InfoAut
Immagine di copertina per il post

Turchia e Pkk ai ferri corti: fine dell’apertura democratica per i curdi?

 scritto per Peace Reporter da Luca Bellusci

 L’intervento armato turco nel nord Iraq è la naturale risposta di uno stato esasperato da quaranta anni di conflitto. Ma l’opzione militare cela una chiara strategia del governo per marginalizzare la parte politica del movimento curdo in Turchia. Il processo di circa duemila esponenti della società civile e politica curda, l’estromissione di alcuni candidati eletti durante le recenti elezioni, la continua strategia della tensione perpetuata dai militari e dalla polizia nei territori curdi sono solo alcune delle ferite aperte all’interno della società.

La Turchia in questi giorni sta attraversando un nuovo periodo contraddistinto da tensioni sociali con la minoranza curda dell’est. In seguito agli attentati che negli ultimi mesi hanno ucciso almeno quaranta militari turchi per mano della guerriglia del PKK (partito Curdo dei Lavoratori), il governo di Erdogan ha approvato con il Consiglio Nazionale un intervento militare per distruggere in modo definitivo le basi logistiche del gruppo armato, di stanza nel nord Iraq.

La strategia di Erdogan nella gestione del problema curdo era definita circa un mese fa dall’opinionista del quotidiano Hurriyet, Ali Ozcan, come una “lezione da imparare”. La formula di “ingegneria sociale” portata avanti da Erdogan era descritta come funzionale nel tentativo di risolvere in modo democratico la questione curda in Turchia. Ma la strategia adesso, alla luce degli ultimi avvenimenti, diventa un’altra e non prevede metodi democratici.

Dall’inizio delle operazioni da parte dell’aviazione militare turca il 18 agosto scorso, gli obiettivi sensibili colpiti sono circa 500, le vittime tra le fila dei guerriglieri sarebbero stimate tra le novanta e le cento persone. L’Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia (Uiki) ha diramato una nota che rileva come alcuni obiettivi distrutti dai caccia dell’aviazione turca siano del tutto a uso civile come ponti, pozzi d’acqua e vie di comunicazione. Le operazioni che durano ormai da più di una settimana hanno causato l’esodo di centinaia di persone da circa 124 villaggi a nord di Erbil, capitale amministrativa del Governo regionale curdo iracheno e l’uccisione di sette civili di cui cinque bambini.

Nelle scorse settimane si è potuto constatare il vero spessore del partito Akp all’interno dell’architettura dello stato turco; le dimissioni di quattro generali delle forze armate, in disaccordo con il governo circa l’esclusione di alcuni ufficiali da possibili promozioni, ha dato un ulteriore segnale della penetrazione politica nella sfera militare. La reazione del presidente della Repubblica turca Abdullah Gul a questa potenziale crisi è stata quanto mai composta, approvando la nomina governativa di Necedet Ozel a capo delle forze armate, ex-comandante della Jendarma turca. Anche la nomina di Ozel ha fatto discutere per via dei trascorsi non propriamente “onorevoli” dell’alto ufficiale: il nuovo capo di Stato Maggiore è stato ritratto anche da alcuni media italiani come un personaggio con posizioni favorevoli all’apertura democratica per la riconciliazione con i curdi.

La risposta della parte curda non si è fatta attendere. Appresa la notizia della nuova nomina, diverse agenzie hanno diramato una registrazione audio-video che ha proprio Ozel come protagonista; la registrazione testimonia l’utilizzo di armi chimiche durante un’operazione condotta contro la guerriglia del Pkk nel 1999, in netto contrasto con la convenzione sulle armi chimiche siglata dalla Turchia nel 1997. Anche la comunità internazionale ha elogiato la politica di Erdogan e il relativo tentativo di ridimensionare il ruolo dei militari all’interno dello stato turco, segno di un nuovo corso per la democrazia.

