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La vittoria di Grillo e il cedimento strutturale dell’assetto istituzionale


Grillo vince volando sulle ali di Carlo Frecceri

Grillo ha vinto indipendentemente dal risultato finale. Ha vinto perché se anche il Movimento 5 stelle non fosse la prima forza, questa clamorosa affermazione ha comunque definitivamente archiviato il bipolarismo e, di conseguenza, la convergenza al centro. Il successo indica proprio il rovesciamento dello schema: non il taglio delle ali, ma la loro valorizzazione, dando voce alla protesta di destra e di sinistra. I grillini dicono che non si tratta di protesta ma di proposta. Proprio quel che viene contestato dai commentatori.

Analisti e commentatori che, tuttavia, sembrano aver dimenticato il fenomeno Lega, scoperto e raccontato dal programma televisivo Profondo nord. Ci sarà occasione di tornare su questo punto di analisi per spiegare la differenza tra televisione e web proprio in rapporto ai due concetti di maggioranza (il campo della televisione generalista) con quello di moltitudine (territorio dei nuovi media).

Grillo ha anche riportato in scena le piazze che mancavano dall’epoca del maggioritario. La caratteristica politica è di non essere né di destra, né di sinistra, ma di intercettare la protesta sociale dei due campi.
Il suo messaggio è riuscito a fare del piccolo imprenditore il nuovo proletario evidenziando un elemento di fondo: oggi le realtà che si fronteggiano a livello politico non sono più l’imprenditore e il proletariato, ma a contrapporsi sono il mondo del lavoro reale (vedi Bersani) contro la finanza e le banche (vedi Monti).

A questo punto ho il sogno di un’alleanza non fra Monti e Bersani ma tra Bersani e Grillo: funzionerebbe come a suo tempo ha funzionato l’accoppiata Forza Italia/Lega. Il partito più strutturato costruisce localizzazione mentre il partito/movimento produce la contaminazione in direzione del rinnovamento. Gli elettori non hanno proposto l’accoppiata Monti/Bersani, ma hanno suggerito, al contrario, uno scenario alternativo che apre spazi all’innovazione, più che alla conservazione.
Leggendo i dati oggettivamente, vediamo che gli italiani hanno dato un’indicazione precisa, nel senso del cambiamento. I voti di Grillo sono stati probabilmente sottratti a destra alla Lega e a sinistra al Pd e a Rivoluzione civile, soprattutto a causa della frattura tra Ingroia e i movimenti Cambiare si può e Alba, probabilmente confluiti nella lista 5 stelle. E il fallimento della sinistra tradizionale si spiega con l’incapacità di identificare la sinistra di oggi con i movimenti dei beni comuni.

 

Cedimento strutturale di Marco Revelli
Bipolarismo addio

Doveva essere un terremoto. E lo è stato. Da questa tornata elettorale il sistema politico italiano esce a pezzi. E non solo perché l’outsider assoluto, il cane in chiesa di tutta la politica professionale – il teorico del «partito non-partito» -, balza al centro della scena politica per eccellenza. Né soltanto perché, per effetto di una legge elettorale scellerata, Camera e Senato si contraddicono a vicenda, mandando in cortocircuito il nostro bicameralismo simmetrico. E producendo l’unica cosa che tutti avrebbero voluto evitare: l’ingovernabilità.

Ma anche perché è la struttura stessa del nostro assetto istituzionale che subisce un cedimento strutturale. Sono i suoi «fondamentali» a sgretolarsi, tanto che è assai più facile dire che cosa finisca che non che cosa nasca o anche solo si annunci.
Finisce sicuramente la cosiddetta Seconda Repubblica. Quella in cui due schieramenti, di volta in volta identificati da una persona – di cui da una parte Berlusconi rappresentava la costante e dall’altra si ruotava – monopolizzavano il campo, e mimavano una sorta di alternanza. Ora il meccanismo si è rotto: la platea dei competitor si è ampliata con una presenza inaspettata, e l’impossibilità di alternarsi si conclude in una caduta libera. Finisce così anche il bizzarro bipolarismo maggioritario e più o meno egemonico, che era stato teorizzato nel 2008 (ricordate Veltroni?) e che si era già schiantato nel novembre del 2011, col «governo del Presidente». Ora che la politica esce dal lungo tunnel dei tecnici a cui aveva abdicato, si rivela impotente e bloccata. Finisce anche, malamente, la cosiddetta «sinistra radicale», travolta dall’ottusità delle proprie burocrazie residuali e dalla propria autoreferenzialità.

Gli architetti istituzionali, che questo bradisismo l’avevano messo in conto, immaginavano però un tripolarismo rassicurante, con un «terzo polo» montiano al centro, capace di crescere tra i due litiganti incapacitati a governare e a garantire un baricentro di stabilità. Invece il terzo polo è nato, ma ellittico, fuori squadra, destabilizzante e radicale come appunto i 5 stelle sono, a squilibrare il carico e sparigliare tutte le carte senza poterne distribuire nessuna. Tanto più che i due vecchi pilastri del sistema – Pd e Pdl – che si sono spartiti quel meno del 50% di elettorato disposto ancora a credergli (quello che resta dopo aver sottratto il venticinque per cento del corpo elettorale che si è astenuto e l’altro circa venticinque che ha votato Grillo), sono fragili. Umiliati dal giullare diventato re. Rosicchiati dall’interno come quegli alberi apparentemente robusti ma mangiati dalle termiti. Perché, nonostante la rimonta finale, il Pdl tutto è fuorché un partito, dipendente com’è da un leader bollito e squalificato universalmente, ancora in grado di toccare la pancia del proprio elettorato più sprovveduto ma non di governare un’accozzaglia di interessi e personalismi quale quella che abbiamo visto all’opera negli ultimi mesi, né di stabilizzare quell’alleanza con una Lega allo sbando che gli ha permesso di vincere in Lombardia al Senato. E per il Pd, c’è da scommettere che partirà presto la caccia al colpevole, e la rimessa in discussione di una leadership che dalla «vittoria mutilata» rischia di passare a una sconfitta non annunciata, e di liberare le tante anime non congruenti di quel partito dal patto di potere che le aveva tenute insieme.

Da domani incomincerà un’altra partita, dall’esito imprevedibile. Dove nessuna delle vecchie certezze varrà più. E ad ogni snodo si presenterà una situazione inedita e probabilmente drammatica, perché la crisi non è superata, anzi. E l’Europa sta sempre lì, a guardarci con occhio severo da aquila che vola basso, mentre lo spread s’impenna. E non c’è più un presidente pronto a gestire lo «stato d’eccezione» da sovrano. E il disagio sociale, ignorato, rimosso, trascurato e incompreso per anni, continuerà ad allargarsi come una piaga infetta… In questa situazione inedita, soprattutto di fronte all’ipotesi di un nuovo voto, nessuno s’illuda di poter riproporre la propria continuità, di classe dirigente. Di organizzazione. Di programma. Di «facce» e di routines. Anche di linguaggio. E a proposito di questo, almeno una preghiera: si abolisca il termine «antipolitica», soprattutto se riferita a chi – ci piaccia o meno – ha rappresentato oggi l’unico fatto politico rilevante in un panorama desolante.

 

da Il Manifesto

 

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