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Boschi e Casapound due facce della stessa medaglia

La riforma costituzionale del governo Renzi è passata alla camera lo scorso mese, ora i cittadini dovranno pronunciarsi in un referendum confermativo che dovrebbe svolgersi a ottobre e per il quale la stessa maggioranza ha annunciato di voler raccogliere le firme. La riforma prevede che il senato, per come lo conosciamo, venga abolito superando il bicameralismo perfetto. La camera dei deputati sarà l’unico organo elettivo mentre il senato diventerà rappresentativo delle autonomie regionali e sarà composto da cento senatori che non saranno eletti ma scelti dai consigli regionali. Cinque dei quali, verranno nominati dal presidente della Repubblica ma rimarranno in carica solo per 7 anni, così non esisteranno più i senatori a vita. Quelli attuali, Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano, Mario Monti, Carlo Rubbia, Renzo Piano ed Elena Cattaneo, resteranno ancora in carica in caso di vittoria del referendum, ma non verranno sostituiti da nessuno. Una delle novità, che va ad intervenire nella tanto dibattuta questione sulla spesa eccessiva dello stato per mantenere i propri funzionari e rappresentanti in parlamento, è che i senatori non saranno stipendiati dal senato ma percepiranno uno stipendio da amministratori. Sostanzialmente, la funzione che avrà il senato sarà quella di raccordo tra stato, regioni e comuni. I senatori non potranno più approvare o meno una legge, ma solo dare un parere o proporre delle modifiche in merito e la camera può anche non prendere in considerazione gli emendamenti. Le altre modifiche della riforma Boschi riguardano l’abolizione del Cnel che attualmente ha la facoltà di proporre leggi in materia economica e del lavoro; la riforma del titolo V della costituzione sull’autonomia regionale che attualmente prevede una divisione delle materie di competenza dello Stato e delle Regioni attraverso il principio di sussidiarità e che con le modifiche Boschi, alcune di queste materie, ritornano di competenza dello stato: l’ambiente, la gestione di porti e aeroporti, trasporti e navigazione, produzione e distribuzione dell’energia, politiche per l’occupazione, sicurezza sul lavoro e ordinamento delle professioni; infine, una modifica sulle regole del referendum abrogativo: il quorum da raggiungere per far passare un referendum deve essere del 50% ma se le firme raggiungono le 800 mila unità il quorum può essere ridotto, invece per proporre una legge di iniziativa popolare non servono più 50 mila firme ma il triplo, 150 mila.

Non sarà questo il luogo in cui analizzare nel dettaglio la riforma costituzionale, ma risulta chiaro che lo scopo principale è quello di accelerare l’iter legislativo del parlamento se non ché rendere più facile il raggiungimento della maggioranza. Infatti, non si può leggere chiaramente la riforma costituzionale senza affiancarla all’Italicum, la legge elettorale che sostituisce la legge Calderoli dichiarata incostituzionale. Insieme, la riforma costituzionale che abolisce la capacità legislativa del senato e l’Italicum, danno la possibilità al parlamento di avere una maggioranza più solida che gli consente di apportare le riforme “necessarie” al paese, retorica che sentiamo ormai da tempo e che era affidata dopo la crisi al cosiddetto governo tecnico. Un tipo di governo abusato nella nostra repubblica, soprattutto nel momento in cui sono necessarie manovre di austerity: tagli alla spesa pubblica, riforme coatte del mercato del lavoro, misure straordinarie sulle opere pubbliche e i grandi eventi, privatizzazioni e liberalizzazioni di servizi. Ma la necessità dei governi di “imporre” senza discutere le riforme, anche quelle che modificherebbero irreversibilmente l’assetto costituzionale, non è appannaggio esclusivamente del nostro paese. Basta pensare al governo francese che, con la scusa del pericolo terrorismo, approva leggi speciali e che, nonostante le forti mobilitazioni di questi mesi, usa strumenti come l’articolo 49.3 della Costituzione per approvare il progetto di legge di riforma del lavoro. L’articolo in questione, infatti, permette all’esecutivo di adottare un testo senza voto in aula ed è stato usato già tre volte nel 2015 per approvare un controverso pacchetto di leggi sulle liberalizzazioni. La costituzione quindi può essere un’arma a doppio taglio tanto quanto delle possibili modifiche.

