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Storie di ordinario sterminio – Il 3 luglio nei media mainstream

Partiamo dalla citazione, riportata da Repubblica di ieri, del ‘poliziotto figlio del popolo’ di pasoliniana memoria: “Cari ragazzi” predica Dario Ginefra del Pd “[…] . Classico esempio di repechage cialtrone, citazione sbagliata nel momento sbagliato, populismo demagogico che neanche un Beppe Grillo dei primi tempi avrebbe osato. Un Pasolini odierno, infatti, con l’occhio sociologicamente  acuto che lo contraddistingueva, avrebbe innanzitutto parlato di deportazione culturale contro un popolo che difende non solo una tradizione, né propriamente un’identità culturale, ma bensì un intero  progetto di civiltà del  futuro e che in quel futuro – per citare le parole di Marco Revelli  nella sua recente intervista – ha già un piede. Avrebbe parlato – come in effetti fece proprio alla festa dell’Unità del 1975, ponendosi in antitesi, guarda caso, proprio a Giorgio Napolitano – di genocidio di intere parti del corpo sociale, di una forma subdola e non-violenta di sterminio culturale e sociale da parte dei sostenitori dello sviluppo contrapposti a chi invece desidera il progresso. (cfr. “Genocidio” e” Sviluppo e Progresso”, in Scritti Corsari, Milano 1975).

Ma ciò che l’establishment mediatico continua a spacciare con prodigalità – diventando esso per primo agente di sterminio,  tramite deprivazione culturale, di intere parti della comunità dei lettori – è una cultura da chierichetti buona al massimo per dividere in buoni e cattivi gli oltre 60mila partecipanti alla manifestazione di domenica. Di una simile in-cultura è portatore non sano Michele Brambilla nell’editoriale sulla Stampa di ieri ‘La differenza tra un treno e un golpe’: i due cortei che si sono prima fusi all’incrocio per la centrale e poi nuovamente divisi al bivio per Ramats altro non sarebbero che il diavoletto malvagio e l’angelo custode delle rappresentazioni iconografiche da catechismo per prime comunioni d’altri tempi, l’anima malvagia e quella santa che per l’appunto convivono e configgono in ogni essere umano a maggior gloria della divinità suprema.  Un dio che probabilmente si incarna in quello “ sviluppismo” ormai idolatrato unanimemente, e conformemente perseguito, sia dalla destra vera e propria che da quella che si spaccia ancora per sinistra. Lo sviluppo inteso da Pasolini, quello che, come dicevamo sopra, porta ad un colonialismo senza fucili, ma che provvede ugualmente a sterminare il futuro di intere popolazioni e relativi territori, è finalmente riuscito a derubricare la sinistra, al pari dell’informazione, dall’agenda dei problemi ed a trasferirli nell’agenda dei pagamenti.

Ora, tutto ciò che è stato detto dai media, fantomatici balck bloc compresi,  stride enormemente con la realtà vista e toccata con mano da chi scrive, che ha avuto la fortuna di essere presente ad almeno uno dei teatri dei fatti che si sono svolti domenica, quello nei pressi della centrale di Chiomonte, dove è sfilato il corteo “dei buoni “ per essere puntualmente,  una volta fatti passare sindaci e famiglie con prole,   cannoneggiato dai lacrimogeni.( In questo senso, per inciso, si può dire che è vero quanto affermato da Repubblica, la Stampa ed altri quotidiani, che le forze dell’ordine hanno agito con professionalità: in effetti sono riusciti a portare a termine la loro infame missione salvando almeno un po’ la faccia.)

Quello che è comunque risultato agli occhi di chi c’era è tutt’altro panorama: una popolazione – quella dei 60.000 – che ha ricreato – senza troppe chiacchiere e nel preciso istante in cui si è riconosciuta nel modello NO TAV – una modalità decisionale collettiva priva di deleghe e di paletti inutilmente dualistici (violenza/non violenza- buoni/cattivi), una  cultura della solidarietà talmente compenetrata nella pratica della resistenza al sopruso  da non escludere nessuno. Ma soprattutto, ciò che rende i  NO TAV  ovunque riconoscibili è la consapevolezza, sviluppata per primi proprio dai Valsusini, dell’immane attacco ai beni comuni che sta avvenendo da dieci anni a questa parte, proprio in nome e per conto di quel dio- sviluppo di cui parlava Pasolini, è la capacità di stanare dai nascondigli ipocriti offerti dai media la  contestuale verità della guerra colonizzatrice e antropofaga di uno Stato che spara ad altezza d’uomo lacrimogeni e proiettili di gomma contro gli stessi suoi abitanti e cittadini inermi. Per deportarli dalle loro terre, per privarli delle loro montagne e dei loro mari, per espropriarli della loro acqua e del loro stesso futuro. Per portare a termine proprio quello sterminio senza armi, ma ugualmente di massa,  che Pasolini aveva previsto.

Il motivo per cui il Pasolini degli Scritti Corsari, gli scritti poc’anzi citati, viene regolarmente trascurato o per meglio dire oscurato, è quindi chiaro e non necessita di spiegazioni ulteriori, così come è chiaro perché venga invece citata in senso chiaramente demagogico la frase sui ‘poliziotti sottoproletari e figli del popolo’. Come al solito tuttavia la parte interessante della deformazione mediatica e demagogica  dei fatti risiede nel non detto, nella porzione di realtà oscurata: nessuno infatti parla dei tentativi a più riprese fatti – guarda caso sempre da donne – di stabilire un dialogo proprio con quei poliziotti, il primo dei quali proprio all’indomani dell’infame attacco al presidio della Maddalena del 27 giugno scorso, col corollario dell’assurdo omicidio della pensionata 65enne di Venaria ad opera di un blindato in manovra. Il video della giovane donna che il martedì successivo ha provato per oltre mezz’ora, parlando ad una schiera di poliziotti in tenuta antisommossa in disarmo,  a stabilire un contatto con l’anima pasolinianamente proletaria di quei poliziotti ha fatto il giro del mondo in rete, ma di questo nessuno dei media, nessuno dei politici, nessuna istituzione è parso accorgersi. Ugualmente ignorato l’approccio di due giovani ragazze, Patrizia Dp e Simonetta Zandiri “diversamente democratica” , che nel bel mezzo dei cannoneggiamenti di domenica si sono avvicinate alla rete di recinzione del museo cercando di stabilire un dialogo ed ottenendo per tutta risposta un nuovo lancio di lacrimogeni. Anche in questo caso il video ha girato per tutta la giornata di ieri sui social networks senza che nessun quotidiano mainstream,  cartaceo o online, ne riportasse notizia. A ulteriore riprova, se ve ne fosse bisogno, di quanto il nuovo paradigma sociale prodotto  in seno al movimento No Tav   – che costituisce il fulcro di quel  futuro nel quale è stato mosso il primo passo – sia un obbiettivo di distruzione strategica da parte dell’establishment mediatico-politico, perché intrinsecamente pericoloso per la logica del profitto mordi-e-fuggi dello ‘sviluppismo’ odierno. E ad ulteriore riprova di quanto il povero Pasolini abbia parlato e scritto invano.

Inviato a Senza Soste, Abilio Quaresma

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