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Tunisia: Ennahdha game over?

Si conferma invece il ruolo storico (dall’indipendenza ad oggi) dell’UGTT di opposizione reale all’interno del quadro istituzionale tunisino, e garanzia della tenuta della coesione sociale e istituzionale. Si faccia attenzione che l’UGTT di oggi, non è il sindacato del gennaio 2011, costretto dal movimento rivoluzionario a divenire un suo strumento per realizzare gli obiettivi politici e sociali della rivoluzione. Il lavoro di questi ultimi mesi dell’UGTT è completamente iscritto all’interno del quadro sistemico e ogni iniziativa è orientata al suo mantenimento, e non viceversa.

Dopo due omicidi politici che hanno colpito l’estrema sinistra parlamentare, una nuova costituzione restata solo nella propaganda da talk show degli eletti all’Assemblea Nazionale Costituente, e le contraddizioni sociali madri della rivoluzione ancora tutte aperte, la Tunisia va verso un nuova tappa della crisi della transizione democratica che inizia a presentarsi quasi come modello fragile di governance dei conflitti sociali.

Del resto anche la crisi interna ad Ennahdha, e complessivamente dell’islamismo moderato delle fratellanze, sembra lontano da una soluzione. Le componenti liberal non sono riuscite a fare i conti con il riconoscimento, obbligato, della fonte profana del potere (lo stato), restando in balia delle fazioni più radicali e fondamentaliste della propria organizzazione. Tenere insieme una visione moderata di sviluppo neoliberista con l’intenzione politica di mandare crocefissi in piazza i sindacalisti non è stato possibile neanche per gli abili dissimulatori islamisti, ispirati e allievi della democrazia secondo Habermas.

La Tunisia dovrebbe quindi tornare presto alle urne per eleggere una nuova assemblea costituente senza aver nei due anni post-Ben Ali aver mosso un solo passo (sul piano degli attori istituzionali) verso il perseguimento degli obiettivi della rivoluzione. Al contrario le forze di governo hanno promosso iniziative politiche, che al di là delle retoriche pubbliche, si sono sempre assestate in piena continuità con l’opera del regime di Ben Ali, se non addirittura estremizzandole come nel caso delle politiche di genere e della libertà d’espressione. L’opposizione dal canto suo non ha certo brillato per coerenza rivoluzionaria! Ma ciò era chiaro fin dalla caduta del secondo governo di transizione, quando subentrato Essebsi alla presidenza del governo, accettando la richiesta della formazione di un’assemblea costituente, l’estrema sinistra abbandonò politicamente i protagonisti sociali del processo rivoluzionario, rincorrendo gli islamisti nelle urne nel velleitario e fatale dibattito sulla laicità delle istituzioni.

Dall’elezione di Ennahdha ad oggi in Tunisia si sono susseguite centinaia di rivolte e le insorgenze sociali non cessano di attraversare il paese magrebino. Non possiamo ancora dire se la nuova fase di crisi istituzionale possa essere o meno lo spazio dove il processo rivoluzionario riuscirà ad agire politicamente per conseguire i propri fini. Certo è che la partita è ancora tutta aperta, e se è vero che manca ancora una prospettiva di organizzazione delle istanze proletarie e rivoluzionarie, è anche vero che la controparte mai è stata cosi debole e prossima al collasso.

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