Ecco perché, lo scorso mese, si è acceso il dibattito sulla riforma costituzionale. 56 costituzionalisti hanno pubblicato una lettera in cui delineano le ragioni del no sottolineando, a ragion veduta, dopo aver descritto quali sono le principali problematiche in merito alla riforma, che la questione politica sollevata con la riforma dal governo Renzi non è il contenuto della riforma stessa ma il ricatto della permanenza o meno in carica del Governo! Renzi addirittura ha dichiarato che se il referendum non dovesse confermare la nuova riforma, si dimetterebbe. Un vero e proprio ricatto che distoglie l’attenzione come la richiesta del premier di “tregua” e di “unione” interna al Pd. A rispondere ai cosituzionalisti c’ha pensato un articolo dell’unità che sostanzialmente da dei “vecchi” ai 56 professori delle principali università italiane e quindi senza diritto di parola. Ovviamente, poco ci importa della lettera dei costituzionalisti, gli stessi tengono alla Costituzione tanto quanto alle loro poltrone. Lo abbiamo visto durante la riforma Gelmini che ha fatto a pezzi l’università pubblica ma allo stesso tempo ha consentito la conservazione delle cariche baronali su cui professori e professorini campano da decenni. Ma contrari alla riforma anche i partigiani dell’Anpi. Il 31 marzo Carlo Smuraglia, presidente dell’Anpi, rilascia un’intervista al Fatto quotidiano e conferma il suo invito ai partigiani a votare no al referendum costituzionale sottolineando che “se vince il si, i rischi sono notevoli, nel senso che si consolida un sistema di potere che non tiene conto che noi abbiamo una Costituzione repubblicana, democratica e antifascista”. A tal proposito, la ministra Boschi ha pensato bene di rispondere a Smuraglia paragonando chi sostiene il no, al referendum di ottobre, a Casapound! Una mossa non troppo arguta quella della Boschi, ma che vorrebbe in qualche modo lanciare un messaggio, come del resto è già stato fatto da Gualmini e Vassalo rispondendo ai costituzionalisti o da Renzi tante volte nel corso di questa legislatura: noi siamo gli innovatori del paese e soprattutto del Pd ed è per questo che non vogliamo ostacoli in mezzo ai piedi. O come dice Renzi: “noi non inseguiamo nessuno”.

Ma il problema sta nel fatto che per quanto questo governo possa portare avanti la bandiera della “gioventù” al potere, in realtà, l’unica innovazione che sta mettendo in piedi è quella di sostituire una elite con un’altra. Come non citare la ministra Guidi? Non c’è poi tanto di innovativo nel nominare un ministro ad hoc per favorire i petrolieri, per non parlare della stessa Boschi! Come non citare Carrai? Un imprenditore fiorentino che ha sostenuto economicamente la candidatura di Renzi e che potrebbe essere nominato a capo dell’Agenzia per la sicurezza informatica del paese a fianco dei Servizi Segreti. Una nomina che per il momento è stata bloccata, anche qui per le polemiche, dato che è uno dei fondatori e presidente di “Cys4”, una società dedicata alla sicurezza informatica e che ha stretti rapporti con Israele. Ma soprattutto, andrebbe a sostituire Luigi Bisignani del governo Berlusconi e che ha scritto una commovente lettera a Renzi riguardo la nomina di Carrai invitandolo a non fare lo stesso errore di Andreotti. E infine, Calenda, ma se ne potrebbero nominare altri, il nuovo ministro dello sviluppo economico. Fervente sostenitore del Ttip e con una carriera al fianco di Montezemolo, attuale promotore delle olimpiadi di Roma 2024. Quale sarebbe la novità? In sostanza, cambia tutto per non cambiare niente.

Il 21 maggio partirà la campagna del Pd per raccogliere le firme a sostegno del referendum costituzionale e si costituiranno in tutta Italia i “Comitati per il si”. E non è un caso che la campagna parta proprio due settimane prima le elezioni amministrative. Renzi sente che in queste elezioni il Pd è debole e forse sta ricorrendo ai ripari. Molti rappresentanti del governo saranno in giro per lo stivale a convincere tutti che questo referendum deve passare: Renzi sarà in una o più città del nord, Maria Elena Boschi in Emilia e Luca Lotti in Sardegna. Per la prima volta nella storia di questa legislatura qualcuno si degna di andare dai propri cittadini per chiedere cosa ne pensano di una legge, di una riforma e succede per confermare Renzi al potere. Guarda caso però nessuno si è degnato di andare a chiedere alla gente cosa ne pensa della buona scuola, del jobsact, dello sblocca italia eccetera, eccetera, eccetera. E allora qualcuno dovrebbe chiedere a Renzi perché dovremmo votare si per questa riforma. Anche qui, cosa cambia? Avremo case, reddito, cultura, scuole, università decenti e dignità per noi e per tutti i migranti che arrivano in italia? La risposta è no.

Il 21 maggio, inoltre, è il giorno in cui Casapound, proprio quella del felice paragone della Boschi con l’Anpi, farà un corteo nazionale a Roma per “Difendere l’Italia”. A Roma è stata chiamata questo venerdì, un’assemblea pubblica per impedire che fascisti e razzisti possano sfilare per le strade della città. Dato che è stata proprio la Boschi a tirare in causa Casapound le vorremmo dire che per quanto ci riguarda il Pd di Renzi e Casapound sono due facce della stessa medaglia. Non permetteremo a casapound di sfilare nelle nostre città e nei nostri quartieri tanto quanto a Renzi di svolgere i propri comizi nelle nostre università, nelle nostre scuole nei nostri territori.  

Da qui ai prossimi mesi la strada è lunga

Ma una cosa è certa

Nessuno di loro è il benvenuto.

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