Da Calais a la ZAD: le giungle del PS
Uno dei due obiettivi pre-presidenziali di Hollande è stato portato a termine mercoledi sera, lo sgombero della bidonville di Calais è stato considerato una priorità rispetto alla ZAD, nonostante Matignon confermi di voler procedere in quella stessa direzione. L’operazione è iniziata lunedì ed è stata accompagnata dall’arrivo di più di 800 giornalisti da tutta Europa e Stati Uniti, a cui è stata vietata l’entrata nella giungla, e da un ingente schieramento di forze dell’ordine. Più di settanta camionette, celere, PAF (Police Aux Frontières), BAC (i cowboys della DIGOS francese) hanno gestito secondo i loro metodi l’evacuazione della giungla, proclamata mediaticamente come un’operazione umanitaria. Da mesi le persone che vogliono andare nei Centres d’Accueil et d’Orientation (CAO), sparsi ai quattro angoli della Francia, devono far fronte a una penuria di posti e a una gestione indegna della situazione. Da lunedì la selezione si fa “aux faciès”, ossia dipende da che faccia hai. Le lunghe code davanti all’hangar predisposto per la differenziazione (uomini, donne, minori, persone vulnerabili) vengono smistate, tra chi può partire sui bus per i centri di accoglienza e chi non può, perchè non c’è posto o perchè non viene riconosciuto in quanto minore. Così per cinquanta persone che partono in bus altre cento o duecento aspettano sui marciapiedi, sulla strada, nelle zone comuni all’interno del campo dei containers. Durante la coda i migranti scelgono una regione dove andare e in funzione di questa hanno un braccialetto di un colore. Per quanto riguarda le persone vulnerabili vengono selezionate a parte, per essere mandate nelle regioni piu urbanizzate. Se le persone rifiutano di essere inviate in CAO saranno inviate in CRA (il CIE italiano), la prefettura ha riservato dei posti in CRA espressamente per le persone che arrivano da Calais. A sorvegliare la buona riuscita dell’operazione è presente il Controllore Generale dei Luoghi di Privazione di Libertà che storce il naso di fronte a tale gestione e l’Alto Commissario per i Rifugiati, che decide di ritirarsi davanti all’irrecuperabilità della situazione. Finite le partenze volontarie per i centri inizia l’espulsione violenta da parte delle forze dell’ordine e, dopo lo sgombero, si procede all’immediata distruzione.
Un’attenzione particolare va riservata alla gestione dei minori. La selezione iniziale si fa in base all’apparenza, in seguito un colloquio di cinque minuti con un membro di un’associazione e un ufficiale britannico dovrebbe confermare o meno la minorità della persona. Chi chiede di essere inviato in Inghilterra per raggiungere la sua famiglia viene fatto aspettare nel campo dei contaneirs, tutti gli altri partono per i CAOMIE (Centre d’Accueil et d’Orientation pour Mineurs Isolés). Per metterli nei containers hanno dovuto svuotare i containers, ovviamente a colpi di celere e manganello. Poi ci sono quelli che erano già su una procedura di ricongiungimento famigliare ma che devono comunque fare la coda e magari non vengono riconosciuti come minori quindi vengono abbandonati lì al loro destino, senza più sapere niente. La tensione dei giovani sale. I CRS intervengono nei containers con maganelli e violenza. Lontano dai giornalisti. Alcuni incendi sono stati provocati nella notte tra martedi e mercoledi ma l’operazione continua. Mercoledì mattina una manifestazione di donne si fa strada nella bidonville.
Mercoledì sera Fabienne Buccio, prefetta del Nord Pas de Calais dichiara finita l’operazione dicendo che con la “fine della giungla i migranti potranno finalmente cominciare una nuova vita in Francia”. Sembra evidente dubitare che le migliaia di migranti che abitavano nella jungle, tra i sei e gli otto mila secondo diverse fonti, abbiano tutti trovato una nuova sistemazione, degna e volontaria. Una delle poche certezze è che la deportazione dei migranti di Calais lascia spazio a un altro progetto, molto caro alla sindaca Natacha Bouchard, che prevede l’inizio dei lavori nel 2017 per la costruzione di un parco di attrazioni che sorgerà a tre chilometri dal sito della bidonville e che costerà 275 milioni di euro. La sindaca di Calais stima i danni della presenza della giugnla sul suo territorio a 50 milioni di euro e reclama risarcimenti da parte di Francia e Inghilterra. Intanto alla ZAD ci si prepara per fare fronte all’evacuazione delle terra occupate da chi quelle terre le vuole difendere dalla costruzione di un’altra opera inutile, un aeroporto che dista un’ora dall’aeroporto di Nantes.
È chiaro come alla volontà di distruggere per costruire delle grandi opere inutili e per ridare al territorio un’attrattività economica e politica, oltre agli interessi finanziari, oltre ai calcoli elettorali, si aggiunge la tendenza a voler eliminare qualsiasi luogo di auto-organizzazione. Come nella giungla di Calais si potevano intravedere delle forme di autogestione, di resistenza e di creazione di un modo di vita, seppur all’interno di un contesto deprorevole in termini di condizioni materiali e umane, autonomo rispetto al sistema, quello stesso che ha imposto le frontiere che si possono o non si possono valicare. Così a Notre Dame des Landes l’autogestione delle terre occupate dagli abitanti della zona, insieme a militanti di ogni origine e età, è un esempio di organizzazione di vita collettiva per la difesa di un territorio, contro ogni speculazione capitalistica e contro l’inutilità di un’opera. La risposta è la stessa, dispersione delle soggettività in lotta, gestione dell’ordine delegata alla polizia, copertura mediatica che intende rappresentare in modo totalmente falsato dalla realtà le regole del gioco, nascondendosi dietro a operazioni umanitarie. Ciò che è certo è che fanno sempre più paura queste zone che si astraggono dal sistema statale per darsi le proprie forme di organizzazione e di lotta contro queste politiche che fanno dell’Europa una fortezza da attaccare alle basi.
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