L’Egitto si infiamma ancora, scontri al Cairo
Dopo gli scontri di mercoledì scorso il movimento rivoluzionario aveva subito risposto con forza scendendo in piazza in maniera unitaria, superando le divergenze politiche e religiose, per battersi contro il nemico comune: la giunta militare.
Ieri nuove manifestazioni, guidate da questo stesso obiettivo, hanno percorso tutto il paese: ad Alessandria in migliaia si sono ritrovati sia di fronte alla moschea di Qaed Ibrahim, mentre molti altri si sono dati appuntamento di fronte agli edifici del Comando Militare a Sidi Gaber. Altre mobilitazioni si sono viste nel deserto del Sinai, a Suez ed Assiut.
Ma è stato ancora una volta nella capitale egiziana che si sono verificati gli incidenti maggiori: i disordini sono avvenuti nel quartiere di Abassiya, nei pressi del ministero della difesa, teatro mercoledì scorso dell’attacco ai manifestanti dell’ala salafita da parte di uomini armati di molotov, spranghe e coltelli.
In tantissimi ieri si sono dati appuntamento al Cairo per raggiungere gli edifici del ministero della difesa. In piazza una composizione estremamente eterogenea: dai salafiti che manifestavano inneggiando slogan come “Allah è grande”, ai molti laici e giovani del movimento rivoluzionario che urlavano “Alza la tua voce, la rivoluzione non è finita!”.
I manifestanti, lungo il percorso, hanno incontrato barriere, schiere di soldati e carri armati. In poche ore la tensione è diventata altissima: la popolazione è stata respinta più volte dai soldati trincerati dietro il filo spinato che hanno attivato idranti, lanciato lacrimogeni e sparato sulla gente, che ha risposto all’attacco con una violenta sassaiola.
Il ministero della salute ha diffuso un comunicato in cui si parla di un morto accertato e centinaia di feriti, di cui alcuni verserebbero in gravi condizioni. Il numero degli arrestati è imprecisato.
Su questa ennesima giornata di scontri la giunta militare afferma che “l’esercito , con l’aiuto della popolazione, ha arrestato decine di delinquenti”; i Fratelli Musulmani, in questo estremamente simili ad alcuni partiti nostrani, condannano la violenza sia militare sia dei ‘facinorosi’ in piazza.
I leader militari, nei proclami televisivi, tentano di mettere a tacere la piazza e le accuse di violenza e, nel frattempo, impongono il coprifuoco e militarizzano le strade. Uno scenario questo, già visto ai tempi della rivoluzione e che oggi viene riproposto a tre settimane dalle elezioni presidenziale, che rappresentano le consultazioni più importanti dalla caduta del rais.
Parallelamente si vede una nuova unità e determinazione popolare contro quell’autorità che, chiamandosi in maniera del tutto autoreferenziale ‘governo rivoluzionario’, si mostra uguale, se non addirittura peggiore, al regime di Mubarak.
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