Questione curda e sua falsificazione. A proposito di un articolo del generale Carlo Jean
Tuttavia, nonostante la competenza di Jean in materia, l’articolo si esprime in maniera assolutamente inesatta su molti fatti o dati di fatto. Su alcuni di essi è necessaria una precisazione: per quanto politicamente ma anche deontologicamente mi riguarda, perché l’Occidente ha affidato ai curdi, nella loro sostanziale interezza, il compito di essere tra i difensori fondamentali, in quanto combattenti sul terreno, dei propri interessi in Medio Oriente, spesso sporchi, e, indirettamente, della sicurezza in Europa, e quanto meno se ne dovrebbe parlare con rispetto anziché farli assomigliare, moralmente, al politicantume europeo attuale.
Il primo ordine di obiezioni riguarda la descrizione della situazione attuale dei rapporti sia tra le diverse popolazioni curde che tra le diverse loro formazioni politiche. Il quadro che Jean rappresenta è quello di una frammentazione estrema. Si tratta, come mostrano ad abundantiam i fatti di questi mesi, di un quadro obsoleto. E’ vero che i curdi sono stati storicamente fratti in più modi, in genere per l’azione dei governi degli stati che se ne erano spartiti i territori. L’inesistenza storica di uno stato curdo di larga consistenza territoriale ha inoltre impedito la formazione di una lingua curda unitaria.
Però, intanto, i due gruppi al potere nel Curdistan iracheno non si scontrano tra loro da un pezzo ma governano assieme. In secondo luogo, il complesso delle realtà curde in Iraq, in Siria e anche in Turchia, nonostante il tentativo di impedimento da parte turca, si sta scontrando con l’ISIS. Vorrei rammentare che senza l’intervento in Iraq del PKK, cioè della milizia armata dei curdi di Turchia, oggi Erbil, la capitale del Curdistan iracheno, sarebbe nelle mani dell’ISIS.
Aggiungo che la guerra in corso costituisce – ovviamente – un potentissimo fattore di ricomposizione unitaria del popolo curdo, inoltre come il prestigio dei combattenti di Kobane non sia solo un dato mondiale, ma anche un fattore potente di unificazione, emotiva e politica al tempo stesso, di popolo, che travalica separazioni statali e appartenenze politiche. In Italia questo dovrebbe essere facile da capire, data la storia stessa del nostro paese, cioè guardando alle nostre fratture dell’Ottocento e alla loro ricomposizione unitaria per via non solo politica ma anche militare.
Addirittura Jean si inventa che non esisterebbe una realtà territoriale curda, cioè che i curdi sarebbero sparpagliati su un vasto territorio senza essere maggioranza congrua su sue parti estese. Esiste invece (come sanno tutti quelli che i curdi abbiano sentito nominare) un esteso territorio abitato in maggioranza da curdi, che copre il sud-est della Turchia, la striscia di confine siriana sul versante turco, il nord-est dell’Iraq, tutto il territorio di confine iraniano sul versante turco e oltre metà di questo territorio sul versante iracheno.
Secondo ordine di obiezioni, riguardante la realtà curda in Siria. Intanto non è vero che si tratta in larga prevalenza di discendenti di curdi fuggiti in Siria per sottrarsi alle persecuzioni in Turchia da parte di Atatürk: si tratta invece di una realtà storicamente curda. Non solo: essa ha subìto costantemente in Siria, da parte del regime baathista, ogni sorta di forme di oppressione, tra le quali l’esclusione di una sua parte dalla cittadinanza siriana, arresti di massa, impiccagioni di militanti ostili al governo. Inoltre il regime baathista ha operato sistematicamente nel senso della distruzione della realtà curda nel nord della Siria (il Rojavà), sia attraverso il trasferimento coatto di povera gente araba nei territori curdi, sia attraverso il mancato riconoscimento dei diritti linguistici dei curdi, in particolare attraverso l’insegnamento scolastico solo dell’arabo.
Insomma, operando un’analogia rispetto a realtà più note, il regime baathista siriano, arabo-sciovinista, si è comportato esattamente come il regime arabo-sciovinista di Saddam Hussein e come i vari regimi, soprattutto dal 1980 in avanti, che si sono alternati nella Turchia turco-sciovinista. Jean descrive nel suo articolo una realtà siriana che sembra quella svizzera! In medio Oriente, purtroppo, tutto è lontanissimo dalla Svizzera. Perché Jean compie una tale operazione? Probabilmente perché tra i problemi occidentali della guerra contro l’ISIS c’è anche quello, di ardua soluzione, di una legittimazione almeno parziale del regime in Siria di Assad.
Non solo: Jean accenna, in quella forma fuggevole che vuole significare che la cosa è scontata, a transazioni assai opache, nel 2012, tra il PYD (l’organizzazione sorella del PKK che combatte in tutto il nord della Siria, non solo a Kobane, contro l’ISIS) e il regime siriano. Quest’ultimo avrebbe ritirato le proprie truppe dal Rojavà in cambio della non partecipazione curda all’insorgenza armata che era venuta a opporglisi.
