I cantieri Tav rischiano di diventare zona militare
di MARIACHIARA GIACOSA (Repubblica-Torino)
“Se la zona della Maddalena verrà dichiarata zona militare, io mi dimetto”. Mette le mani avanti il sindaco di Chiomonte, Renzo Pinard. Se è vero che nessuna decisione è stata presa è altrettanto vero che l’ipotesi che la “presa di Chiomonte” sia affidata ai militari in valle, e non solo, circola da tempo. “Le grandi opere, condivise o no – spiega – non si possono fare militarizzando il territorio. Siamo in Italia, non sotto una dittatura e misure di questo tipo non si applicano a una democrazia occidentale”. Quella di Pinard è una protesta “contro il sistema che pare non voler più cercare il confronto”. “Il sindaco è di tutti: se io mi dimetto arriverà un commissario e sarà tutta un’altra cosa” avverte Pinard secondo cui chiudere la partita militarizzando il territorio è “sintomo di paura e sarebbe una sconfitta”. Dello stesso parere anche il primo cittadino di Sant’Antonino di Susa e consigliere provinciale di Sel, Antonio Ferrentino, secondo il quale la militarizzazione “si può fare per il G8 non per lavori che dureranno dieci anni”. Per il presidente dell’Osservatorio, Mario Virano, quello del sindaco è un pensiero prematuro e ingiustificato: “A me non risulta che siano allo studio misure di questo tipo, ma è chiaro che è una questione di ordine pubblico ed è gestita da altri soggetti” precisa il commissario.
Si tratta invece di un’ipotesi realistica per il parlamentare del Partito democratico Stefano Esposito secondo cui “da una parte dei No Tav non c’è volontà di confronto: a fronte di annunci di opposizione e sabotaggio contro l’avvio dei cantieri, è chiaro che lo Stato deve ristabilire la legalità e il metodo migliore è la gestione militare”. Di parere opposto il suo compagno di partito Nino Boeti per cui si tratterebbe di “un provvedimento incomprensibile perché l’obiettivo è ancora creare un dialogo con il territorio e non alimentare lo scontro”.
“Misure eccezionali sarebbero l’estrema ratio – commenta il vice coordinatore del Pdl Agostino Ghiglia – Ritengo che la legge ordinaria sia al momento sufficiente, ma è chiaro che i cantieri devono partire, con tolleranza zero contro dissenso illegale”.
Misure più drastiche non spaventano però la controparte No Tav che si dichiara “non intimidita da quella che sarebbe una grave aggressione alla valle di Susa” e “che – aggiunge il Comitato di lotta popolare – autorizzerebbe il nostro popolo alla difesa”.
Si augura di non dover arrivare alla militarizzazione l’assessore regionale Barbara Bonino: “Molto dipende dall’atteggiamento che avranno i Movimenti, ma credo sia molto meglio cercare il confronto costruttivo” sottolinea. In questo senso la Regione sta anche lavorando a un allargamento della partecipazione del fronte degli amministratori No Tav al tavolo istituzionale di Palazzo Chigi, dato per imminente ormai quasi un mese fa, ma ancora da programmare. “Rispetto all’impostazione iniziale, che prevedeva al tavolo un solo sindaco dissidente – spiega Bonino – stiamo valutando di invitarne 4 o 5 in modo che sia chiara la linea del confronto”. In ogni caso, la nuova impostazione non “salva” la Comunità montana, per la quale nemmeno con questa apertura di credito verrà aggiunto un posto al tavolo con il Governo.
“Misure eccezionali sarebbero l’estrema ratio – commenta il vice coordinatore del Pdl Agostino Ghiglia – Ritengo che la legge ordinaria sia al momento sufficiente, ma è chiaro che i cantieri devono partire, con tolleranza zero contro dissenso illegale”.
Misure più drastiche non spaventano però la controparte No Tav che si dichiara “non intimidita da quella che sarebbe una grave aggressione alla valle di Susa” e “che – aggiunge il Comitato di lotta popolare – autorizzerebbe il nostro popolo alla difesa”.
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