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La dura lezione della crisi ucraina

Oggi gli/le ucraini/e piangono miseria e invocano l’aiuto dell’Ue e della Nato. Ben triste fine per i/le resistenti di piazza Maidan, gonfi del loro orgoglio nazionalista e illusi di poter contare su un appoggio che non esiste al di là delle dichiarazioni di facciata. Siamo pronti a scommettere che la questione si risolverà nella più scontata conferma di una Realpolitik che vedrà la Russia di Putin vincere per la terza volta (dopo Georgia e Siria) la partita geostrategica contro chi provoca un’alterazione dei suoi confini d’influenza. La Tymoshenko, mentre da un lato chiede aiuto alla Nato, dall’altra si appresta a trattare e prende l’aereo per Mosca (del resto, tra oligarchi e capi di stato, un linguaggio d’intesa si trova sempre se chi sta sotto sa ridursi a più miti consigli).

Per quanto non ci piaccia ostentare la grande arte della geopolitica per spiegare i conflitti, le crisi e i rivolgimenti della nostra contemporaneità, pure bisogna avere la lucidità di ammettere che – specie in questo spazio europeo dove latitano le lotte e abbondano le manovre di partiti-impresa – questa oggi conta ben più di quanto si muove in basso. E che su quelle linee di faglia su cui si sono consumate alcune delle pagine più nere del secondo conflitto mondiale ogni sommovimento incontra e si sovrappone a queste determinanti, che sono anche storiche, culturali, etniche (per quel che possiamo accettare di questa categoria).

Fa sorridere che l’articolo più equilibrato e intelligente su tutta la crisi che si sta consumando in queste ore sia stato scritto dal direttore di Famiglia Cristiana, Fulvio Scaglione (Quando l’orso russo alza la zampa) che mette in fila una serie di incontrovertibili banalità cui le elite europee avrebbero forse dovuto prestare un po’ più attenzione.

Il colmo dell’idiozia sembra invece condensarsi nelle scelte francesi, che dalla guerra di Libia in avanti continuano a muovere pedine che avvantaggiano il perdurrare dell’influenza statunitense sugli affari europei, mentre la Germania sembrerebbe piuttosto orientata verso una strategia di approfondimento degli scambi politici e commerciali col vicino gigante russo.

Qui non si tratta di fare il tifo per Putin contro Obama, come non è in discussione il diritto dei popoli a sollevarsi, degli ucraini e delle ucraine a battersi legittimamente per cacciare un oligarca corrotto e arricchito (come non erano in discussione ieri le rivolte di Berlino Est nel 53, Budapest 56, Praga 68, Danzica-Stettino 70… ecc *). Qui si tratta di prendere atto del livello della sfida che si mette sul tappeto e del finale da operetta con cui se ne esce ridicolmente. Non che le figuracce di cui sa dar prova questa Europa siano affar nostro… ma stupisce ogni volta constatare, al di sotto delle più basse aspettative, in che mani siamo. I deficenti che decidono le poltiche europee non determinano solo la politica economica del continente ma sono anche in grado di scatenare conflitti dalle conseguenze incalcolabili (come le guerre jugoslave insegnano).

Se c’è inevce una lezione -per noi – che la vicenda ucraina ci pone nuovamente sotto gli occhi in tutta la sua brutale evidenza, è quella molto materialistica per cui, nella politica (e nella guerra che ne è la “continuazione con altri mezzi”, come diceva qualcuno) contano solo i rapporti di forza e non tutte le chiacchiere sui diritti umani e la democrazia (di cui ci si ricorda solo quando vengono violati altrove). E’ del resto la dura e cruda questione del potere e del chi decide a essere posta da tutto il ciclo di lotte globali sorte con le sollevazioni arabe del 2011. Mentre a casa nostra ci si continua a trastullare con “primarie” e inutili ricerche di una non necessaria armonia a sinistra, appena fuori da questo angusto e sempre più ininfluente spazio europeo si consumano accelerazioni e cambiamenti di ben altra portata. Da questo punto di vista, “l’invasione” russa  della Crimea (in fondo, niente più che una ri-determinazione di confini d’influenza cambiati quattro o cinque volte nell’ultimo secolo e mezzo) va interpretata come una sana lezione di realismo politico.

____________

* Anche se in quei casi si trattava di rivolte operaie che ponevano, oltre la cortina di ferro, la questione dell’autonomia della classe, dei suoi bisogni e dei suoi interessi dentro un sistema che pretendeva di aver risolto per sempre i problemi dei proletari… lotte di ben altra natura e contenuti!

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