Sul fronte interno, lo stallo politico dovuto alla campagna di boicottaggio del Bdp (fronte politico curdo) per l’esclusione di alcuni candidati democraticamente eletti nelle ultime elezioni del 12 giugno scorso sta minando la stabilità politica del governo. Il caso del candidato Hatip Dicle è diventato l’emblema della causa politica curda in Turchia e la sua esclusione all’interno del nuovo Majlis (Parlamento) ha innescato una dura contrapposizione tra il governo e il fronte politico curdo. Dicle nei giorni scorsi ha presentato anche un appello all’ECHR (European Court for Human Rights) per richiedere un arbitraggio sul caso. Intanto, il leader del Bdp Selathin Demirtas e l’ex segretario del disciolto Dtp, Ahmet Turk, hanno avanzato una richiesta per incontrare Abdullah Ocalan, leader del Pkk imprigionato nel carcere di massima sicurezza di Imrali, con la speranza di poter fermare la spirale di violenza che sta affliggendo il Paese.

Molti analisti militari sostenevano un intervento armato turco in territorio iracheno subito dopo la fine del periodo di Ramadan. La scelta di iniziare i bombardamenti a tappeto nel mese di digiuno sembra una strategia volta a preparare la strada per un intervento via terra con l’obiettivo di eliminare i capi della guerriglia curda, di stanza sulle alture di Qandil.

Il Presidente del Governo regionale curdo Massoud Barzani ha più volte affermato come la scelta diplomatica rimanga l’unica via per una risoluzione della questione curda in Turchia e Iran. Il portavoce del parlamento curdo Kamal Kirkuki ha denunciato pubblicamente il mancato intervento degli Usa e dell’Unione Europea contro l’aggressione turca: “La presenza dei combattenti del PKK sulle montagne non può essere una scusa per la Turchia a venire e attaccare il Kurdistan e noi non possiamo accettarlo”.

Nelle principali città della regione autonoma curda (Krg) in Iraq si sono tenute diverse manifestazioni di protesta contro l’intervento turco. Molti manifestanti imbracciavano cartelli con l’immagine di Ocalan e sono state bruciate alcune bandiere turche, segno di come la popolazione civile non sia indifferente a quest’aggressione.

Il rischio di un’escalation militare potrebbe innescare una vera e propria guerra civile in Turchia, considerando come ancora oggi siano molti i sostenitori del Pkk nel Paese. Ma l’azione militare turca potrebbe essere vista anche in un’ottica geopolitica come un’ulteriore scusante per il mantenimento delle truppe Usa in Iraq, invocato a gran voce soprattutto dall’enclave curda. La fine del digiuno coinciderà con l’inizio di una nuova guerra?

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Conflitti Globalidi redazioneTag correlati:

guerrakurdipkkturchia

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Comunicato delle realtà palestinesi italiane

Roma, 4 ottobre 2025, un milione in piazza per la Palestina libera e la sua Resistenza.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Hamas accetta parte dell’accordo. Trump chiede a Israele il cessate il fuoco

Hamas ha risposto al piano del presidente Usa Donald Trump sul futuro di Gaza.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Palestina: 473 i componenti della Global Sumud Flotilla rapiti. Continua il viaggio della Thousand Madleens to Gaza

Sono 473 i componenti degli equipaggi della Global Sumud Flotilla rapiti in acque internazionali dalle forze occupanti dell’esercito israeliano dopo l’assalto alle imbarcazioni iniziato la sera di mercoledì 1 ottobre 2025 a meno di 70 miglia da Gaza.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Argentina: Feroce repressione sui pensionati davanti al Congresso ha fatto 20 feriti

I manifestanti stavano sul marciapiede quando le forze di sicurezza federali sono passate all’attacco. Denunciano l’uso di un nuovo gas irritante, più potente di quelli precedenti.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Bloccando tutto – E’ sciopero generale

Oltre 100 manifestazioni in tutta Italia. Nonostante le intimidazioni del governo le piazze si sono riempite ovunque. Superati ampiamente i numeri del 22 ottobre in molte città.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Giorni di protesta in Marocco

