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Guernica: Quando è il momento degli ultimi?

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Le immagini dello sgombero di Guernica non richiedono molte parole. Parlano da sole, diciamo.

4000 agenti per sgombrare un terreno senza alcuno uso, dove più di 1400 famiglie hanno cercato di garantirsi un pezzo di terra per riprodurre la vita, perché la frase “dove c’è una necessità nasce un diritto” è lettera morta, rimpiazzata in questi giorni dall’altra ripetuta fino alla sazietà dal governatore della provincia di Buenos Aires, Axel Kicillof, e dal suo ministro per la Sicurezza, Sergio Berni: “Dentro la legge tutto, fuori della legge nulla”. La legge. La legge. Che dice la legge? Perché il diritto alla proprietà privata è elogiato e rispettato come il più prezioso? Vale più la proprietà del diritto ad una infanzia degna? È più rispettabile del diritto ad un tetto dove passare la vita? Perché lo stato è così preoccupato di garantire il diritto alla proprietà privata dei sempre ricchi di questo paese? E in questa logica dove la bilancia inclina sempre per i primi e mai per gli ultimi (anche questo di “prima gli ultimi” è rimasto obsoleto), perché il governo nazionale e popolare non ha esercitato a Guernica quello che promise fino alla stanchezza nella campagna elettorale sulla restituzione dei diritti di coloro che hanno fino al più fondamentale di questi diritti lesi? Un milione di domande e un tentativo di sfuggire alla frase che dice “è più complesso”. Può sempre essere più complesso, ma questo non giustifica mai la repressione sul terreno giudiziario/penale come risposta ad una richiesta sociale, nel quadro della disuguaglianza strutturale a cui siamo sottomessi (alla quale ci hanno sottomessi). Perché, che importa che il discorso sia progressista nelle sue varianti “ritorniamo migliori”, “ritorniamo per essere donne”, “prima gli ultimi”, “vogliamo restituire diritti”, se nei fatti concreti si moltiplicano le immagini di casette bruciate, di poliziotti che ridono mentre reprimono, di famiglie che piangono, di ragazzi e ragazze, di donne che allattano mentre escono “pacificamente”? Pressappoco leggevo che gli hanno aggiunto l’aggettivo pacifico perché l’azione che ieri lo stato, potere giudiziario e poteri esecutivi e legislativi, ha eseguito è di per sé stessa violenta. Lo sgombero è per definizione violento e questa violenza, in forma di molteplici violenze, è esercitata su quelli che non hanno nulla di nulla, su questi che valgono meno del proiettile che li uccide. E forse per questo si opta, invece di prendere il cammino della garanzia dei diritti fondamentali, di prendere la decisione politica di far succedere quello che abbiamo visto ieri: 4000 poliziotti appostati nelle vicinanze fin dall’alba spettando la più piccola luce per attaccare, centinaia di migliaia di proiettili, ruspe, pubblici ministeri sorridenti che si fanno selfie dove come sfondo c’è fuoco, fumo e persone represse, poliziotti che si fanno selfie festeggiando lo sgombero, famiglie che caricano materassi, sedie, che escono all’alba, sconcertate. Abitanti che resistono, moltiplicando l’esempio di lotta della prima linea cilena, portando scudi che tanto hanno indignato i media progressisti e non progressisti. Perché quello che nemmeno intendono i funzionari che passeggiano parlando del loro strenuo lavoro per trovare una soluzione a questo in un altro modo, è che le famiglie non solo rimangono senza terra, questo pezzetto dove mettere alcune lamiere, precario, ma che anche lo sgombero terminini con una forma di organizzazione, di stare con gli altri, di tessere legami comunitari.

