#FIUMEINPIENA: la sollevazione contro il dominio dei veleni
Hanno sfilato, inutile persino sottolinearlo, sfidando la pioggia incessante e le avverse condizioni metereologiche che hanno causato non pochi disagi alle migliaia di persone scese in strada. Non un punto di arrivo, nè di partenza e neanche una semplice tappa di una lotta pluriennale che le comunità locali, i movimenti e i comitati portano avanti contro quel processo di devastazione ambientale organizzata che ha espropriato i campani del proprio presente, ipotecando il futuro. Non dunque la mera somma di tante piccole e grandi lotte, di vertenze più o meno legittime, piuttosto una marcia in più, una esondazione dell’indignazione che tende alla generalizzazione, supportata sì dal lavorio quotidiano e meticoloso di comitati e realtà di base, ma capace di andare ben oltre la capacità di mobilitazione delle singole lotte territoriali. Eppure, quest’ultime, e si è visto ieri in piazza, rappresentano la spina dorsale di questa sollevazione. Perchè di questo si tratta, di un sussulto di dignità il cui collante, insieme alla constatazione del biocidio che la speculazione capitalistica ha prodotto, è la presa d’atto collettiva che il ‘Re è nudo’.
Al di là della capacità di riconoscersi e di rapportarsi in maniera diretta, la composizione sociale che ha animato le giornate romane del 18 e 19 ottobre parlava un linguaggio che ieri abbiamo ritrovato su diversi livelli: anche il 16 novembre campano non ha avuto bandiere di partito, nè cappelli sindacali ed in barba ai sistematici schemi di riassorbimento e normalizzazione supportati dal media mainstream, associazioni ed ‘esperti del settore’ sono ben lontani dal poter contenere e rappresentare il fiume in piena che minaccia di rompere gli argini. Non ci sono mediazioni possibili, tutto ciò che si poteva dire nelle sedi istituzionali, al cospetto di Prefetti, Commissari, Assessori, Sottosegretari e Ministri è stato già detto. I compromessi, la sopportazione e finanche l’accettazione dell’imposizione manu militari di impianti palesemente inutili, illegali, oltraggiosi per l’intelligenza umana sono già stati, piaccia o non piaccia, messi sul tavolo. Ma adesso è finita, oltre non si può andare.
È chiaro che questa è una battaglia anche vertenziale. Esistono richeste precise, come lo stop agli impianti di trattamento termico (inceneritori e gassificatori), la necessità di bonificare e risanare. Su tutto questo, e sulle differenze di visione all’interno di questo movimento, le nubi devono essere diradate al più presto ed il lavoro, già avviato in questa direzione, deve proseguire sul binario di un confronto allargato, democratico, persino inedito nella capacità di comprendere la sua centralità, abbandonando velleità politiciste, ambizioni di contenimento. Se questo movimento riuscirà a produrre, com’è necessario pena la sua sconfitta, un mutamento del quadro sociale e politico che rappresenti una radicale rottura con la miseria dell’esistente, questo avverrà attraverso la sua capacità di crescita sui territori, mantenendo la barra dritta nel non voler cedere più nulla ad una controparte istituzionale assolutamente screditata. Bisogna operare un tanto anelato mutamento da movimento di opinione a movimento di lotta, come del resto già avviene sui fronti più caldi di questo scontro.
La dichiarazione pubblica di essere determinati a sabotare i lavori per la realizzazione dell’inceneritore di Giugliano, la decisione con la quale nel casertano si respinge la militarizzazione del territorio, già pagata a caro prezzo da chi subisce il disastro di Ferrandelle, la volontà di non cedere alle imposizioni dei peones di provincia come Domenico Zinzi, che continuano, come se nulla fosse, a riprodurre gli stessi vergognosi schemi messi sotto accusa da questo movimento, sono segnali che lasciano ben sperare proprio perché esprimono la consapevolezza di doversi sottrarre ad un infinito gioco a ribasso che produce danni talvolta irreparabili, giocando sul ricatto occupazionale e la miseria sociale che fa da sfondo alla realtà del biocidio.
Presto o tardi arriveremo al dunque e la consapevolezza, oggi esplicita, netta e chiara, che le istituzioni hanno stretto un patto di morte con l’imprenditoria (più o meno criminale) negli ultimi vent’anni, dovrà estendersi alla presa d’atto che sindaci e assessori con il loro portato di strette di mano, promesse ed elogi sperticati per ‘il senso civico di questi ragazzi’ non avrà effetto alcuno se non il protrarsi di una inaccettabile presa in giro.
Tavoli tecnici e di confronto ci saranno, ci saranno anche quelli che, consapevolmente o meno, offriranno il fianco ad operazioni di facciata, ma l’unico esito possibile, dignitoso, ragionevole dovrà essere quello di imporre alla controparte l’accettazione delle condizioni poste da chi non può più permettersi di subire.
Infine, e non si può non tenerne conto, va registrato un processo di riscossa che parte dai territori e pervade tutto lo stivale. Un processo includente, che avanza e che rilancia, nella riappropriazione, il concetto della sovranità delle comuntà locali. Anche la Valle di Susa sabato è tornata in piazza e per il movimento NoTav è stato un successo. Al termine del corteo napoletano più interventi hanno rimarcato la vicinanza e la complice solidarietà tra due lotte che sempre più si percepiscono vicendevolmente come espressioni diverse della stessa insorgenza. È questa la strada giusta.
Intanto, mercoledì si tornerà in piazza a Roma, con l’obiettivo dichiarato di assediare il vertice Italia-Francia gridando forte la necessità di utilizzare le risorse impiegate per inutili grandi opere per soddisare diritti oggi calpestati (il diritto all’ambiente, alla salute, alla casa, alla formazione).
@teleprop per infoaut dalla terra dei fuochi
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