Ferguson, 47 arresti nelle ultime ore. Obama sempre più in difficoltà
A poco più di una settimana di distanza dall’omicidio di Mike Brown da parte del poliziotto Darren Wilson dunque, un nuovo omicidio vede coinvolto un giovane afroamericano, in una dinamica non dissimile: poco importa infatti il rilievo dato al fatto che il ragazzo stesse compiendo una rapina, nel momento in cui la stessa polizia sostiene che Brown venne fermato in seguito al furto di una scatola di sigari. E’ evidente, anzi, quanto sia ritenuto normale – o quantomeno trattato come un danno collaterale – che la polizia apra il fuoco nelle più disparate situazioni, soprattutto quando a compiere reati, o anche solo a passeggiare per strada , sono membri della comunità afroamericana.
Di tutt’altro tenore, invece, è stata la gestione dell’ordine pubblico da parte della Guardia Nazionale nel corso delle manifestazioni notturne. Evidentemente, 8 giorni di cariche coi blindati, spari e lanci indiscriminati di lacrimogeni, uniti alla grande importanza mediatica assunta dalla protesta, hanno provocato più di qualche imbarazzo all’amministrazione Obama, che mai prima d’ora si era trovata a dover gestire un problema di politica interna così delicato.
Secondo alcune indiscrezioni, l’ordine è stato quello di non utilizzare lacrimogeni – comunque degnamente sostituiti dall’ampio utilizzo di spray al peperoncino – e attuare una strategia di accerchiamento che in qualche modo “isolasse” le teste calde. Proprio il tema della “minoranza venuta da fuori” che sarebbe colpevole di aver provocato i riot e i saccheggi degli scorsi giorni, è stato al centro del dibattito nelle ultime ore. Con una dinamica che ricorda molto l’allarmismo nostrano nei confronti di presunti black bloc, il segretario alla Giustizia afroamericano Eric Holder, giunto in città, si è detto pronto a fare giustizia nel momento in cui si tornerà a protestare pacificamente, isolando i supposti professionisti della violenza “venuti da fuori”.
Il tentativo palese è quindi quello di fomentare le divisioni nella comunità nera, in modo da creare così una frattura che risulterebbe insanabile e molto facilmente gestibile dal punto di vista politico e repressivo. Le dichiarazioni però sono in forte contrasto con la realtà, che parla di una popolazione ancora combattiva e per niente rassegnata, che all’instancabile grido di “No justice, no peace!” continua a mettersi in gioco in prima persona. L’altissimo numero di arresti e le numerose testimonianze di giornalisti minacciati e allontanati dall’area delle manifestazioni parlano di un forte nervosismo tra le fila del Governo nazionale e locale, costretto a mantenere un atteggiamento – almeno di facciata – tollerante e democratico che mal si concilia con le maniere forti degli ultimi giorni.
Domani intanto l’inchiesta della polizia locale sull’omicidio di Brown verrà esaminata dal Grand Jury, che dovrà decidere se incriminare o meno il poliziotto Darren Wilson. Lo scetticismo tra gli abitanti di Ferguson e molto alto, tanto che dalla Casa Bianca è arrivato l’ordine di intraprendere un’indagine parallela condotta dall’FBI, che nutre quantomeno di una credibilità maggiore rispetto al governo locale e alle sue forze dell’ordine.
Le voci secondo cui Obama potrebbe presenziare i funerali di Mike Brown lunedì prossimo sarebbero inoltre l’ennesima conferma delle difficoltà in cui versano le istituzioni. Le intenzioni sono dunque quelle di gestire nella maniera più pacifica, indolore e conciliante una circostanza che rischia di provocare un vero terremoto politico e sociale.
Considerato anche il non brillante stato in cui versa la politica estera americana, costretta ad abbozzare tra la tentazione di intraprendere una nuova guerra e la necessità di mantenere la pace sociale all’interno dei suoi confini, la rivolta di Ferguson rischia di essere la scintilla che fa divampare una protesta a cui l’establishment USA non saprebbe come rispondere.
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