InfoAut
Immagine di copertina per il post

Ho gli occhi pesanti a forza di immaginare

“Ho gli occhi pesanti a forza di immaginare” (F. Pessoa)

Un po’ ingenuo e autoreferenziale e sentimentalista partire dall’esperienza personale per provare a riflettere su questo mondo in cui siamo immersi, fino al collo. Ma è l’unico modo che ho in questi giorni non di facile lettura per elaborare la consapevolezza di “grondare sangue senza accorgersene”, che sì, forse fino ad ora non aveva ancora assunto questo gusto così amaro. Da un lato, amaro per il sentirsi inevitabilmente in contraddizione, e dall’altro egoisticamente e ciecamente amaro per le concrete conseguenze sulla propria vita.

Se gli sbirri arrivano correndo a chiuderti dentro un bar dove sei a bere il tuo terzo pastis e la tua reazione, come quella di tutti, è stata continuare a bere il tuo terzo pastis, senza pensare a un attacco di tale portata, perchè sì al massimo c’è stata una sparatoria. Se poi prendi la metro una fermata un po’ più in là perchè si sa, quando succedono queste cose è meglio evitare di prendere la metro, ma a quel punto il tuo telefono non smette di squillare perchè anche se in questa città non ti senti a casa in realtà casa tua è dietro l’angolo e siamo tutti collegati, non solo virtualmente. Se mentre torni a casa il sabato sera la polizia ha chiuso la strada che percorri tutte le mattine e poi capisci che lì era stata parcheggiata quella macchina, quella dove vengono ritrovati i kalashnikov. Se tutti, in una di quelle globali catene di sant’Antonio, hanno almeno un conoscente, un amico, un fratello, una sorella, che è stato colpito più o meno in prima persona e più o meno invasivamente. Se i primi due provvedimenti presi sono la chiusura delle frontiere e la proclamazione dello stato di emergenza.

Beh, allora mi sembra di dover scegliere fra pochi termini per descrivere questo mondo in cui siamo immersi a Parigi in questi giorni. Vacillo: tra uno stato di incoscienza e uno di guerra.

E se poi gli elicotteri sopra la testa ti ricordano il tre luglio sai bene che c’è un’abnorme e esplicitatamente opposta differenza, quella era ed è la nostra lotta. Questa è la loro guerra in cui siamo stati coinvolti e non vogliamo.

E allora torna la coscienza.

Mi chiedo cosa si possa fare adesso. Credo che sia importante ricollocarsi nella Storia in quanto soggetti sociali e politici per poter immaginare il proprio margine di azione e cercare di comprendere a partire da questo risituarsi. Non credo che qui il punto sia darsi come obiettivo quello di eliminare Daesh (a meno che non si voglia andare a combattere con i Curdi), o arrivare addirittura a chiedersi se i bombardamenti su Raqqa siano o no la soluzione. Credo che si debba pensare alle cause e alle conseguenze suscettibili di rientrare nel proprio margine di azione, siamo qui e siamo qui per essere contro a questo sistema che ha autocreato due nemici/amici che giocano sulla nostra pelle, con il nostro sangue (e quando dico nostro intendo semplicemente quello di tutti. Tutte le vittime che mi sembra superfluo enumerare in una gara a chi si ricorda di più quali altri morti sono stati causati dalla “loro guerra, non la nostra”).

