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Siria: la sfida di una ricostruzione indipendente dagli interessi imperialisti

Abbiamo posto alcune questioni a Yussef Boussoumah, co-fondatore del Partito degli Indigeni della Repubblica insieme a Houria Bouteldja e ora voce importante all’interno del media di informazione indipendente Parole d’Honneur a partire dalla caduta del regime di Bachar Al Assad in Siria.

da Radio Blackout

Innanzitutto, abbiamo provato a comprendere quali sono state le forze in campo che hanno permesso la caduta del regime andando ad analizzare il soggetto Hayat Tahrir Al-Sham, la sua genesi e il suo progetto politico. Non è possibile leggere la situazione senza una ferma consapevolezza del ruolo di Stati come la Turchia, gli USA e Israele che rappresentano gli interessi imperialisti e che all’oggi concretamente costituiscono un ostacolo ulteriore per le resistenze palestinesi e libanesi nell’area. La formazione jihadista salafita (HTS) viene infatti definita come una forza pro-americana e imperialista-compatibile, in quanto resasi protagonista di un intervento militare, supportato e finanziato da Turchia, Qatar e con il supporto di armi e forze ucraine, che ha condotto all’indebolimento dell’Asse della Resistenza.

Oggi la sfida che si apre per il popolo siriano, con il quale viene ribadito più volte nel corso dell’intervista, si gioisce per la fine di una durissima dittatura, la riapertura delle prigioni e la cacciata di Assad, si riassume nella possibilità o meno di poter decidere per il proprio avvenire che risulta essere particolarmente complesso. Il progetto imperialista potrebbe beneficiare di una situazione di caos che porterebbe al collasso della Siria, se non sarà capace di costituirsi in uno Stato nazionale indipendente e unito, sia dal punto di vista degli USA sia dal punto di vista di Israele che oggi allarga la sua sfera di controllo nella regione controllando le alture del Golan e continuando i bombardamenti. Ma anche ovviamente dal punto di vista del primo attore in causa che sta beneficiando di questo passaggio, ossia la Turchia, che come prima preoccupazione ha quella di attaccare le regioni del nord con l’intenzione di minare la rivoluzione curda e distruggere l’amministrazione autonoma del nord-est.

In questo senso, si apre uno scenario ancora pieno di domande senza risposta ma che vede nell’ipotesi di un territorio diviso in zone controllate da gruppi di provenienza jihadista pro-imperialista una probabilità, ancorata anche in una storia coloniale che nel corso degli anni ha riproposto opzioni di questo genere. L’unica certezza è che l’Occidente teme l’ondata migratoria e un nuovo esodo di rifugiati come nel 2011.

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