No Tav? Scatta l’aggravante
A quanto pare anche se in Val Susa non ci sei mai stato potresti diventare per lo stato un pericolosissimo No Tav. Sì, perché i due ragazzi in Val Susa non ci sono proprio mai stati, nonostante condividono la lotta della gente valsusina e sono stati ritratti in alcune foto dalla Digos di Reggio Emilia in alcuni presidi e cortei a sostegno del Movimento No Tav.
I fatti risalgono al 16 dicembre 2011, quando la DIGOS di Reggio Emilia, su autorizzazione del PM, installa un dispositivo GPS nell’auto di un componente del Collettivo R60 perché sospettato (quindi non indagato) di aver fatto scritte antifasciste contro casapound e alcune militanti del sodalizio di estrema destra (cfr. atti).
Il 13 giugno 2012: all’alba agenti DIGOS eseguono perquisizioni nelle abitazioni dei 2 e nello Spazio R60 di via Berta. Vengono sequestrate diverse bombolette di vernice spray, 1 desk PC, 1 notebook, 1 videocamera digitale, 1 fotocamera digitale, 3 pendrive, diverse aste e alcuni volantini (su uno di questi è disegnato una stella a 5 punte). I compagni vengono tradotti in questura per gli espletamenti burocratici che si prolungano per molte ore. Contestualmente alla perquisizione viene notificata ai compagni la richiesta di ricorso in appello, da parte del PM, sull’applicazione di misure cautelari (obbligo di dimora con divieto di uscita dalle 22 alle 6) già rigettate dal GIP.
28 giugno 2012: il Tribunale delle Libertà di Bologna accoglie il ricorso del PM ammettendo la sussistenza del pericolo di reiterazione del reato “dello stesso genere di quella loro ascritta, qualora il Presidente della Repubblica assuma posizioni politiche contrastanti con quelle da essi propugnate” (cfr. atto tribunale). Contro la sentenza il legale dei due compagni ricorre in Cassazione e l’esecutività delle misure cautelari rimane congelata.
14 luglio 2012: la DIGOS denuncia uno dei due compagni perché, in base a una perizia grafica fatta dalla scientifica comparando foto di diversi graffiti, alcune scritte murali antifasciste più altre scritte contro esponenti politici locali, sarebbero riconducibili allo stesso autore.
Dopo le varie vicissitudini processuali ( interrogatori, ecc.), il 4 febbraio 2013, ai 2 ragazzi è notificato l’avviso di chiusura indagini. Le imputazioni sono relative agli att. 278 (offesa all’onore e al prestigio del Presidente della Repubblica), 338 (violenza o minaccia a corpo politico, amministrativo o giudiziario), 342 (oltraggio a corpo politico, amministrativo o giudiziario), 612 (minacce) e 639 (imbrattamento).
Il 20 giugno 2013 si celebra l’udienza preliminare con rito abbreviato come richiesto dal legale di Ciruz e Riki, che vengono condannati complessivamente e 3 anni e 6 mesi più diecimila euro di danni al comune, oltre alle spese processuali. C’è il ricorso in appello.
Pochi giorni fa il GUP comunica la variazione delle misure coercitive: l’obbligo di dimora con divieto di uscita nelle ore notturne è modificato con l’obbligo di firma 3 volte a settimana.
Le motivazioni della condanna vertono, oltre che sulle scritte, sulla solidarietà con il movimento NO TAV della Val di Susa facendo scritte murali; alcune di queste sono state ritenute dal giudice lesive dell’onore e prestigio del capo dello stato, nonché minacciose verso Caselli e Fassino. Infatti oltre l’imbrattamento, art. 639 c.p., sono stati ritenuti come configurabili gli artt. 278 (offesa all’onore e al prestigio del presidente della repubblica), 338 (minaccia a corpo politico, amministrativo e giudiziario) e 342 (offesa a corpo politico amministrativo e giudiziario) del codice penale.
Una delle scritte in questione recita: “NAPOLITANO SCHIFOSO BORGHESE”, che secondo gli atti del tribunale sarebbe stata vergata la notte del 28 gennaio 2012 in risposta “ad un episodio specifico, ovvero alla frase pronunciata da Giorgio Napolitano (È eversione. Massima fermezza) in relazione ai gravi scontri alla fine di gennaio in Val di Susa tra le forze dell’ordine e i manifestati NO TAV”.
In realtà a fine gennaio 2012 non risultano gravi scontri in Val di Susa e l’intervento di Giorgio Napolitano su eversione e fermezza (elementi particolarmente citati dal PM) risale al 3 luglio 2011 in relazione agli scontri del 27 giugno 2011 e dello stesso 3 luglio.
Il comune di Reggio Emilia si è costituito parte civile per richiedere il risarcimento dei danni materiali e di immagine recati dalle scritte NO TAV. Poi si sono soffermati sul fatto che le scritte NO TAV sarebbero lesive dell’immagine nazionale e internazionale della città il cui ex sindaco Delrio è diventato ministro dell’attuale governo e che ospita, con notevole orgoglio, la stazione mediopadana della linea TAV.
Il Collettivo di cui fanno parte i due ragazzi ha realizzato un dossier relativo alla realizzazione di un parcheggio interrato in una centralissima piazza della città, in cui si fa riferimento a nitide infiltrazioni mafiose proprio nel cantiere TAV della stazione. Lo stesso movimento No Tav reggiano ha anche contestato l’inaugurazione della stazione mediopadana, l’8 giugno di quest’anno.
A quanto pare l’”aggravante” della complicità al movimento NO TAV e della “militanza politica” è stata una costante di tutte le fasi del procedimento che ha coinvolto i due, dalle indagini preliminari fino all’udienza preliminare, passando per le motivazioni che hanno comportato l’applicazione delle misure cautelari.
Sono tante le incongruenze nelle indagini che emergono, secondo gli imputati. “L’accusa non è stata supportata da prove certe (video o fotografie), ma è stata costruita sui movimenti, giacché spiati per mezzo del GPS installato dalla DIGOS. Quest’ultima ha attivato la localizzazione satellitare nel dicembre 2011 assumendo quale motivazione di un’operazione altamente lesiva della sfera privata, la mera appartenenza a un collettivo antifascista”, afferma Ciruz.
“Un’altra anomalia, assunta come fonte di prova, fa cenno ad un video, guardato solo da 2 agenti DIGOS (che raccontano pure che ogni giorno effettuano controlli sulle scritte murali) e mai mostrato agli imputati né mai trasmesso alla difesa. Il video in questione mostrerebbe uno dei due imputati mentre, nei pressi di una cabina ENEL su cui è stata vergata una delle scritte “incriminate”, estrarrebbe dalla tasca un oggetto cilindrico non meglio specificato e quindi uscirebbe dal campo dell’obiettivo delle telecamere per poi rientrarvi qualche secondo più tardi” – continua Ciruz – “Il video in questione non è depositato agli atti né è mai stato fatto visionare. L’informativa della DIGOS non descrive esattamente una bomboletta di vernice spray, ma un oggetto cilindrico che può essere ogni cosa (una lattina di birra, un portaocchiali etc.) e da cui certamente non si può in alcun modo dimostrare la colpevolezza “oltre ogni ragionevole dubbio”. Per le telecamere non forniscono una ripresa chiara e netta dell’azione delittuosa da cui possa emergere un elemento di prova insindacabile”.
Tale situazione potrebbe creare un precedente pericoloso per chi è più sensibile a determinate tematiche.
Nicola Gesualdo per http://www.oltremedianews.com
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