Nawaat.org – In Tunisia c’è qualcosa che si è rotto.
Un’intervista ad Astrubal, insegnante universitario e blogger tunisino, co-amministatore di Nawaat.org
| da Città del Capo – Radio metropolitana |
Cos’è Nawat.org
Nawat punto org è un blog, un blog collettivo composto da più persone, tunisini, che come è scritto nella sua home page è completamente indipendente, non riceviamo nessun finanziamento da alcuno, e la nostra linea editoriale fa perno sulle libertà fondamentali dei tunisini ma anche di tutti i nostri simili.
Chi lavora per Nawat vive in Tunisia o all’estero?
Entrambi. Ci sono persone che vivono in Europa e altri, come me, che vivono tra la Francia e la Tunisia. Altri ancora che vivono in Tunisia.
Aiutateci a capire quello che sta succedendo in Tunisia. Prima di tutto quali persone sono coinvolte. Noi vediamo soprattutto studenti…
Si, si sono giovani soprattutto, sono tunisini, ma anche meno giovani, ci sono anche trentenni e quarantenni. Ma in fondo penso che non si tratti solo di giovani, sono in pratica tutti i tunisini. Certo non tutti i tunisini scendono in strada ma tutti sostengono quelli che sono scesi in strada a manifestare.
Rispetto ai fatti distinguerei due momenti. Prima di tutto come hanno reagito le persone dopo che Mohamed Bouazizi si è immolato a Sidi Bouzid, una cosa che ha enormemente colpito i tunisini. Quindi… nel periodo che è seguito al silenzio dei media e dell’informazione pubblici e finanziati dai cittadini sulla vicenda di Mohamed Bouazizi, beh questo ha indignato le persone. La notte tra sabato e domenica la situazione è diventata ancora più grave per le persone che sono morte, che sono state uccise. Questo ha colpito tutti perché era estrememente grave quello che era accaduto.
Pensa che può tornare tutto come prima?
No, no come prima mai. Non è possibile. C’è qualcosa che si è rotto.
Se vuole è un po’ come una corda, quando si tira troppo si spezza. Ora la corda si è spezzata. Non si torna come prima. Certo, non è in discussione la repubblica, la repubblica non cadrà, ma il potere di Ben Alì potrebbe crollare? E’ possibile. Se devo dire che sono assolutamente convinto, no! Ma è possibile. Lo penso dopo l’assassinio, perché sparare sulla gente disarmata è un assassinio, di decine di persone, la situazione è divenuta particolarmente difficile per lui.
Sappiamo che non ci sono partiti politici di opposizione forti. Chi può guidare il movi mento di rivolta?
Se permette amarei fare una precisazione. Occorre fare una distinzione tra la capacità dei tunisini di offrire una alternativa da una parte, e dall’altra parte in una dittatura dove le libertà di espressione sono represse un’opposizione reale sulla dittatura non può non manifestarsi, non può funzionare normalmente.
Ora, quanto sta succedendo dimostra anche che non c’è alcuna rivendicazione islamista, alcun movimento religioso che può pretendere di controllare ciò che accade in strada. Ci sono cittadini tunisini che dicono: non ne possiamo più della corruzione, non ne possiamo più della dittatura, non ne possiamo più della famiglia di Ben Ali.
Guardando certe foto e certe sequenze, avrete visto che ci sono donne, giovani e meno giovani, disoccupati: tutti chiedono la possibilità di lavorare, di esprimersi, domandano trasparenza, chiedono insomma conto a quanti governano questo Paese.
Il movimento islamico è solo un fantasma, uno spettro? Non c’è un movimento islamico radicale in Tunisia?
L’estremismo, il radicalismo politico c’è in tutti i paesi del mondo. In Italia, in Francia, in Germania, ovunque. Ma in Tunisia non abbiamo problemi in questo senso. Ci sono alcuni gruppi minoritari, certo, come dovunque. Ma sono del tutto insignificanti. D’altra parte tutti gli studi che sono radicati nel vissuto e nel sociale tunisino affermano che la società tunisina non è in procinto a scivolare nell’islamismo. E’ una sociatà relativamente aperta, dove i cittadini in certo modo sono gelosi di certe libertà fondamentali. E dirò di più. Anche il principale movimento islamista che esiste e che è piuttosto messo al margine, riconosce le libertà fondamentali, il governo repubblicano. Dunque non c’è il pericolo di una deriva islamista in Tunisia.
Abbiamo sentito dire: lo stato è mafioso, il regime è mafioso. Che cosa vuol dire questo nella vita di tutti i giorni delle persone?
Significa che la corruzione è a ogni livello, dunque anche in quello del potere. Un piccolo esempio per vedere a quale punto arriva.
In Tunisia esistono 5 radio private. Ce n’è una che appartiene al cognato, una che appartiene al figlio, una che appartiene al nipote, una al genero, e una perfino al figlio del suo medico personale. In Tunisia il potere risiede su una struttura assolutamente irriformabile. E quando sei vicino al potere puoi fare praticamente tutto ciò che vuoi. Allora vorrei atrarre attenzione su questo: la Tunisia è una Repubblica. Nella Costituzione esiste una separazione dei poteri, dove la magistratura però non riesce a esercitare la sua indipendenza e autonomia, dunque lasciando spazio a una dittatura, a uno stato poliziesco.
Un ultimo esempio ancora. Riguardo la libertà d’espressione. La censura è terribile in Tunisia. E la cosa ancora più grave è che essa viene esercitata, come nel caso del nostro blog, che è stato censurato, direttamente dalla polizia. Ma in realtà la censura è qualcosa che invece dovrebbe decidere ed essere compatenza dei tribunali e non della polizia.
Questa è la vita di tutti i giorni. Non ci sono organi di informazione in Tunisia, compresi radio e televisione pubbliche, che sono capaci di denunciare la corruzione. Questa mancanza di denuncia si ripercuote su tutti gi ambiti della società creando gravi disfunzioni, e arrivando anche a situazioni drammatiche, catastrofiche.
Infine, noi abbiamo voglia di dire ai nostri amici italiani, ai nostri amici occidentali, è cioè di far sapere che la gioventù tunisina, malgrado questo stato poliziesco, è cresciuta con i canali satellitari, aperti sul mondo, cresciuti anche su internet. In questo contesto, questa nuova generazione è davvero e completamente differente da tutte quelle che l’hanno preceduta. E’ una generazione per la quale l’autorità dello Stato è desacralizzata. In altre parole, essi vogliono assolutamente sottometere i governanti al loro controllo, vogliono poter chiedere conto a chi li governa del loro operato.
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