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Tunisia: il fine settimana di sangue non ferma il movimento

 

 

 

Da questa mattina per 5 ore gli account di molti utenti tunisini di diversi social network sono stati bloccati. E’ la rappresaglia del regime nel contesto della cyberwar che vede il fronte online per la libertà di informazione ed espressione darsi battaglia con la polizia informatica del regime. A quanto pare youtube sta progressivamente cancellando i video che ritraggono i medici dare il primo soccorso ai feriti o tentare di rianimare i manifestanti colpiti dalla fucilate della polizia. Ad ora si hanno notizie verificate di numerose
manifestazioni diffuse in tutta la Tunisia.

Ancora oggi, (per ora 16:30) sappiamo che è Tunisi ad essere teatro del protagonismo del movimento e della ferocia repressiva del governo: sull’Avenue Bourghiba, la strada del centro città dove risiede il ministro degli interni, ci sono stati ripetuti scontri e provocazioni della polizia. Un gruppo di artisti si era dato appuntamento per un flash-mob nei pressi del Teatro, non appena arrivati i manifestanti sono stati aggrediti e picchiati dalla polizia. Successivamente la polizia ha costretto i Caffe e i bar a chiudere facendo uscire la gente dai locali e tentando di riconoscere qualche manifestante. Nei pressi delle stazione metropolitana (Passage) del centro numerosi manifestanti sono stati caricati dalla polizia che però non è riuscita a disperdere il corteo che ora prosegue altrove. Alcuni manifestanti sono riusciti a raggiungere l’ambasciata francese in segno di protesta e gli avvocati si sono riuniti, sempre sull’avenue, in un sit-in di contestazione alla repressione di queste ore.

Anche in altre città e villaggi della Tunisia il movimento sta scendendo in strada, come a Ben Guardane dove una contestazione di massa ha occupato il centro cittadino. Gli assedi , i cecchini, le fucilate e i
coprifuoco non stanno intimidendo il movimento.


Seguiranno nelle prossime ore accurati aggiornamenti… intanto un breve resoconto sul weekend di sangue e il lunedì di rivolta.

Domenica in tarda serata l’ha annunciato radio Kalima (radio indipendente e accreditata tra i network di lotta per la libertà d’espressione nel magreb) che la cifra dei morti durante gli scontri del fine settimana era di gran lunga maggiore rispetto a quanto diffuso nel pomeriggio. 50 morti tra bambini, studenti medi, disoccupati e giovani donne. Una mattanza di manifestanti che ha colpito alcune tra le città e i villaggi più attivi nella contestazione del regime e nella lotta contro la crisi che dura ormai da settimane.

Il bilancio è ancora provvisorio e registra 16 morti a Tala, 22 a Kesserine, 2 a Meknassi, 1 a Feriana, 8 a Reguab. Alcune fonti vicine al sindacato hanno affermato che la polizia ha sparato sui cortei funebri e su chi tentava di dare i primi soccorsi ai numerosi feriti.

Un fine settimana di sangue con cui il dittatore ha voluto far precedere il suo discorso alla nazione, con cui il regime pensava di assestare un duro colpo alla rivolta, alla sua radicalizzazione e diffusione nella società e nel territorio tunisino. Il regime di Cartagine ha fatto parlare il presidente tentando la carta dell’apertura alle richieste di provvedimenti in materia di disoccupazione e di sviluppo di alcune aree, promettendo un rilancio dei media pubblici e delle radio al servizio della comunità e proclamando la disponibilità delle istituzioni a fissare una data per incontrare alcuni studenti universitari e parte della società civile. Nell’introduzione e nella conclusione del lungo intervento si è fatto ripetutamente riferimento a certi banditi e terroristi infiltrati, dal volto coperto, che starebbero attaccando le sedi delle istituzioni e portando disordine perchè al soldo di potenze straniere.

Dopo tanta violenza quotidiana, dopo anni ed anni trascorsi con le catene ai polsi come in un carcere ai cielo aperto, dopo aver visto laureati e disoccupati darsi fuoco, e la polizia e l’esercito sparare uccidere e torturare, i tunisini hanno reagito come fa chi non ha più intenzione di ascoltare un autorità decisamente delegittimata, come fa chi prova sdegno e rabbia contro l’ennesima menzogna del potere annunciata da due giorni di massacri. I tunisini hanno risposto sollevandosi ancora svelando al mondo intero la strumentalità delle dichiarazioni del regime. Non ci sarà sindacalista, studente universitario o disoccupato a partecipare alla conferenza proposta da Ben Ali, se non qualche attore prezzolato dal regime. I rivoltosi tunisini alle avance del regime ancora sporco di sangue rispondono con lo schiaffo della ripresa della mobilitazione in strada e in piazza.

Lunedì 10 gennaio

Sfidando il coprifuoco imposto a molte città, proiettili e lacrimogeni, le piazze e le strade anche sta volta sono state attraversate da cortei, blocchi stradali e spesso i ritratti di Ben Ali (in bella vista, perchè imposti, in tutte le attività pubbliche e private) sono stati incendiati, mandando in fiamme anche le raccomandazioni e i proclami fatti alla tv.

A Tunisi nel centro della città, e in moltissimi quartieri gli studenti delle università e degli istituti superiori si sono incontrati in corteo con lavoratori, disoccupati, avvocati e solidali.

A Soussa ancora una volta gli studenti e il movimento si sono scontrati con la polizia. E contemporaneamente a Sfax dalle università partiva un corteo raggiunto anche da medici, infermieri e abitanti della grande città che per tutto il giorno è stata teatro di scontri con le forze dell’ordine in diversi quartiere fino ad avvicinarsi all’aereoporto.

Nella città di Jandouba, Kesserine, Nebeul, e in molte altre località gli scioperi degli studenti hanno dato sostegno ai cortei e alle manifestazioni che in alcuni casi sono riuscite a portare i rivoltosi nei pressi delle sedi del partito del regime, fino ad incendiarle.

Anche a Kesserine, una tra le città più colpite dalla repressione, oggi è stata una giornata di movimento e di iniziativa di massa: gli studenti e i disoccupati hanno dato vita a diversi blocchi stradali poi sfociati in scontri con la polizia e gli avvocati hanno organizzato uno sciopero e poi un sit-in davanti al tribunale per manifestare solidarietà alle famiglie dei manifestanti uccisi e reclamare l’immediato cessate il fuoco della polizia e dell’esercito. Durante numerose manifestazioni le gigantografie del dittatore sono state date alle fiamme. E non si contano le piccole città e i villaggi in sciopero per manifestare solidarietà e partecipazione agli eventi.

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