Il fallimento dell’austerità. ‘Bisogna forzare per attuare una rivolta contro la povertà’
«Quando il governo italiano sostiene di volere ricontrattare con la Commissione Europea può anche volere posticipare, com’è stato fatto in Spagna o in Portogallo, la riduzione del deficit di un paio d’anni – afferma l’economista Christian Marazzi – Ma questo non significa ricontrattare l’austerità, significa solo posticiparla lasciando i problemi tali e quali. Non nego che Letta sia animato da buone intenzioni quando dice di volere affrontare il problema degli esodati, dell’esaurimento della cassa integrazione o parla di un welfare più universale. Il problema è dove prenderà i soldi. Soprattutto se le politiche di austerità resteranno intatte».
Propone anche un reddito a sostegno delle famiglie bisognose con tanti figli. Cosa ne pensi?
Il reddito di cittadinanza, o il reddito minimo, ha un senso se definisce un affrancamento dalle logiche di un mercato del lavoro deregolamentato. Se definisce un’autonomia del reddito da quelle che sono le logiche della crescita o della riduzione dei costi. Fino a quando questo obiettivo non sarà perseguito, e non verrà garantita l’autonomia della vita dalle costrizione di un’economia neoliberale, le declinazioni del reddito in altre forme portano solo a sterili strategie di ingegneria sociale.
Ritieni che stia prendendo corpo in Europa un fronte contro l’austerità?
Parlare di un fronte è un’espressione piuttosto sproporzionata, anche se è indubbio che le proposte di allentare il rigore vengono fatte in Portogallo, Spagna o Francia, le autocritiche del capoeconomista del Fondo Monetario Internazionale Olivier Blanchard e le timide aperture della Commissione Europea con Olli Rehn vadano in questo senso. Bisogna però considerare le controspinte che vengono dalla Germania dove prevalgono i discorsi di segno opposto a sostegno della responsabilità, del rigore fiscale, delle politiche anti-inflattive. In attesa delle elezioni politiche di settembre, non vedo come Angela Merkel possa retrocedere rispetto alle politiche degli ultimi quattro anni, considerando anche la nascita del partito anti-euro «Alternativa per la Germania.
Resta comunque l’impressione che un cambiamento sia avvenuto dall’inizio dell’anno…
Con una battutaccia direi che sono arrivati alla canna del gas. L’evidenza del fallimento politico e finanziario li ha costretti a tornare indietro rispetto alle posizioni scientifiche e ideologiche. È impressionante vedere con che faccia il Fondo Monetario, dopo 50 anni, oggi dica di cambiare politiche economiche che sono esattamente quelle imposte ai paesi indebitati dell’America latina, del Sud est asiatico e oggi a quelli europei. Hanno buon gioco i tedeschi che non intendono cambiare la strategia fiscale quando lo stesso Fmi l’ha imposta in tutti i paesi del mondo.
Allora non bisogna credere in queste aperture?
A me sembrano tentativi tardivi per rimediare ai danni che queste politiche hanno provocato e continuano a provocare. È di ieri la notizia che in Grecia hanno deciso di licenziare 15 mila impiegati pubblici e di aumentare l’orario di lavoro degli insegnanti. Si sta perseverando sulla stessa linea, per questo sono piuttosto scettico sulle possibilità che si riuscirà a incidere sull’austerità. La politica è governo del tempo. Se tu cerchi di recuperare dalle politiche complici dell’ austerità, come mi sembra sia state quelle di Monti, devi però fare i conti con i processi reali che sono difficili da invertire.
Quali conseguenze ha prodotto l’austerità?
Ha distrutto una parte importante del tessuto industriale, delle piccole e medie imprese. Il credito alle imprese e alle famiglie non esiste praticamente più e ha aggravato le divergenze all’interno della zona euro tra paesi del Nord e paesi del Sud. Quando si dice che un euro tedesco non è un euro cipriota o italiano o francese, che nella moneta unica c’è un proliferare di monete parallele, significa che il processo di divergenza tra tassi d’inflazione, di interesse e di produttività si è spinto molto in avanti. Questi sono i processi reali che lavorano dietro i tentativi di contenere il danno che il prossimo governo italiano si troverà ad affrontare.
Quale sarà la prossima bolla finanziaria ad esplodere e che effetto avrà sull’Europa e l’Italia?
Le bolle sono la modalità attraverso le quali la crisi capitalistica si manifesta in tutta la sua potenza distruttiva. La loro funzione è creare panico, una specie di choc esogeno che restringe gli spazi di manovra di un governo, piuttosto che ampliarli. Il rischio di un’esplosione di un’altra bolla, non so in quale forma, è veramente forte. È la politica della banca centrale giapponese a destare maggiori preoccupazioni. È diventata una specie di banca centrale del mondo, iniettando dosi impressionanti di liquidità che si catapultano sulle borse europee che stanno andando bene e hanno contributo a ridurre lo spread italiano. D’altra parte le borse hanno già raggiunto livelli record da questo punto di vista. Gli analisti considerano gli indici già oltre i limiti storicamente raggiungibili. E questo porterà ad una nuova grande bolla speculativa. Arriveranno misure di taglio alla spesa pubblica, continueranno a esserci sempre difficoltà di reperimento di capitali.
Insomma è un circolo vizioso…
Da anni ci troviamo in un’enorme trappola della liquidità. Questi soldi non hanno nessun effetto di trickle down, cioè non sgocciolano nell’economia reale, restano nelle sfere della finanza e alimentano bolle in termini di acquisti o vendite di buoni del tesoro che non modificano il quadro della crisi. Si sta cercando di risolvere finanziariamente un problema che è stato creato dalla finanza. È un rompicapo.
In che modo lo si può risolvere?
L’unica cosa che riesco a vedere, ma non a prevedere, è una rivolta sociale. Oggi scontiamo un grande ritardo nella mobilitazione, anche se ci sono stati momenti esaltanti come Occupy negli Stati Uniti o gli indignados in Spagna. Per quanto lo auspichi, non vedo però una capacità di mobilitazione a livello europeo. Se non fosse così una rivolta non avrebbe nessuna chance di vivere più di un giorno. Ma non voglio essere pessimista. Oggi è urgente prendere coscienza del fallimento dell’austerità e capire che ciò che accomuna gli europei non è l’euro, come moneta unica. La nostra moneta comune è la povertà. Una volta compreso, e mi sembra che lo stiamo capendo, bisogna forzare per attuare una rivolta contro la povertà.
Quale lotta può diventare il simbolo di questa mobilitazione?
Il reddito di cittadinanza su scala europea. È una delle chiavi per un’Europa comune contro l’austerità. È il tempo della politica deve diventare quello della mobilitazione. Come dice Guido Viale, non abbiamo bisogno di fatti, ma di promesse. Oggi è la voglia di futuro che deve dominare sul realismo dei fatti.
*Un critico dell’economia politica
Christian Marazzi è uno dei più acuti economisti, critici del capitalismo, che da anni insegna in diverse università europee e alla State University di New York. Attualmente è docente alla Scuola universitaria e professionale della Svizzera italiana. È autore dei saggi come «E il denaro va» (Casagrande/Bollati Boringhieri 1998), «Finanza bruciata» (Casagrande 2009) e «Il comunismo del capitale» (Ombre Corte 2010).
da Il Manifesto
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