Un’altra cosa che si afferma in modo costante è che l’occupazione era “politicizzata”. Alla generazione che festeggia che Néstor “politicizzò” i giovani, ora dà fastidio la politicizzazione? Se Guernica ha resistito in una lotta per la terra e l’abitazione degna per più di 100 giorni è giustamente perché dal giorno uno dell’occupazione diverse organizzazioni del campo popolare hanno avvicinato la loro solidarietà. Se Guernica non può far parte dell’orgoglio di Berni, che fa una passeggiata per i media vantandosi di quante occupazioni per notte sgombera, è perché coloro che lì hanno abitato hanno cercato di cominciare a vivere in questo pezzo di terra in un altro modo, in modo comune e comunitario. Qualcuno diceva che difendere questa terra era romanzare l’indigenza mentre si ripetevano le immagini che captavano le telecamere dei massicci mezzi di comunicazione (puntualmente TN e C5N) dall’interno di quello che rimaneva delle casette, una volta sgomberato il terreno. Lontani da questo, quello che si metteva in gioco per tutte queste famiglie a Guernica non era solo la “soddisfazione di una necessità” ma la possibilità di un’altra vita, che valga la pena di essere vissuta.

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In relazione a quanto è successo affinché si rompesse il dialogo, e senza far appello alla giustificazione dell’ordine giudiziario, sappiamo che mercoledì verso le 20.00 gli e le abitanti, insieme alle organizzazioni del recupero [della terra] si sono riuniti con Andrés Larroque e il suo interministeriale negli uffici che ha installato vicino al terreno. Avevano un accordo sulla parola spiegato già ripetutamente dagli e dalle abitanti, dai membri delle organizzazioni, e andavano a firmarlo. Fondamentalmente diceva quanto segue: convenivano di ricollocare in un terreno transitorio uno dei quattro quartieri che formavano il recupero, La Unión, come segnale per il giudice e il pubblico ministero sul progresso nei negoziati per andare, momentaneamente, a lasciare queste terre, e il governo provinciale tornava a chiedere il differimento dello sgombero dei quartieri poiché ancora non era garantita la loro ricollocazione. Con le parole di una delle delegate: “Ci dicevano di fare una ricollocazione di uno dei quartieri, sempre e quando fosse garantito che gli altri quartieri non sarebbero attualmente sgomberati fino al 30 ottobre, della quale si è chiacchierato sulla parola e pre-convenuto che si sarebbe preso partito nella causa affinché questo non succedesse. Oggi ci informano pochi minuti prima che questo non sarebbe stato così. Perché se il giudice decide di sgomberare lo farà. Questo non era quanto pre-convenuto, una delle condizioni era che sarebbero intervenuti nella causa affinché non ci fosse un sgombero per la totalità. Oggi finiscono con l’informare che no”. Al momento di raccontare questo, Yamila e i suoi vicini erano sorpresi dai poliziotti che all’alba sono entrati in un terreno, con l’odio verso i poveri che caratterizza questi che, pur essendo poveri, scelgono di portare l’uniforme della polizia. Nonostante le immagini che abbiamo già visto centinaia di volte, al governatore gli è sembrato che sia stato uno sgombero fatto con tutte le cautele.

Tutte le intenzioni, plasmate su piani di terra e casa, sono benvenute. È necessario che si trasformino in azioni. Ma ora è il momento di garantire urgentemente i diritti più elementari. Guernica era l’opportunità. Ma no. Si è scelto di restituire la terra ad un’impresa immobiliare, la Bellaco SA, che non ha potuto comprovare di esserne la proprietaria. Perché la costruzione di countrys è urgente. Ieri notte Berni ha detto in televisione qualcos’altro, “sicuramente se questo sarà un country, questa parte sarà un lago, perché si innonda”. Progetti di un lago in un quartiere privato dove c’era la possibilità di abitazioni degne per il popolo impoverito.

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Terminando questa nota/difesa viene diffuso il filo di twitter di Alberto Fernández (forma privilegiata del presidente per esprimersi) con il quale dice che per fortuna lo hanno tenuto informato e che a suo parere “i conflitti si siano risolti rispettando il gioco delle istituzioni che la Repubblica impone”. Inoltre, chiudendo questo testo giunge un messaggio di Yamila, sgomberata dal terreno recuperato, “il giorno di ieri è stato estremamente lungo, giacché la repressione e la persecuzione poliziesca è continuata per 40 isolati fino alle 10.00 am e siamo stati rinchiusi fino a ieri notte nel municipio dove abbiamo dovuto dormire non avendo dove andare a passare la notte”.

Di Antonella Alvarez

Foto: Agustina Salinas

Pubblicato originariamente in Revoluciones

31 ottobre 2020

Desenformémonos

Traduzione a cura di Comitato Carlos Fonseca

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