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Dove colpisce la propaganda. Le fasce sociali di maggior consenso verso Renzi

Si deve notare come, in buona parte, le fasce di consenso verso Renzi coincidano con quelle più esposte alla televisione (ultra 65enni, pensionati, licenza elementare) nella metabolizzazione dei contenuti. Insomma, l’effetto Renzi sullo schermo tv tradizionale funziona. Si tratta di quasi 5 ore di esposizione personale al giorno in tv (secondo uno studio La Stampa-Geca Italia) oltre a una politica istituzionale che commenta, quasi esclusivamente, in funzione renziana o antirenziana. E si tratta della classica iniezione dei contenuti dall’alto verso il basso. Iniezione che non sempre funziona ma con un pubblico anziano, dotato con divide tecnologico, poco alfabetizzato il consenso arriva quasi naturalmente. Da questo punto di vista, età e livello di istruzione, i macrogruppi di consenso, tra PD e Forza Italia, si sovrappongono (scenaripolitici.com aveva pubblicato uno studio in questo senso non molte settimane fa). Differente è la questione del gruppo di età 18-24. Se, almeno fino ai 18enni, la scelta elettorale tende a coincidere con quanto assunto nella dieta televisiva, si assiste, secondo diversi studi, a una repentina rimessa in discussione di questa scelta tramite i social network. Si può azzardare che i tweet di Renzi abbiano funzionato, oltre all’immagine originaria di giovanilismo fabbricata dalla De Filippi (ottima per togliere l’idea di snob al brand Renzi), assieme a tutta la propaganda sulle misure del lavoro ai giovani. Non a caso, basta vedere come sul sito di Repubblica, ampiamente pensato per i “social”, come l’emergenza lavoro per i giovani sia stata sempre accompagnata dall’enfatizzazione, in positivo, delle misure “‘per i giovani” del governo Renzi. E’ anche significativo che Renzi conquisti la fascia elettorale meno alfabetizzata, nonostante

la retorica sulla “scuola” comunque a preludio di privatizzazioni facendo si che la semplificazione del messaggio renziano, meno articolato e stratificato di quello berlusconiano, arrivi direttamente a bersaglio. Da notare poi come solo una minoranza di queste categorie “più renziane di tutte”, tocchi la categoria degli ormai famosi 80 euro in busta per sgravi Irpef. Sia perchè i pensionati e i giovani non vengono toccati da questo provvedimento, per motivi differenti,  sia perchè anche nel privato i lavoratori con licenza elementare, interessati allo sgravio Ipef, sono una minoranza. Ancora più esigua che nel pubblico.

Resta da domandarsi quale sia la base materiale del governo Renzi. Non i fondi alle Cayman o i Bini Smaghi, Jp Morgan, Eataly, le Coop o i nuovi, aggressivi, equilibri di parte del potere bancario italiano. Quella è la base di interessi. Insomma, la base elettorale diffusa che ha un interesse materiale diretto alla sopravvivenza del governo Renzi. Berlusconi, nell’evasione, nell’elusione, nella deregulation silenziosa, nelle reti clientelari grandi o piccole che agivano in piena discrezione, nel mattone (dalle grandi opere alla casa abusiva) questa base ce l’aveva. Ma Renzi?

Colpisce, dei ceti più influenzati dalla propaganda del governo, la convergenza del consenso  tra i ceti fuori dal lavoro, perchè a fine ciclo produttivo o perché sostanzialmente non ci sono entrati, oltre alla bassa scolarizzazione. Bisognerebbe incrociare i dati prodotti dall’istituto Pagnoncelli con un set di dati, più aggiornato, sui ceti sociali più toccati dall’astensione che qui toccherebbe il 40 per cento. Perché la letteratura consolidata sull’astensione in Italia, da oltre un quindicennio, ce la dà come prodotto di ceti sociali analfabeti di ritorno, fuori dal lavoro etc. Invece le carte sembrano essersi mescolate, eccome. Si tratta quindi di prendere in considerazione l’ipotesi che l’astensione si annidi anche in categorie produttive (diamo qui un genericissimo significato a questa categoria), in grado di decodificare la propaganda governativa, e quindi gli effetti nocivi del governo Renzi, per finire nell’astensione sentendosi privi di rappresentanza. Insomma, il governo Renzi sembrerebbe la carta della rappresentanza dei sogni, delle illusioni, degli equivoci delle categorie non, o non ancora, produttive per rappresentare il consenso necessario per andare in rotta di collisione con ciò che rimane del welfare e delle categorie produttive.

