Compagno Scajola
Le cronache della politica istituzionale di questi giorni ci indicano il deciso ritorno di un personaggio, Claudio Scajola, che i meno avveduti davano per scomparso nelle retrovie del potere del centrodestra. E´ bene invece ricordare che Scajola ha un nome di battaglia, non proprio irresistibile, che fissa le sue caratteristiche come a volte solo la fisiognomica dei soprannomi sa fare. Scajola è infatti suprannominato “sughero” per la capacità, quasi leggendaria, di tornare a galla dopo esser stato investito da un´ondata. E di ondate Scajola ne ha prese tante: dimessosi nei primi anni ´80 da sindaco di Imperia per uno scandalo legato alla nomina di un primario arrestato nella metà degli anni ´80 per pressioni indebite su un imprenditore; criticatissimo ministro dell´interno alla Pinochet al G8 genovese e poi al centro di pesanti polemiche, che gli sono costate la carica di ministro, per aver definito Marco Biagi, appena morto, “un rompicoglioni”. Infine, perla che gli ha fatto scalare tutte le classifiche di fama nella popular culture di questi e dei prossimi anni, Scajola è autore della famosa dichiarazione sulla sua casa nei pressi del Colosseo che “non so proprio chi me l´abbia pagata”. Anche questa dichiarazione gli è costata un ministero, quello dello sviluppo economico, ma cosa non si farebbe per restare nella memoria della popolazione.
Eppure “sughero” è sempre tornato regolarmente a galla, con quella conoscenza tipica dei ritmi naturali della politica istituzionale che non manca a un vero democristiano tenace. A suo tempo è stato rieletto sindaco di Imperia, qualche anno prima era stato scarcerato e assolto dalle accuse imputategli dalla magistratura milanese. Dopo la fine della Dc non solo si è buttato in Forza Italia ma è ne è diventato organizzatore, cerimoniere elettorale del ritorno di Berlusconi a palazzo Chigi del 2001. Dopo le dimissioni da ministro degli interni è diventato ministro per i rapporti con il parlamento nella stessa legislatura. Negli ultimi dodici mesi “sughero” ha lavorato sottotraccia, ma anche più volte pubblicamente annunciato a partire da inizio anno, che dopo l´incidente della casa vicina al Colosseo era il momento di tornare a galla con i dovuti onori politici o istituzionali. Il problema che Scajola ha avvertito che l´oggetto dei suoi avvertimenti, il potere berlusconiano verso il quale vanta diversi crediti prima di tutto come ex capo dell´organizzazione di FI, si stava e si sta semplicemente disgregando. Non solo, nella corrente scajoliana del PDL, come testimoniano diverse fonti della carta stampata, si è fatta strada la convinzione che le prossime elezioni possano rappresentare l´azzeramento della sua presenza parlamentare. I conti sono presto fatti: dagli scajolani il prossimo gruppo parlamentare del Pdl (o di come si chiamerà) è visto come capace di raccogliere al massimo 120 seggi. A quel punto calcolato il numero di parlamentari necessari a Berlusconi, e a qualche altra leadership interna inamovibile e avversaria di Scajola, si capisce come per il gruppo di “sughero” non ci siano posti ma solo la via della dissoluzione di fatto. Ecco quindi che Scajola guarda alla situazione politica complessiva, alle richieste che da più parti in Italia, e all´estero, di un governo nuovo, in grado di “fare le riforme” ovvero quei passaggi ultraliberisti che sono richiesti alle classi dirigenti dei paesi deboli del mondo globale come quota per rimanere nel club (dismissioni, privatizzazioni, evaporazione dei residui di stato sociale, deregolamentazione del lavoro).
E Scajola, piano piano, è uscito allo scoperto anche come portatore dell´ipotesi, ben foderata in linguaggio democristiano, di un tipo di governo del genere. Si tratterebbe di una rottura epocale nei rapporti interni al Pdl, che perderebbe oltretutto un organizzatore del sottobosco politico sui territori utile come pochi, tale da confinare il maggior partito del centrodestra addirittura all´opposizione. Si tratta di operazioni da fare con cura, con sponde politiche solide, non a caso Scajola ha parlato dopo le dichiarazioni dei vescovi sulla situazione politica italiana. In sé la manovra avrebbe un senso politico: formare un gruppo parlamentare autonomo,favorire un nuovo governo, una legge elettorale adatta alle proprie esigenze e approfittare della valanga di voti in uscita dal Pdl. Un´operazione Fini, stavolta riuscita, che ci renderebbe il Pdl come un partito che è riuscito a generare proprio al suo interno le opposizioni per lui fatali. Compagno Scajola che ci fa fuori Berlusconi insomma. Oltretutto la situazione nei residui di Pdl, al netto di scandali e processi, non è certo caratterizzata da coesione. Tra fronda antitremontiana, ultima ad aggiungersi la Gelmini, e desiderio dei formigoniani di prendere le redini del partito c´è davvero il clima di scontro tra bande. E si parla anche di responsabili pronti ad entrare nel gruppo di Scajola.
C´è però una questione di cui tener conto: i numeri. Al momento l´eventuale fronda Scajola, ora alleato con Pisanu, ha appena i numeri per far saltare il governo ma non per creare un nuovo esecutivo che arrivi fino a fine legislatura e con gli obiettivi sperati. La prudenza, e la doppiezza, democristiana mostrata da Scajola in questi giorni è dettata da questo problema. Perché senza una crisi pilotata trovarsi nella più classica situazione al buio, senza un governo e senza una reale maggioranza alternativa, per Scajola e il suo gruppo si tratterebbe di un colpo di testa identitario ma del più classico suicidio politico. Troppo per chi ha attraversato le rotte impervie del potere istituzionale della prima e della seconda repubblica. L´altro problema reale per gli scajoliani è quello di avere, chiesa e presindenza della repubblica a parte, un reale referente politico. Troppo presto alcuni fabbricanti di indiscrezioni hanno parlato di Mario Monti come presidente del consiglio del prossimo governo. Il personaggio, che a inizio agosto prima della seconda finanziaria parlava da premier, è stato già bruciato e non si tratta di un buon indizio per le liturgie democristiane delle crisi pilotate. E poi ci sono i partiti: il Pd è spaccato in correnti, le quali a loro volta sono spaccate da correnti trasversali, l´Udc è più interessata a garantirsi un decennio almeno di centralità nella politica italiana che a rischiare nell´immediato. In questa situazione, nonostante che ovunque si desideri la caduta di questo governo, non è facile muoversi e Scajola lo sa.
Di una cosa si può stare però sicuri: nessuna delle istanze promosse dai movimenti in queste settimane è candidata ad essere ascoltata dagli attori sulla scena. Il compagno Scajola può far cadere il governo ma, per il resto, ricordatevi del G8. Perchè il liberismo trasforma le classi dirigenti in fazioni, in lotta tra loro come le cabile della Somalia, che improvvisamente si uniscono quando si tratta di lottare contro la società.
Per Senza Soste, nique la police
9 ottobre 2011
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