Mali. La stampa sotto chiave, il panico tra la popolazione: è il Colonialismo 2.0
Dietro la retorica della guerra al terrorismo, le democrazie occidentali contendono alla Cina il primato economico sulla regione, assicurandosi l’accesso alle risorse strategicamente fondamentali a forza di interventi militari sotto il cappello dell’Onu.
di Andrea Camboni (osservatorioiraq.it)
Recita un proverbio russo: “il formaggio gratis si trova solo nella trappola dei topi”.
Può essere letta anche in questo modo la dichiarazione dell’inviato speciale dell’Onu per il Sahel, l’ex premier italiano Romano Prodi che, in un’intervista rilasciata al quotidiano l’Unità ha definito l’Africa un “continente strategico in cui nel futuro cercheremo cibo, materie prime ed energia”.
Probabilmente Romano Prodi parla da un passato antecedente il XV secolo. Perché il futuro dei popoli africani è stato già ampiamente assorbito e digerito dal grande ventre delle economie occidentali.
Solamente nell’ultimo decennio, sottolinea uno studio di Verie Aarts, pubblicato a fine 2009, intitolatoUnravelling the Land Grab: How to protect the livelihoods of the poor?, oltre 2,5 milioni di ettari di terra sono stati assegnati a operatori stranieri in cinque paesi africani, tra i quali figura il Mali, attraverso la stipulazione di contratti che per la prima volta hanno esteso la superfice dei lotti in palio fino a 100.000 ettari.
Il tutto per assicurare agli investitori internazionali la sicurezza alimentare ed energetica. Una manna per i militanti jihadisti nella creazione di consenso tra la popolazione, nel caso l’opzione militare promossa dalla Francia dovesse fallire l’obiettivo di riunificazione e pacificazione del paese.
Ma il primo risultato dell’operazione Serval sembra essere il panico tra la popolazione. Secondo l’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, dopo sei giorni di raid aerei francesi e uno di offensiva di terra avviata dai soldati di Parigi e di Bamako, almeno 30mila persone hanno abbandonato le proprie case, dirigendosi verso il sud del paese.
Di questi – specifica l’Unhcr – 1.230 persone, il 90% donne, si sono rifugiate in Niger, Burkina Faso e Mauritania per sfuggire alle possibili rappresaglie delle milizie jihadiste e ai bombardamenti francesi.
Mentre molte delle agenzie umanitarie presenti nella regione di Mopti hanno sospeso le attività dopo gli scontri a Konna e Douentza, epicentri dell’offensiva.
Secondo la Commissione sui movimenti della popolazione in Mali, una ong locale che lavora con l’Unhcr, 5mila persone, circa la metà degli abitanti di Konna, hanno lasciato la città attraversando il fiume Niger andando ad aggiungersi ai 60mila rifugiati che già si trovano in territorio nigeriano.
E nonostante il governo di Bamako, il 15 gennaio, ne avesse annunciato la liberazione, sono stati registrati nuovi scontri nella notte tra il 16 e il 17 gennaio nei pressi della città di Konna e combattimenti all’arma bianca nella località di Diabali, 370 chilometri a nord di Bamako, tra le forze speciali francesi e i combattenti islamici che, secondo fonti militari malesi, manterrebbero sotto il loro controllo molti quartieri della città.
Notizia prontamente smentita dal ministro francese della Difesa, Jean-Yves Le Drian.
Proprio l’informazione è uno dei tanti punti controversi di questa guerra a causa dello stretto controllo esercitato a livello politico e militare sui giornalisti francesi e stranieri attraverso blocchi stradali della polizia e dell’esercito che impediscono alla stampa gli spostamenti verso il nord del paese. Così come restano bloccati “per motivi di sicurezza” gli accessi alle città di Mopti e Sevare, teatro dei primi scontri.
E così – scrive il quotidiano francese Le Monde sul suo blog, rilanciando la denuncia dell’inviato del Nouvel Observateur, Jean-Paul Mari – siamo di fronte a “una guerra senza immagini, senza bilanci e con informazioni contraddittorie sul terreno. Una guerra senza fatti”.
17 gennaio 2013
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