Ci sono anche un paio di questioni più sistemiche di cui bisogna tenere conto entrambe legate alla stessa questione: l’invecchiamento della popolazione nei paesi dove il capitalismo è di maggiore insediamento storico. Una serie di studi hanno dimostrato come i fondi pensione privati, e la loro necessità di cassa per una platea di pensionati sempre maggiore,  siano tra le cause forti delle bolle finanziarie. Ma anche della ristrutturazione dell’economia in modo tale che, con le privatizzazioni e le cartolarizzazioni , si possa rispondere alle necessità di produrre tanto più “liquido” possibile per i fondi. Allo stesso tempo, l’invecchiamento della popolazione, fenomeno di per sè, se governato, meno negativo di quanto si pensi cambia molti fattori nelle democrazie rappresentative contemporanee (e non solo, in tutta l’arena politica). Pensate per una platea di elettori sostanzialmente produttivi di cui l’esclusione dal lavoro non rapprentava la regola ma l’eccezione. Eppure, gli ultra 65enni, per quanto sganciati dal lavoro, sono una delle categoria chiave delle democrazie rappresentative contemporanee. Per non parlare del peso che, sull’economia e sulla finanza globali, ha la gestione privata dei grandi fondi pensione. Tra la riemersione di un concetto di biopotere e l’altro, sempre concepiti attraverso il piacere o la vita produttiva, questo (molto potente) legato al declino della vita manca completamente di analisi legata al mondo contemporaneo.

Qualcuno, a sinistra, magari pensa che con un titolo di giornale dove si parla di anziani di cominciare ad occuparsi del problema. Le cose stanno in maniera molto più complessa, anche in piccole campagne elettorali, per una sinistra in parte ancora culturalmente ferma agli schemi mummificati della lista arcobaleno. Nel frattempo, basta incrociare questo sondaggio di wallstreetitalia con il sondaggio sulla lista Tsipras di Iprmarketing per poter formulare la previsione che proprio la capacità renziana di attirare sia giovani che anziani tolga voti a sinistra.

Prima della campagna Renzi con le slide, infatti, la lista Tsipras era quotata al 7%. Differente è il bacino del voto grillino: nonostante quello che sostiene Renzi, che mira le proprie campagne proprio per sgonfiarlo entro quello che lui pensa essere ceto medio, gli elettori 5 stelle, secondo diversi studi, rappresentano sia il primo partito operaio d’Italia che il primo tra partite Iva e piccolissimi imprenditori. Dando per scontato che a sinistra le partite iva restano emerite sconosciute, da quanto tempo la gauche italiana non fa un lavoro di comunicazione mirato sulla classe operaia attuale? Si passa da un paradosso all’altro: in Francia, due anni fa, Mélenchon ha fatto una campagna elettorale da effetto nostalgia, con un linguaggio didascalico inadatto ad una società complessa, oggi in Italia ciò che resta della sinistra istituzionale si è dimenticata totalmente il lavoro manuale. Poi, se i cambiamenti non arrivano, finisce come in Francia ma non alla Mélenchon: che a tutte le categorie travolte dalle ristrutturazioni e abbandonate dalle sinistre parla, una ad una, Marine Le Pen in persona. Ed è a quel punto che i resti della sinistra cominciano a chiedere il voto ai Renzi di turno per impedire l’ascesa dei Le Pen italiani. Ma una sinistra istituzionale che è riuscita a cantare baldanzosamente “bella ciao” in parlamento mentre stava approvando un decreto di regalo di 7,5 miliardi di euro a istituti bancari in rotta, non può più chiedere aiuto a nessuno. Si tratta di problemi enormi, e di prospettiva, in un paese paralizzato. Ma una volta che si comprendere il peso reale delle fasce sociali in una società come la nostra, si fa davvero politica e di qualsiasi genere. Certo, ci sarebbe anche il problema di come non si possa parlare di democrazia in un paese che passa da un presidente del consiglio a reti unificate all’altro. Ma parlare di troppi problemi alla volta non è nè il caso nè il periodo. Ma, intanto, è importante focalizzare quelli reali.

 

Da Senza Soste

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