Proteste in Bahrain nell’anniversario dell’insurrezione contro la monarchia
Da alcuni giorni le strade della capitale Manama sono completamente militarizzate, con le forze militari dispiegate in ogni angolo della città. Si sono tenute manifestazioni per l’anniversario della primavera araba nella capitale e in altri 12 villaggi del paese. In uno di questi, Al-Daih, ci sono stati durissimi scontri che hanno portato, nella giornata di ieri, alla morte di un poliziotto e di giovane manifestante colpito da arma da fuoco.
Il ministero degli interni, commentando le dinamiche che hanno portato alla morte del sedicenne, si è affrettato a dichiarare che “un gruppo di sabotatori ha messo a ferro e fuoco le strade, rendendo necessario l’intervento delle forze dell’ordine”, ma la realtà è stata diversa: un violento attacco da parte della polizia per disperdere le migliaia di manifestanti che, da diverse zone, hanno tentato di raggiungere Piazza della Perla, luogo simbolo delle rivolte del 2011.
Ad oggi, mentre le autorità continuano a dichiarare che nel paese vige un assoluto rispetto dei diritti umani e di aver recepito le raccomandazioni sull’eccessivo uso della forza da parte delle forze dell’ordine, i manifestanti sono di tutt’altro parere. Molti gli attivisti che denunciano torture, rappresaglie e punizioni collettive.
Nel paese non viene solo attuata una repressione diretta di tipo militare, ma anche una più subdola ed indiretta: in molti hanno perso il lavoro per la sola ragione di aver partecipato alle proteste o di aver soccorso i manifestanti feriti.
Mentre forze dell’opposizione guidate da Al-Wefaq, hanno preso parte al nuovo dialogo nazionale iniziato la scorsa domenica, la Coalizione dei Giovani della Rivoluzione 14 Febbraio, formazione clandestina con rivendicazioni più radicali, continua a scendere in piazza.
Nelle proteste di questi giorni, indette dalla coalizione 14 Febbraio, tra i manifestanti ci sono coloro che lottano per la caduta del sistema e altri che hanno una piattaforma riformista – una monarchia costituzionale e un primo ministro eletto. Tra le richieste comuni ed imprescindibili, quella della cacciata del principe Khalifa Bin Salman, primo ministro da 40 anni e capo di gabinetto al potere da più tempo in tutto il mondo.
Oggi come due anni fa, mentre il potere cerca di addossare le colpe a fattori religiosi, indicando i rivoltosi come sciiti (la stragrande maggioranza della popolazione è di fede sciita, mentre il potere è in mano all’elite sunnita), la piazza chiede l’allontanamento della classe dirigente, giustizia e libertà, rivendicazioni che niente hanno a che vedere con l’appartenenza religiosa. Lo chiedeva due anni fa, e lo chiede ancora oggi non perché l’elite è sunnita, ma perché il paese è guidato da un regime corrotto ed espressione di un’esigua minoranza.
La storia è sempre la stessa, stesse le richieste della piazza – sovranità popolare, cambiamento del regime – stesso il sistema repressivo del potere.
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