“Mais pourquoi ces gens existent ?” si chiede un ragazzo di Molenbeek, un comune povero, del Belgio, considerato ormai l’avanposto degli islamisti dopo gli arresti e i legami con gli attentati di Parigi Forse una risposta si potrebbe provare a trovare se prima si riflettesse sulle condizioni in cui vivono dei giovani, francesi di X generazione, che si portano sulle spalle un passato pesante, non ancora risolto, di colonizzazione, razzismo, immigrazione, stigmatizzazione. Giovani che abitano una qualche tour di una cité qualsiasi abbandonata a se stessa o una banlieue terreno di rinnovazione urbana che impone nuovi stili di vita, e che impone di andarsene per farsi vedere ancora meno. Costretti a nascondersi nel retro di quella (città)vetrina che in tanti vorremmo spaccare. Giovani che subiscono quotidianamente gli effetti del razzismo istituzionale, a scuola, per strada, che subiscono lo sguardo di chi sospetta, perchè arabo di origine (che chissà cosa vuol dire) e musulmano (forse neanche credente). Bisognerebbe chiedersi cosa significhi nascere e crescere relegati in uno spazio che è urbanisticamente simile a un non-luogo ma in cui allo stesso tempo si creano dinamiche sociali e esistenzialmente spinte dalla haine. Bisognerebbe chiedersi se quel meccanismo di riappropriazione dei pregiudizi non funziona e non si trasforma autonomamente e collettivamente in moto di resi(s)li(t)enza, quale diventi il limite. E allora perchè dire no a una prospettiva autodistruttiva, unica forma di azione in un’inesistenza annichilita prodotta dal sistema capitalistico, e distruttrice che ti permette di spaccarla quella vetrina.

È qui che ci si sbaglia. Enormemente.

Perchè quella vetrina l’avremmo voluta spaccare tutti. Ma non così.

E allora quelle vittime di Parigi, i nostri morti, così come sono dei nostri tutti i morti, sono causati da una guerra in cui l’Occidente si trastulla insieme ai principi sauditi, responsabili di spargimento di sangue e creatori di mostri e per aver messo in moto una macchina capitalistica che si autogenera nell’aumento delle disuguaglianze.

Perchè quella haine che possiamo condividere con chi un futuro non ce l’ha ma a cui non rimane nemmeno il presente perchè si è ridotto alla sopravvivenza non è stata incanalata nel modo giusto, ma nel senso diametralmente opposto, ossia andando a fare una guerra che è tutta loro, contro di noi.

E se fino ad ora non abbiato ancora agito abbastanza per sradicare le origini di un mostro che assume le teste degli Hollande, Renzi, Putin, Obama, IS di turno allora dovremmo almeno agire tempestivamente nel limitarne le conseguenze.

È più che mai inquietante sentirsi limitati nelle proprie libertà, in quel Paese che paradossalmente si autocelebra senza un minimo di vergogna come il detentore dei diritti dell’uomo, in seguito alla proclamazione dello stato di urgenza. Provvedimento che puzza di colonialismo. Così come è inquietante il passaggio dei poteri dell’esercito al capo dello stato, la decisione di prolungare lo stato di emergenza trasformandolo in stato d’eccezione, il controllo della stampa, la possibilità delle perquisizioni amministrative senza l’accordo del giudice, il regime di rinvio alla residenza di tutti i possibili sospettati di terrorismo, il divieto di rassemblarsi e di manifestare. Decisione dotata di un certo tempismo se si considerano le varie paranoie uscite sui giornali, qualche giorno prima che uno spettro ben più attraente si facesse avanti, dei black bloc in arrivo da tutta Europa per contestare la COP21, altra occasione simbolo per questa città, emblema del capitalismo globale, di farsi vetrina e portatrice di buoni propositi sul clima.

Sicuramente il governo francese è stato in grado di agire sul clima, non limitandone il surriscaldamento o l’inquinamento, ma creando un clima di soffocante stato di polizia. E queste sono le conseguenze immediate sulle nostre vite. Dover incontrare militari armati fino ai denti in qualsiasi stazione, poliziotti annebbiati da deliri di onnipotenza tollerati pronti a sfogare la loro frustrazione su chiunque abbia una faccia un po’ meno europea su qualsiasi metro, angolo, parco, doversi sentire in gabbia in università con guardioni, altro frutto del precariato economico e sociale, che ti controllano la tessera studenti, lo zaino, il tupperware con il pranzo, sentirsi sotto osservazione ogni volta che una macchina della polizia fa la tua stessa strada, addormentarsi sentendo le sirene e svegliarsi nello stesso modo in un loop continuo. Una pressione che si intreccia con la stigmatizzazione. E che colpirà doppiamente chi già tutti i giorni sa di dover far fronte a controlli arbitrari, a insulti razzisti, a insinuazioni islamofobe, a impossibilità di accesso per carenza di mezzi, a sguardi portatori di un discorso dominante alimentato dalla paura che chi è al posto di comando ha tutto l’interesse di sublimare con la ultrasicurizzazione.

