Siccità e crisi idrica: intervista a Alessandra Turco, di Associazione Rurale Italiana
Il 2023 è da poco cominciato ma questa primavera pare preannunciare quella che sarà un’estate ancora più arida della precedente. La situazione idrica nelle città versa in condizioni disastrose, nella fattispecie i fiumi torinesi hanno raggiunto minimi storici. Proprio la città, uno tra i più prepotenti motori di questo collasso climatico, nonché primo luogo di consumo, è l’attrice più disinteressata e tra gli scaffali pieni dei supermercati, la metropoli si sente al sicuro.
Come collettivo di ecologia politica abbiamo voluto indagare la percezione della siccità e della crisi idrica in un contesto più rurale e di produzione. Abbiamo quindi fatto visita ad Alessandra Turco, presso la sua cascina “Cascina Malerbe”, a San Raffaele Torinese. Cascina Malerbe è una piccola realtà contadina della collina torinese: una cascina con sei ettari di terra, tra orti naturali, alberi da frutta, cereali e leguminose, prati a pascolo e bosco.
Alessandra Turco è parte dell’Associazione Rurale Italiana, un’organizzazione contadina composta da persone che hanno a cuore la promozione e la difesa dell’agricoltura contadina, agroecologica e solidale e la sovranità alimentare. ARI si propone di raggruppare in una forza collettiva organizzata e rappresentativa persone e gruppi impegnati in favore di modelli di agricoltura contadina.
Vorremmo iniziare capendo quali sono gli effetti già visibili del cambiamento climatico…
“Questo autunno sicuramente c’è stato un problema di siccità fortissimo. Sicuramente c’è stato un problema di temperature che non erano adeguate alla stagione e quindi il problema è la nostra capacità, come contadini agricoltori, di prevedere e di seguire questi cambiamenti in atto. Quindi, a seconda della capacità di adattamento della piante, della capacità di previsione del contadino e dell’agricoltore, si possono limitare queste cose, ma di per sé ci sono dei cambiamenti in atto che sono inequivocabili, per cui c’è un andamento che bisogna imparare a seguire perché non è possibile ostinarsi con un modello che invece è evidentemente perdente, perché non è più adeguato ai fatti e non può valutare in maniera completamente diversa.”
Quali sono le differenze tra agroindustria, piccole imprese agricole e contadini?
“Per noi c’è un pianeta di differenza. Per noi esiste un’agricoltura contadina ed esiste un’agricoltura industriale e il modello agricolo è un modello che è legato all’investimento di lavoro o agli investimenti di capitali, per cui l’agricoltura contadina investe sul lavoro, mentre l’agricoltura industriale è un’agricoltura che si muove sul capitale. Il fatto che in Italia tutte le aziende agricole siano chiamate e equiparate ad imprese, imprese agricole, fa sì che si immagini un modello economico che poco risponde al modello reale della vita e della produzione agricola contadina, per cui anche io oggi ho un’impresa agricola, ma questo fa sì
che io debba sottostare a un andamento produttivo di mercato, di prezzi, strutturale che non
corrisponde al mio modello di produzione e quindi entro immediatamente in contraddizione e sono ovviamente perdente.”
Le varie forme di agricoltura descritte subiscono in maniera differente gli effetti del cambiamento climatico in atto?
