Per le petromonarchie la fine di Assad viene prima della lotta all’Isis
di Michele Giorgio – Il Manifesto
Roma, 9 maggio 2015, Nena News – Da giorni si parla della battaglia di Qalamoun, regione strategica della Siria centrale a ridosso del confine con il Libano, come “decisiva” per le sorti della guerra civile. Uno scontro che vede riuniti nell’”Esercito della Conquista” i qaedisti di Nusra e diverse formazioni islamiste e jihadiste contro l’esercito governativo in difficoltà e sempre più bisognoso del sostegno dei combattenti libanesi di Hezbollah e dei volontari iraniani. Più a nord lo Stato Islamico (Isis) intanto consolida il controllo del territorio siriano già sotto il suo controllo e continua ad avanzare. Ora appare vicino a strappare ai governativi anche l’aeroporto di Deir Ezzor. Eppure, senza ridimensionare il bagno di sangue quotidiano, il destino della Siria sarà forse scritto il 13 e 14 maggio. I quei due giorni le petromonarchie sunnite del Golfo, guidate dall’Arabia saudita, incontreranno Barack Obama. Al presidente americano di fatto detteranno le loro condizioni per digerire l’accordo definitivo sul nucleare iraniano che gli Stati Uniti e gli altri Paesi membri del gruppo 5+1 si preparano a concludere con Tehran entro il 30 giugno. Non si limiteranno a chiedere soltanto altre armi americane dell’ultima generazione, come scrive qualcuno. Vogliono la testa del presidente siriano Bashar Assad, subito, per accettare, comunque a malincuore, l’apertura storica di Washington al loro nemico, l’Iran.
Re Salman dell’Arabia saudita, a capo della coalizione sunnita (Tempesta Decisiva) che ha messo in piedi a marzo per bombardare in Yemen i ribelli sciiti Houthi (ma sono centinaia i civili uccisi), pretende che il presidente Usa cambi radicalmente la sua politica verso la Siria. Vuole con forza che Obama faccia della caduta di Assad la sua priorità e metta in secondo piano la lotta all’Isis e ad al Qaeda. I prossimi colloqui a Washington sono stati preceduti qualche giorno fa dalla riunione, di fatto un gabinetto di guerra, del Consiglio di Cooperazione del Golfo (le sei petromarchie) – alla quale è intervenuto il presidente francese Francois Hollande, il primo leader straniero a farlo dal 1981, e che si è chiusa con la decisione di un meeting al più presto dell’opposizione siriana a Riyadh per discutere il dopo Assad – e dalla visita preparatoria in Arabia saudita del Segretario di Stato americano John Kerry. Nelle capitali del Golfo va avanti il conto alla rovescia, i giornali locali da giorni scrivono di questo incontro con Obama che dovrà sancire il pieno ritorno della supremazia regionale agli arabi e ai musulmani sunniti.
Da quando si è seduto sul trono saudita, Salman ha messo da parte le esitazioni del suo predecessore Abdullah ed è passato all’offensiva contro l’Iran, grazie anche a un inedito coordinamento con il leader turco Erdogan, visceralmente anti-Assad. La campagna militare in Yemen è solo l’esempio più visibile della svolta impressa da Re Salman. Perchè dietro le quinte i sauditi, assieme ai cugini-rivali del Qatar, sono in buona parte all’origine dei recenti sviluppi avvenuti sul campo di battaglia siriano a danno delle forze governative. I finanziamenti e le forniture di armi ora affluiscono senza sosta ai cosiddetti “ribelli moderati”, stretti alleati di al Nusra, e addestrati in Turchia e Giordania dai consiglieri militari Usa. Per Salman l’unica soluzione è quella militare. Per questa ragione ha bloccato sul nascere la cauta disponibilità a negoziare con Damasco che l’opposizione siriana aveva manifestato a inizio anno. Così facendo ha reso una farsa i colloqui in corso per l’organizzazione della conferenza Ginevra 3 per un futuro della Siria fondato su negoziati. Per Assad e per l’alleanza Iran-Siria-Hezbollah invece non dovrà esserci alcun futuro. Solo in questo modo, pensa il re saudita, l’Iran sarà ridimensionato.
Secondo il noto giornalista ed analista arabo Abdel Bari Atwan, Riyadh cerca risultati immediati in Siria approfittando dei prossimi 40 giorni in cui l’Iran avrà le mani legate e non potrà permettersi passi falsi perchè impegnato a concludere l’accordo sul nucleare. Sarà una estate molto calda per il Medio Oriente, prevede da parte sua l’analista Urayb ar-Rintawi del quotidiano giordano Addoustur. Dopo Yemen, Iraq e Siria – scrive – anche altri paesi, come il Libano, sono a forte rischio, in conseguenza dei rivolgimenti regionali innescati dall’accordo sul nucleare iraniano e l’interventismo delle monarchie sunnite. La lotta all’Isis è messa da parte, aggiungiamo noi, in ogni caso è solo una copertura per i sauditi. L’obiettivo di Riyadh era e resta la caduta di Damasco e l’isolamento dell’Iran.
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