In realtà il PYD dichiarò da subito la propria neutralità dinanzi alla guerra civile siriana, intimò lo sgombero a quelle forze armate e di polizia del regime che erano stanziate nel Rojavà e procedette alla costituzione di un’entità curda autogovernata. Nella realtà dell’autogoverno del Rojavà sono integrati anche i gruppi non curdi: tra i quali i drusi, e dunque quel che era una formazione militare precedentemente inquadrata nelle forze armate di Assad. Non tutto in politica, ma soprattutto nelle guerre civili e nei processi di decomposizione di uno stato avviene tramite intese, sporche o pulite, proprio per il fatto della guerra, della decomposizione, del fatto, soprattutto in Siria, della molteplicità di attori politici e militari sovente in guerra ognuno contro tutti.
Le condizioni in cui opera il PYD, ancora, non sono quelle in cui operano e si rapportano le diplomazie occidentali. La realizzazione di rapporti tra PYD e altre realtà curde, segnatamente quella irachena, è stata resa a lungo estremamente difficile dalla mancanza di contiguità territoriale. Fino a tempi recenti la Turchia ha impedito il transito di armati curdi verso il Rojavà (e oggi il transito è solo consentito a piccoli contingenti di curdi iracheni, che intervengono a Kobane), mentre l’area siriana tra il Rojavà e il Curdistan iracheno è nelle mani dell’ISIS (e prima dell’ISIS di analoghe bande di tagliagole). Solo recenti successi militari curdi nel nord dell’Iraq hanno consentito spostamenti non del tutto insicuri tra Curdistan iracheno e settore più orientale del Rojavà.
La ragione delle difficoltà iniziali di rapporto tra PYD e Curdistan iracheno è essenzialmente qui. D’altro canto lo stesso collegamento a Kobane da terra tra bombardamenti aerei statunitensi e miliziani del PYD ha richiesto molte settimane: se fosse facile arrivare a Kobane sarebbero occorsi pochi giorni. E’ vero che i rapporti tra PKK e PYD da una parte e governo del Curdistan iracheno (soprattutto, in esso, PDK di Barzanì) non sono stati facili (però il PKK ha da gran tempo il grosso delle proprie formazioni militari nel Curdistan iracheno): ma non va neppure dimenticato il grande prestigio del PKK (e oggi del più recente PYD) nella popolazione curda irachena: dato questo da sempre di fortissimo condizionamento del governo del Curdistan iracheno.
Passo ora, rapidamente, alla realtà dei curdi iraniani. Anche qui il problema di Jean pare essere quello di una bonificazione dei comportamenti del regime iraniano, in analogia alla bonificazione ch’egli fa del regime siriano. L’Iran è presentato anch’esso da Jean come una specie di Svizzera: i curdi in questo paese dispongono di “autonomia”, cioè, altrimenti di che si tratta?, dei diritti linguistici. Essi pure sono, in realtà, sottoposti dal regime iraniano a repressione pesantissima, in stretta analogia a quanto avviene in Turchia (con la quale esiste cooperazione politica e militare stretta nella repressione anticurda da parte iraniana). I diritti linguistici curdi sono, dunque, inesistenti in Iran, sono migliaia i curdi incarcerati per ragioni politiche, sono stati impiccati centinaia di curdi sempre per tali ragioni, cioè in quanto rei di rivendicare autonomia dei loro territori e diritti linguistici.
Passo in ultimo al ruolo di Rifondazione Comunista riguardo alla venuta in Italia nel 1998 del leader dei curdi di Turchia Abdullah Öcalan nonché ai motivi del suo allontanamento dall’Italia. Jean tratta con disprezzo il ruolo di Rifondazione, al tempo stesso altera grossolanamente i fatti. Non è vero che il governo D’Alema non fosse stato edotto dell’intenzione di Öcalan di rifugiarsi in Italia, dopo essere stato cacciato dalla Siria, sottoposta alla minaccia di un intervento militare turco.
Che Pisapia, tra gli avvocati che assunsero la tutela giuridica di Öcalan, gli abbia detto che la sua estradizione in Turchia non era possibile poiché in Turchia era in vigore la pena capitale, ha fatto parte semplicemente dei suoi compiti di avvocato. Jean sa bene, ritengo, queste cose. La sua intenzione è quindi, mi pare proprio, di evitare di menzionare la posizione reale di D’Alema (che solo in un secondo momento la cambiò, sottoposto a pressione da parte del presidente statunitense Clinton, a sua volta sottoposto a pressione turca). Non furono i servizi italiani, infine, a “convincere” Öcalan ad andarsene via dall’Italia, bensì il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, strettissimo collaboratore ai tempi di D’Alema, Marco Minniti.
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