Rifiuti in Calabria: l’incubo che fa da risveglio?
Riportiamo qui un altro contributo scritto sulle mobilitazioni contro la discarica di Celico di questi giorni. Dopo la giornata di sabato che ha visto il blocco dei camion pieni di riifuti in entrata a Celico, nella giornata di ieri si sono verificati altri blocchi. La popolazione della presila non sembra arrendersi, e anche questa mattina si è mobilitata per ostacolare l’accesso ai camion. Presente in forze anche la polizia che ha caricato i cittadini e le cittadine che si trovavano lì, come racconta l’audio a seguire.
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“E intorno a noi il timore e la complicità di un popolo. Quel popolo che disprezzato da regi funzionari ed infidi piemontesi sentiva forte sulla pelle che a noi era negato ogni diritto, anche la dignità di uomini. E chi poteva vendicarli se non noi, accomunati dallo stesso destino? Cafoni anche noi, non più disposti a chinare il capo. Calpestati, come l’erba dagli zoccoli dei cavalli, calpestati ci vendicammo. Molti, molti si illusero di poterci usare per le rivoluzioni. Le loro rivoluzioni. Ma libertà non è cambiare padrone. Non è parola vana ed astratta. È dire senza timore, È MIO, e sentire forte il possesso di qualcosa, a cominciare dall’anima. È vivere di ciò che si ama. Vento forte ed impetuoso, in ogni generazione rinasce. Così è stato, e così sempre sarà…”
Carmine Crocco
A Celico, sulle montagne presilane, continuano ad arrivare minacce di diverso tipo.
Il tempo, ormai da settimane, minaccia nevicate pesanti, freddo, e lo fa con pioggia fitta, nebbia e nuvole che sovrastano il cielo; nel mentre altre minacce arrivano dall’ormai perenne emergenza rifiuti in Calabra, nel più generale inquinamento e avvelenamento dei territori. Minacce, tuttavia, rispedite al mittente, davanti alla sbarra che separa la zona di scarico dei rifiuti dalla vecchia strada che sale su per le montagne silane. Al presidio, che ormai da settimane sorveglia il territorio, ci sono i cittadini delle aree montane cosentine che resistono all’ennesimo tentativo di deturpamento del proprio territorio e delle proprie vite.
Qui, infatti, La partita politica in gioco va ben oltre la semplice difesa ambientalista di un territorio immediatamente a ridosso del parco nazionale della Sila, ma da subito parla il linguaggio di una forte contrapposizione di bisogni ed di interessi, o meglio ancora, una contrapposizione tra bisogni ed interessi.
I primi sono quelli delle popolazioni che vivono questi territori e parlano di diritto alla salute e pratiche di opposizione sociale al biopotere neoliberista che non si accontenta della semplice distruzione della terra, ma vuole anche estirpare da essa tutte quelle pratiche sociali di resistenza, lontane dalla direzione dello sviluppo e di auto-governo dei luoghi.
I secondi sono gli intrecci affaristici, votati al profitto privato della politica e di tutto il sistema clientelare che governa lo sversamento dei rifiuti in questa regione.
Nelle ultime settimane le contraddizioni tra questi bisogni e quegli interessi si sono acutizzate; ne è stata espressione anche l’assemblea pomeridiana del sabato scorso, dopo la prima mattina in cui si è bloccato lo sverso di rifiuti: le persone dicevano che si sono sentite e si sentono minacciate dalle forze dell’ordine che intimidiscono la loro volontà di opporsi allo sversamento dei rifiuti. Oltre alle pressioni delle forze dell’ordine vanno aggiunte anche le intimidazioni che sono state fatte dagli autisti dei camion auto-compattatori. Questi, arrivati in tre per ogni camion (cosa insolita, visto che solitamente in discarica arriva un solo guidatore per mezzo) ai bordi del presidio, a blocco concluso, mentre i mezzi stavano per andare via, hanno aggredito uno dei membri del Comitato Ambientale Presilano. A queste minacce – come con il fuoco sempre acceso al presidio della lotta presilana si risponde alla minaccia del freddo – quelle persone stanno rispondendo urlando “La Presila paura non ne ha!”.