“L’agricoltura contadina è un’agricoltura più adattabile a partire dalle sementi, a partire dal modello di produzione, nel senso che è molto versatile ed è molto legata a quello che è la terra, il territorio, le persone che lavorano e abitano il territorio, mentre un’agricoltura agroindustriale è destinata solo alla produzione senza considerare quelli che sono gli elementi naturali che fanno parte della produzione stessa, per cui è un tipo di agricoltura che è portata ad usare tutti quelli che sono gli input di produzione. Sostanzialmente, quindi un’agricoltura fatta fuori suolo come in suolo, è un’agricoltura che può essere fatta indipendentemente dal territorio in pieno e quindi è un’agricoltura energivora, un’agricoltura che dissipa le risorse invece che riuscire a entrare in un processo virtuoso in cui si cerca di raggiungere una situazione di equilibrio che, per carità, sarà sempre instabile. Però comunque si ha una tendenza verso un equilibrio tra una sinergia. [..] per cui la capacità di risposta dell’agricoltura contadina secondo me è superiore ed è più immediata la capacità di risposta ed è più stabile sul lungo periodo. La capacità di risposta dell’agricoltura industriale è effettivamente una capacità che è legata alla capacità di investimento, quindi a creare un artificio di gestione ulteriore del sistema che faccia fronte a quegli impedimenti che l’agricoltura stessa, presumibilmente, in parte è stata corresponsabile.”
Quali sono i vari metodi agricoli con cui creare questa sinergia con la natura e i cambiamenti climatici in corso?
Sementi prodotte in loco:
“Usiamo solo miscele o varietà antiche, quindi comunque hanno una capacità di adattamento superiore rispetto alle varietà che vengono selezionate per le colture più estensive, intensive e agroindustriali. Abbiamo un grano molto verde, nonostante sia piovuto pochissimo, mentre in alcune zone di pianura si vedono campi messi molto peggio perché hanno patito di più la siccità. Questo è dovuto alla capacità di adattamento delle sementi, che sono sementi contadine di scambio di prodotti, quindi selezionate in aziende agricole che praticano agricoltura biologica naturale.”
“Le sementi agroindustriali sono delle sementi che sono legate a un certo tipo di produzione e di riproduzione legata all’uso di input, quindi all’uso di fertilizzanti, all’uso di diserbanti, al fatto di avere una coltura da sola in un campo senza nessuno che interagiscono con essa. Che quindi siano insetti, che siano microrganismi che quindi diventano tutti patogeni o parassiti. Questa cosa in un modello contadino è molto più equilibrio e sull’acqua ovviamente è assolutamente analogo”
Enfatizzare l’assorbimento del terreno:
“Il terreno ha una capacità di trattenere l’acqua più o meno elevata, per cui allora i terreni che vengono lasciati nudi sono dei terreni che sono più sottoposti a un deterioramento, anche per l’azione degli agenti atmosferici, tra cui anche il sole.”
Irrigazione di prossimità:
“Noi l’orto lo facciamo quasi tutto con micro irrigazione, cioè con le manichette goccia a goccia e bagnano usando l’acqua di raccolta piovana”
Invece, le istituzioni e Coldiretti stanno già parlando di invasi, bacini e altre tecnologie per raccogliere, privatizzare e distribuire l’acqua per l’irrigazione agroindustriale, cosa ne pensi?
“In primo luogo ci troviamo di fronte a una questione di diritto all’uso e all’accesso alle risorse per cui parliamo di sementi di terra come di diritti collettivi. Quindi parliamo poi di acqua e di risorse comuni. Tutti devono avere il diritto di potervi accedere. Nel momento in cui qualcuno canalizza e soprattutto fa dei vantaggi dalle falde per cui i bacini francesi sono particolarmente significativi da questo punto di vista, perché viene proprio previsto un pompaggio dalla falda verso un bacino di raccolta esterno, per cui questa cosa, da un punto di vista di diritto, è un’appropriazione di risorse naturali da parte di un privato e quindi già di per questo per noi assolutamente condannabile e inconcepibile e inammissibile. Dopodiché, anche a livello ecologico è un’assurdità. Togliendo dell’acqua da una falda dove viene accumulata, preservata ed eventualmente disponibile per diversi usi, la stai portando all’esterno, quindi è molto più soggetta all’evaporazione e te ne stai approfittando per un unico uso che a quel punto crea un forte disequilibrio ambientale, nel senso che ci sarà tutto il resto del territorio senz’acqua. E invece in quel punto lì ci sarà un eccesso d’acqua, sia di accumulo sia di uso, perché poi viene viene utilizzata per usi prevalentemente agricoli e per cui diventa un’assurdità perché crei un disequilibrio sia ecologico sia sociale all’interno di tutto un territorio. [..]
