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“Silenziando il mio dolore”: la “guerra psicologica” israeliana contro le famiglie dei prigionieri

Negli ultimi sei anni, Hasna Zourob, 60 anni, ha combattuto una battaglia su due fronti. Uno contro il cancro e l’altro contro l’occupazione israeliana che le ha impedito di vedere suo figlio.

The Palestine Chronicle. Di Mahmoud Mushtaha, traduzione di InfoPal

Il figlio di Hasna, Assad Zourob, aveva solo 21 anni quando fu arrestato dalle forze israeliane, nel 2002. Venne condannato all’ergastolo perché accusato di appartenere alla resistenza palestinese.

Il detenuto, che oggi ha 42 anni, ha trascorso metà della sua vita dietro le sbarre e continua a essere imprigionato ancora oggi.

Il peso emozionale per sua madre è grande. Oltre al disagio psicologico di non poter vedere suo figlio, la sua fragile salute si è ulteriormente indebolita dopo che le è stato diagnosticato un cancro.

“Riuscite a immaginare gli effetti deleteri sul benessere mentale e fisico di una madre e di suo figlio quando viene loro negato di vedersi anche solo per pochi minuti?”, ha dichiarato a The Palestine Chronicle Umm Assad.

“Come si può abbracciare appieno l’atmosfera gioiosa del Ramadan e dell’Eid quando tuo figlio è stato lontano da 22 anni?”

Dal 2017, Hasna non ha più sentito la voce di suo figlio, non ha più tenuto la sua mano e non lo ha più visto sorridere. Nonostante la sua malattia, Hasna non può ancora vedere suo figlio.

Difficile da spiegare.

La storia di Hasna è una delle tante.

Malik Hillis ha trascorso 15 anni in una prigione israeliana da quando è stato arrestato all’età di 18 anni, mentre si spostava da Gaza alla Cisgiordania.

Venne fermato dagli ufficiali israeliani ad un posto di blocco militare e portato in prigione con l’accusa di appartenere alla resistenza.

Per la famiglia di questo detenuto palestinese, gli ultimi 15 anni sono stati segnati dal dolore e dalla separazione. Il padre di Malik, 75 anni, non vede il figlio dal giorno della sua incarcerazione e anche alla madre è stato negato il diritto di vederlo.

“Il mio cuore è pieno di dolore, perché desidero vedere mio figlio a casa. Cerco di mettere a tacere il mio dolore, ma la mia sofferenza non può essere ignorata”, ha dichiarato il padre di Malik a The Palestine Chronicle.

Il dolore della privazione è evidente nella famiglia di Malik. Sua madre, 70 anni, ci ha detto che, quando è stato arrestato, suo figlio era ancora giovane e aveva quindi bisogno della tenerezza di una madre.

“È così doloroso pensare che sia stato privato del mio amore in così giovane età”, ci ha detto.

La moglie e i due figli di Malik, Ahmed e Tariq, hanno potuto fargli visita solo due volte durante la detenzione. L’ultima visita risale al 2014.

Il figlio del detenuto, Tariq, 15 anni, ha potuto visitare il padre una sola volta in tutta la sua vita, separato da una barriera di vetro. Anche se la visita è stata breve, ha rappresentato una fonte di sostegno molto necessaria sia per Tariq che per suo padre.

Nonostante le difficoltà, la famiglia ha continuato a ottenere il permesso di visitare Malik tramite la Croce Rossa. Tuttavia, le loro speranze sono state ripetutamente frustrate, poiché le autorità d’occupazione israeliane accettavano gli appuntamenti, ma poi impedivano alla famiglia di visitarlo all’arrivo al valico, causando ulteriori sofferenze.

“Gli israeliani distruggono deliberatamente la nostra psiche ed i nostri sentimenti. È difficile da spiegare, ma immaginate di ricevere una telefonata in cui vi si dice che domani dovete andare a trovare vostro padre. Vi preparate e acquistate dei regali per lui. Quando arrivate al valico, le forze israeliane confiscano tutto e poi vieni informato da un ufficiale che la visita è stata bruscamente annullata”, ha detto Tariq.

“Le autorità israeliane prendono deliberatamente di mira le famiglie dei prigionieri palestinesi come forma di guerra psicologica”, ci ha detto Mohammed Hillis, fratello di Malik.

Nessun rispetto per il diritto internazionale.

Mohammed Abuhashem, ricercatore legale presso il Centro palestinese per i diritti umani, ha osservato che l’articolo (76) della Quarta Convenzione di Ginevra sancisce il diritto dei detenuti e delle loro famiglie a ricevere visite regolari. Pertanto, l’impedimento di tali visite da parte dell’occupazione costituisce una “palese violazione degli standard legali e umanitari”.

“Nonostante i continui e vigorosi sforzi compiuti dalla Croce Rossa e dalle istituzioni palestinesi per i diritti umani per affrontare la questione della privazione delle visite alle famiglie dei prigionieri, l’occupazione israeliana non mostra alcun rispetto per il diritto internazionale o per le istituzioni per i diritti umani. Continua ad agire impunemente”, ha dichiarato Abuhashem a The Palestine Chronicle.

Secondo l’ex-prigioniero palestinese Hussein al-Zrai’i, a cui sono state negate le visite della sua famiglia per 18 anni, “questa è una politica punitiva perseguita dall’amministrazione carceraria israeliana, che mira a opprimere i detenuti palestinesi e le loro famiglie senza alcuna ragione”.

Traduzione per InfoPal di F.L.

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