapevamo combattere e non eravamo pronti, un soldato turco mi afferrò e con il coltello che avevo in mano lo colpii e lo ferii al braccio. Così mi arrestarono! Mi portarono in tribunale e il giudice disse “ma come sei stato ferito da un bambino?”, dopo questo mi diedero un colpo in testa con la canna di un fucile e mi imprigionarono per la prima volta, e per la prima volta mi torturarono.
Uscii ma poco dopo fui arrestato di nuovo perchè ero un simpatizzante, ma sopratutto perchè ero curdo. Questa volta mi arrestarono perchè volevano uccidermi, ricordo che prima di entrare in carcere mi tolsero tutti gli anelli che avevo. Mi torturarono per 25 giorni. Mi legavano, mi mettevano all’interno dei pneumatici delle jeep e poi partivano e smettevano solo quando perdevo i sensi, ogni volta chiudevo gli occhi e cercavo di ricordarmi che avrei lottato contro di loro e che io esisto!
A quel tempo non avevo vere e proprie relazioni con il partito e quindi all’interno del carcere mi sentivo piuttosto solo, fu un periodo difficile! Quando uscii dal carcere decisi definitivamente di entrare nella guerriglia del PKK per lottare contro il governo turco. Era il 1998 e avevo 18 anni, feci questa scelta insieme ad una delle persone più importanti della mia vita, il mio amico Iskan Tas. Così insieme tornammo a salutare le nostre famiglie ma mio padrè morì e io decisi di restare accanto alla mia famiglia che era assolutamente contraria al fatto che entrassi nella guerriglia. Iskan partì e mi disse “se diventerò martire promettimi che prenderai il mio fucile e continuerai la mia lotta”.
Dal 1998 al 2001 sono stato responsabile del movimento dei giovani e ho lavorato con loro, nel 2001 andai a lavorare per il giornale. Nel 2003, Iskan morì. Lo stesso giorno in cui lui divenne martire, contro il volere della mia famiglia, all’età di 23 anni, mi arruolai nelle milizie del PKK e presi il nome del mio migliore amico, di colui che nella mia vita avevo amato di più. Qui ebbi una formazione militare e ideologica, qui ritrovai la libertà e l’amore. Ho visto morire molti compagni, e sono stato ferito molte volte. Dopo cominciai a scrivere, e sulle montagne di Qandil scrissi un romanzo di 5000 pagine con le storie dei miei compagni per ricordarli, così il partito mi disse che quello sarebbe stato il mio ruolo da quel momento in poi, avevano bisogno di persone che scrivessero per il partito e della nostra lotta,e questo è quello di cui mi occupo adesso.
La nostra battaglia contro i turchi è la battaglia di tutta l’umanità. Ci sono stati tanti genocidi, degli armeni, palestinesi, ebrei, curdi e noi lottiamo per tutti loro. Il PKK è rivoluzione, e la rivoluzione non ha un inizio e una fine. E chiunque è interessato alla rivoluzione allora diventa un rivoluzionario. La rivoluzione non è un’utopia, non è un sogno. Come il bambino non può vivere senza la mamma che si occupa di lui, così noi ci prendiamo cura della società affinchè possa crescere e camminare da sola. Siamo responsabili per la nostra società come per la natura che ci circonda. E se cambi la mentalità della società allora la rivoluzione non è un sogno. Ci sono molti paesi come la Svizzera, in cui la popolazione ha tutto ma comunque c’è stata una serie di suicidi di massa e questo perchè? Proprio perchè hanno tutto, il capitale gli da tutto e non sono felici. La nostra guerriglia e la nosta società non ha nulla, ma viviamo con il sorriso sulle labbra. E non saprei immaginare una vita diversa da questa, quello che sogno è di vivere in una società libera da persona libera. Sono 15 anni che non vedo mia madre, lei vive in Turchia ma se vado da lei i turchi mi arrestano. Come voi occidentali sognate la rivoluzione, io sogno di rivedere mia madre in una società libera.
Cosa vuol dire per me “Heval” (compagni o amici in curdo)? Heval sono un gruppo di persone che camminano insieme senza lasciare indietro nessuno. Gesù aveva i discepoli, e il PKK ha i compagni, forti e con un legame intenso. La differenza tra amici e compagni? Compagni è per la vita. Il segreto dell PKK è questo, compagni uniti contro il capitale. Ma da noi compagni significa anche sacrificio. C’era un compagno che aveva delle granate sulla cintura e il gilet sopra, quando si è tolto il gilet si è reso conto che aveva tirato anche la leva di sicurezza della granata e che sarebbe esplosa da un momento all’altro. Ha preso la granata e se l’è stretta allo stomaco ripiegandosi su di essa così è morto ma è riuscito a salvare tutti i compagni e le compagne intorno a lui. Oppure il comandante Mahir. Ferito alla testa e rimasto senza sensi in una guerriglia contro i turchi. Sono morti 4 compagni per salvarlo, si sono sacrificati 4 compagni per salvaro e lui ha vissuto. Compagni vuol dire camminare insieme ed essere disposti a sacrificicare la propria vita.
“Perche noi amiamo talmente tanto la vita da morire per essa”.
Nervo che osserva
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