Dal 25 settembre sono in corso una serie di mobilitazioni nelle città più grandi del Marocco, da Tangeri fino ad Agadir.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Bloccata la Global Sumud Flottila: aggiornamenti dalle piazze di tutta Italia

Dalle 20.30 di ieri sera circa è iniziato l’abbordaggio da parte delle navi militari dell’IDF nei confronti delle imbarcazioni della Global Sumud Flottilla.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Israele attacca la Flotilla. In mattinata ancora diverse navi in marcia verso Gaza

Ieri sera sono iniziate le operazioni di abbordaggio della Global Sumud Flotilla da parte dell’esercito israeliano. Ad ora solo venti navi sono state intercettate, le altre sono ancora in navigazione verso le coste di Gaza.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Il Madagascar si ribella per l’accesso all’acqua e all’elettricità: 22 morti, il governo si dimette

«Chiediamo al Presidente di dimettersi entro 72 ore». È questa la richiesta senza compromessi formulata il 30 settembre da un manifestante della «Gen Z»

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Molte parole sul Board of Peace, il genocidio continua

Michele Giorgio, Giornalista de Il manifesto e di Pagine Esteri, nel giorno in cui gli occhi in Italia sono tutti puntati sulla Global Sumud Flottilla, racconta come questa iniziativa internazionale e internazionalista accenda speranze sebbene flebili nei Territori.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

La guerra è pace

Uno dei famosi slogan incisi sul Ministero della Verità del romanzo di George Orwell “1984” recita così.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Gli Stati Uniti e il «capitalismo fascista»

Siamo dentro a una nuova accumulazione primitiva, a un nuovo ciclo strategico innescato da Trump.

Immagine di copertina per il post
Formazione

Senza dargli pace

In un mondo che scende sempre più in guerra, il problema che si pone è come rompere la pace che l’ha prodotta. da Kamo Modena «Senza dargli pace». È l’indicazione di metodo che ci consegna la lunga tradizione di lotta degli oppressi nel difficile movimento a farsi classe, tra sviluppo di autonomia e costruzione di […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

“Guerra alla guerra” nelle università: a Pisa il 13 e 14 settembre, due giorni di assemblea nazionale

Il 13 e 14 settembre a Pisa si terrà l’assemblea nazionale universitaria “Guerra alla Guerra”, due giorni di confronto tra collettivi e realtà studentesche da tutta Italia.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Cina: dallo SCO alla parata militare a Pechino

Riprendiamo due interviste da Radio Onda Rossa e Radio Blackout che fanno il punto della situazione dopo i due eventi che hanno visto protagonista Pechino.

Immagine di copertina per il post
Formazione

Assemblea sulle scuole: organizziamoci per liberare le scuole dalla guerra

Partecipa anche tu all’assemblea sulle scuole che si terrà il 6 settembre a Venaus, per organizzare forme di lotta concrete che dalle scuole siano in grado di inceppare la macchina bellica.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Pensare l’Europa oggi: spazi e soggetti delle lotte in tempo di guerra

Come agiamo dentro questo quadro e che cosa vuol dire opporsi alla guerra e al riarmo in questa situazione?

Immagine di copertina per il post
Formazione

Guerra alla guerra nelle università

Assemblea nazionale universitaria, 13-14 settembre, Pisa

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

‘Nessun paradiso senza Gaza’: intervista esclusiva di Palestine Chronicle al rivoluzionario libanese Georges Abdallah

Traduciamo da The Palestine Chronicole questa lucida e approfondita intervista del 13 agosto 2025, a Georges Abdallah.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Porti, ferrovie e nuove basi: così il governo Meloni sta militarizzando l’Italia

Il governo accelera sulle infrastrutture militari: nuovi porti, ferrovie e basi in tutta Italia, mentre cresce la protesta contro il traffico di armi