La vendetta di Erdogan. Silvan sotto attacco.
Nella mattinata si è verificata una nuova escalation di violenza scatenanta dalle autorità turche. Gli attacchi hanno ormai oltrepassato il carattere dell’operazione di polizia per assumere i tratti di una vera e propria guerra civile che lo stato turco ha dichiarato contro i suoi cittadini curdofoni. Questa mattina, l’esercito è arrivato a bombardare con gli elicotteri i quartieri popolari che avevano dichiarato l’auto-governo ad inizio estate, quando gli abitanti di diverse zone del Kurdistan turco avevano deciso di cominciare ad auto-organizzare la vita politica e sociale di alcuni quartieri richiedendo la ripresa del processo di pace e una soluzione politica per la questione curda. Un attacco delle truppe turche che si configura come una vera e propria vendetta da parte del governo dell’AKP che, forte del risultato elettorale ottenuto alle elezioni di dieci giorni fa, ha intensificato gli attacchi contro il movimento di liberazione curdo. Nella mattinata l’agenzia ANF parlava di sei civili uccisi a Silvan dall’inizio del copri-fuoco, mentre sembra che almeno altri due civili siano rimasti vittime dell’esercito turco durante questo pomeriggio. Anche due bambini di dodici e cinque anni sono stati feriti nell’attacco di oggi, colpiti dai proiettili dei militari, mentre un soldato turco è stato ucciso in un conflitto a fuoco con le milizie del movimento curdo che stanno difendendo i quartieri.
Alcuni deputati dell’HDP, il partito del movimento curdo e della sinistra turco, presenti a Silvan hanno confermato che le “forze statali stanno attaccando e massacrando i civili”, facendo appello alla solidarietà internazionale e invitando le ONG e l’ONU a rendersi a Silvan per testimoniare di ciò che sta accadendo. Manifestazioni per sostenere Silvan si sono svolte durante il pomeriggio in diverse città del Kurdistan, tra cui Hakkari – dove un deputato è stato ferito dalla polizia – e in alcuni quartieri di Istanbul. Il leader dell’HDP, Demirtaş, ha ricordato che a Silvan “c’è una resistenza popolare” che tutto il mondo dovrebbe sostenere e ha confermato che il partito è pronto a combattere con la gente di Silvan “fino alla fine”.
In effetti, le milizie di difesa popolare, sostenute dagli abitanti continuano ad opporre una strenua resistenza contro l’esercito che sta utilizzando armi pesanti e bombardamenti senza riuscire ad “espugnare” i quartieri auto-difesi. Abbiamo tradotto una breve intervista realizzata questo pomeriggio da Firat News Agency con Ekin Fırat e Rodi Amed, due giovani partigiani del quartiere di Mescit:
Ekin Fırat: mi sono unita alla resistenza come donna che si oppone alle catene di schiavitù create dal sistema sulle persone. Qui lo stato sta attaccando e uccidendo la nostra gente con i carroarmati, l’artiglieria pesante. Noi siamo qui per servire come una forza di autodifesa ma anche i civili resistono al nostro fianco.
Non è mai stata scritta la storia delle atrocità sofferte dal popolo curdo nelle mani dello stato turco. Il nostro obiettivo non è scavare trincee da soli ma mostrare che possiamo vincere le tecnologie dello stato attraverso trincee che formino una difesa contro gli attacchi che prendono di mira il nostro popolo. Queste sono zone dove noi difendiamo il nostro popolo dalle atrocità dello stato. Queste sono aree dove creiamo soluzioni ai problemi che non sono risolti dallo stato. Le atrocità commesse qui non hanno come obiettivo solo gli abitanti di Silvan ma hanno anche come obiettivo tutte le donne del mondo. Per questo facciamo appello a tutte le donne per sostenere e sentirsi vicine a questa resistenza.
Vogliamo che si sappia che il nostro obiettivo non è dividere il paese. Vogliamo una vita libera e insieme del popolo turco e curdo in queste terre, e uno sventolare comune di due bandiere.
Rodi Amed: sono di questa zona, sono un civile e non sono affiliato ad alcuna organizzazione. Sono semplicemente un abitante di questo quartiere che chiede la fine delle atrocità di stato contro la gente. Noi e la nostra gente vogliamo auto-governarci e portare avanti una vita su basi libere e democratiche.
Un’altra cosa che chiediamo è la liberazione del nostro capo Abdullah Öcalan. Non ci arrenderemo né ricopriremo le trincee finché non sarà libero e non potrà rivenire qui con noi.
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