Per cui, secondo noi, le azioni che bisogna riuscire a portare avanti sono azioni molto più capillari, quindi molto più legate alla capacità di modificare il modello di produzione, quindi riducendo le necessità idriche e cercando di ottimizzare l’accumulo d’acqua. Sia all’interno del terreno e all’interno delle realtà agricole, ma non attraverso l’accaparramento dell’acqua, ma attraverso una regimazione delle acque che faccia sì che questa riesca a essere assorbita e accumulata dalla terra stessa e non in bacini artificiali. Dopodiché bisogna riuscire ad avere un modello di produzione che faccia sì che l’uso dell’acqua disponibile venga ottimizzato, per cui sicuramente tutte quelle irrigazioni che sono fatte in pieno campo, tutte quelle irrigazioni che sono fatte attraverso dispersione e che sono quelle che generano una maggiore evaporazione e quindi una maggiore dispersione idrica, dovrebbero essere limitate al massimo. Quindi bisognerebbe riuscire a riconvertire il modello di produzione in qualcosa di più vicino a quello che poi è il modello ecologico naturale.”
All’inizio di questo intervento hai nominato il diritto all’uso e all’accesso alle risorse; viene quindi spontaneo chiederti come, secondo te, la guerra in Ucraina ha cambiato la percezione di disponibilità delle risorse, sia a livello alimentare che energetico, a partire anche dalle premesse comunitarie circa lo stanziamento di nuovi fondi (PAC).
“Questa nuova Pac in teoria doveva essere un un pacchetto di misure che favorisse una transizione verde dell’agricoltura europea, quindi una riduzione dell’impatto ambientale, ed un conseguente miglioramento delle misure, ecologiche o ambientali. Con la grande scusa della guerra in Ucraina, e della supposta crisi alimentare per l’Europa, determinata dalla mancanza di grano ucraino, europeo e russo sulle nostre tavole, è stata data la possibilità agli Stati di non seguire queste limitazioni ecologiche per poter avere una produttività superiore a quella prevista. [..]
Rispetto a questo inoltre, il nuovo piano energetico, che in teoria dovrebbe andare verso una maggiore compatibilità ambientale, verso una maggiore capacità di risposta dei diversi Paesi, per il momento continua a essere assolutamente inadeguato. Non vengono mai coinvolte le comunità locali, sono piani che vengono dall’esterno. Sono piani proposti dagli investitori e vengono sostenuti dallo Stato, nel senso che poi questo è quello che è successo, anche in analogia con i pannelli solari o con le pale eoliche in diversi posti. La comunità locale non viene coinvolta. Vengono delle grandi imprese che presentano dei progetti che vengono sostenuti con i fondi di Stato e che non creano nessun beneficio locale. C’è un’erosione delle risorse locali che non corrisponde praticamente mai una ripartizione dei benefici.”
Riprendendo le pale eoliche o i pannelli solari, strumenti ritenuti necessari nell’ottica della transizione energetica e che richiedono un grosso investimento anche in termini di utilizzo del territorio; come pensi questo modello intaccherà la produzione agricola?
“Qui il problema è che i terreni vocati per la produzione agricola non dovrebbero assolutamente essere utilizzati per altre cose, perché la nostra capacità e possibilità di produrre alimenti sul nostro territorio è vincolata al fatto che questi terreni non vengano snaturati. E il fatto di snaturare un terreno vuol dire portare avanti un modello di agricoltura industriale, come vuol dire dedicarlo a una produzione energetica anziché agricola. Anche perché in molti casi questi tipi di strutture e infrastrutture non si possono spostare, diventano permanenti e lasciano residui e rifiuti fissi. Per cui quel suolo agricolo non si recupererà mai più e quindi non avrai quella capacità di produzione alimentare di cui ci sarebbe bisogno.”
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