“Non ci fermiamo qui!” Voci dallo sciopero generale in Catalogna
Una cronaca in presa diretta dalla Vaga General contro la repressione dello Stato centrale a due giorni dal voto referendario.
Una giornata di blocco totale quella di oggi in numerose città catalane, convocata dalla grande maggioranza dei sindacati catalani inclusi Cgt, Iac e Cos, insieme a organizzazioni pro-indipendenza. Si registrano livelli di adesione intorno all’80% con università e scuole chiuse, trasporti paralizzati, autostrade e principali arterie delle grandi città occupate. Nella città di Barcellona 300mila persone si sono riversate nelle strade per protestare contro le operazioni di polizia del 1 ottobre, concentrandosi di fronte alla sede del Partido Popular e dei comandi di Policia Nacional e Guardia Civil. L’obbiettivo politico di questa giornata è infatti quello di denunciare la risposta repressiva dello stato centrale. Nelle scorse due notti concentrazioni spontanee si sono formate intorno agli alberghi dove alloggiavano le forze di sicurezza di Madrid, al grido di “non ci lasciate votare, non vi facciamo dormire”.
Si iniziano a consolidare i nuovi assetti politici post-referendum, con i sindacati nazionali che non aderiscono alle mobilitazioni e gli organi di stampa notevolmente polarizzati al punto da presentare narrative notevolmente divergenti tra loro sui fatti di domenica. Attraverso il suo portavoce Pablo Iglesias, Podemos prova a capitalizzare sul sentimento di sfiducia diffuso nei confronti del governo Rajoy proponendo una mozione di sfiducia al fine di creare una coalizione con il Partito Socialista, con l’obbiettivo di proporre un referendum concordato su una associazione federale tra Catalogna e Spagna. Purtroppo per Iglesias, quest’ultima proposta non è condivisa né dal Partito Socialista, né dagli indipendentisti catalani. Rajoy, nel frattempo, incontra diversi leader politici per sondare le acque in vista di un’ipotetica applicazione dell’articolo 155 della Costituzione, che di fatto revocherebbe l’autonomia catalana e porrebbe la regione sotto controllo diretto del governo centrale. Una prospettiva che, in assenza di ulteriori prove di forza come una dichiarazione unilaterale di indipendenza, è altamente improbabile data la massiccia risposta popolare alle operazioni di polizia di domenica scorsa.
Sul fronte europeo intanto, le istituzioni comunitarie continuano a ribadire la propria politica di non-riconoscimento del referendum e si rifiutano di fare da mediatori tra Madrid e Barcellona, definendo la questione come “interna alla Spagna”. Questo immobilismo, per molti, dimostra quanto l’attuale assetto di potere europeo sia ancora ancorato al potere statale che lo legittima, al punto da non potersi permettere di smarcarsi dai propri stati membri neanche di fronte ad abusi dei diritti civili come quelli di domenica scorsa. Un segnale politico che rischia di avere conseguenze negative anche sul referendum nel Kurdistan iracheno, condannato da i partner europei Turchia e Stati Uniti e che probabilmente riceverà la stessa risposta da Bruxelles.
La questione catalana appare dunque sempre più complessa, sia dal punto di vista istituzionale sia dal punto di vista sociale. Il fatto che la popolazione catalana sia mobilitata dal 2014, quando il governo Rajoy ha impugnato lo statuto di autonomia della Generalitat di fronte alla corte costituzionale, ha causato una notevole politicizzazione della vita quotidiana, che difficilmente verrà smorzata nel futuro prossimo. Una mobilitazione che ha saputo smarcarsi abilmente da ogni tentativo di accostamento da parte delle élite neoliberali all’ondata di nazionalismi europei. Questo per il fatto che all’interno del messaggio indipendentista si è fatta largo una componente, ora maggioritaria, che trascende le richieste di sovranità e propone un agenda sociale che riguarda il lavoro, l’inclusione sociale, il diritto all’abitare ed un educazione libera e gratuita. Notevole il ruolo della memoria storica, esemplificato da un cartello esposto di fronte alla caserma della Policia Nacional di Barcellona che recita: “siamo i nipoti dei repubblicani che non siete riusciti ad assassinare”.
Francesco Lanzone
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