A Celico si è cercato e si sta cercando di lanciare un messaggio sincero di consapevolezza del fatto che, in questi acidi tempi di crisi tardo-capitalista, ci si sta scuotendo per riprendere voce. Una serie di minacciosi ‘incubi’ fanno da sveglia: mentre il presidio era schierato per impedire che i camion potessero sversare, e mentre le forze dell’ordine a loro volta erano militarmente in fila, una donna, con un cappello di lana viola e una sciarpa dello stesso colore, dagli occhi chiari e un viso vivo, davanti al corteo e davanti alle forze dell’ordine, e rivolgendosi a loro, continuava a ripetere sonoramente ma con voce bassa: “io ce l’ho già il tumore, ora cosa volete farmi, volete cacciarmi anche da qua?”.
Il terreno delicato dei rifiuti di questa società a produzione capitalista s’intreccia inevitabilmente con quello delle malattie e della salute; laddove verrà dettato, nei prossimi giorni, non ci sarà verso: l’incubo dovrà continuare! Insieme all’emergenza sanitaria, perché i rifiuti, secondo le istituzioni e le ditte, anche in vista dell’imminente fiera di “San Giuseppe”, nella vicina Cosenza, dovranno essere sversati.
Quella donna che sembrava essere un tutt’uno con quel luogo ha provocato la reazione verbale delle forze dell’ordine: “questo ci dispiace e molto”. Lei non ha risposto, li ha solo guardati intensamente, mentre qualcun altro, che era lì a fianco, gli ha detto: “Questo non basta, dispiacersi non basta, e in ogni caso se vi dispiacesse per davvero potreste resistere anche voi, cambiare rotta, c’è sempre questa opzione, per tutti”.
I rifiuti e le malattie, il rischio e le minacce ambientali, sono questioni che sui territori, in particolare al Sud, si stanno costituendo come un nucleo di lotta sociale contro questo sistema di gestione pubblica completamente asservita agli interessi di profitto privati.
Queste forme embrionali di contropotere che si riversano davanti alle discariche, tramite le pratiche di lotta per i propri bisogni, possono modificare e resistere alle alienanti forme di aggressione sui beni comuni. Sono queste le “società resistenti” che possono innescare profondi processi di riscoperta e valorizzazione del territorio che si abita e delle vite che lo attraversano.
Questo meccanismo di (ri)conoscimento e (ri)composizione nelle e per le lotte, permette di andare oltre la vertenzialità, che ingabbia ‘scientificamente’ le questioni (malattia, inquinamento, ecc.), producendo piuttosto nelle pratiche collettive di lotta delle forme di legittima resistenza e di alternative di vita al modello imposto dall’alto. Modello voluto da quelle istituzioni e strutture di potere che continuano a giocare sul tavolo della finzione: fingendo di volere la reale partecipazione alla ‘politica’ dei cittadini, in realtà sopravvivono dentro il dominio della delega delle democrazie rappresentative.
Quella donna, nelle sue parole, esprime il senso e la direzione di questo auspicabile ricongiungimento con i territori in movimento e in lotta.
“Volete anche togliermi da qua?” La risposta è: si, per scaricare rifiuti!
E se rimani ‘in zona’, non è il tumore l’unica minaccia!
Il rischio più grande è che, direttamente e indirettamente – per disoccupazione, degrado, abbandono, o per la sensazione di impotenza e precarietà strutturale – si vadano a riversare i ‘propri’ sogni e passioni su un altro territorio in una terra immaginata lontana. Mentre questa continua ad essere narrata come immersa nell’arretratezza, una terra in cui ‘non si può fare nulla’. Narrazione buona soltanto a quella retorica sottosviluppista e da subalterni, estranea a chi vive il proprio territorio nella materialità del conflitto.
A Celico gli incubi si sta cercando, in un risveglio collettivo, di scacciarli, di esorcizzarli, attorno ad un fuoco che ben presto si spegnerà, ma soltanto perché sta arrivando – inesorabilmente – la Primavera!
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