Qualcosa ci è sfuggito di mano, stanno facendo il loro gioco con il nostro sangue, non permettiamoglielo più.

di Martina Losano, mercoledì 18 Novembre 2015

Articolo tratto da CuaPisa

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Culturedi redazioneTag correlati:

guerraIsisparigi

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Culture

Il primo vertice antiterrorismo internazionale – Roma 1898

Un evento spesso trascurato dalla storiografia italiana, anche da quella che si è occupata del movimento operaio e delle sue lotte, ma che obbliga a riflettere su una serie di nodi ancora tutti da sciogliere

Immagine di copertina per il post
Culture

Frankenstein, quel mostro nato dalle ombre oscure della guerra

Al mostro viene negato un nome e una individualità, esattamente come al proletariato

Immagine di copertina per il post
Culture

“No Comment”: i Kneecap tornano a colpire con Banksy

Dalla Belfast ribelle al cuore dell’establishment londinese, i Kneecap tornano a colpire.

Immagine di copertina per il post
Culture

Israele sull’orlo dell’abisso

Ilan Pappé, La fine di Israele. Il collasso del sionismo e la pace possibile in Palestina, Fazi Editore, Roma 2025, pp. 287

Immagine di copertina per il post
Culture

Se la Cina ha vinto

Se l’obiettivo di un titolo apodittico come “La Cina ha vinto” è convincere il lettore della validità della propria tesi, Alessandro Aresu vi riesce pienamente.

Immagine di copertina per il post
Culture

Mala tempora currunt

Don’t let this shakes go on,It’s time we have a break from itIt’s time we had some leaveWe’ve been livin’ in the flames,We’ve been eatin’ out our brainsOh, please, don’t let these shakes go on(Veteran of the Psychic Wars, 1981 –Testo: Michael Moorcock. Musica: Blue Oyster Cult) di Sandro Moiso, da Carmilla Che per l’Occidente […]

Immagine di copertina per il post
Culture

Bolivia in fiamme: dentro un ecocidio latinoamericano

Bolivia Burning: Inside a Latin American Ecocide è un documentario di 52 minuti di The Gecko Project che porta gli spettatori all’interno di una delle crisi ambientali più sottovalutate al mondo: la rapida distruzione delle foreste in Bolivia.

Immagine di copertina per il post
Culture

Scolpire il tempo, seminare il vento, creare antagonismo

Siamo la natura che si ribella!, ammonisce con efficace sintesi uno striscione no-tav esprimendo un radicale antagonismo nei confronti del mortifero sfruttamento capitalista patito dall’essere umano e dalla natura, di cui è parte.

Immagine di copertina per il post
Culture

Al mio popolo

Lo scorso 25 settembre è deceduta a Cuba Assata Shakur, importante membro delle Pantere Nere prima, della Black Liberation Army poi.

Immagine di copertina per il post
Culture

Sport e dintorni – A proposito di Italia-Israele di calcio e della neutralità dello sport

La retorica dello sport come ambito da mantenersi separato dal resto della realtà presuppone che quanti lo praticano o lo seguono operino una sorta di momentanea sospensione dal mondo a cui pure appartengono, sospensione che riappacifica, durante le gare, le conflittualità e le brutalità quotidiane.

Immagine di copertina per il post
Formazione

HUB DI PACE: il piano coloniale delle università pisane a Gaza

I tre atenei di Pisa – l’Università, la Scuola Normale Superiore e la Scuola superiore Sant’Anna – riuniti con l’arcivescovo nell’aula Magna storica della Sapienza, come un cerbero a quattro teste.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

«La cosa più importante è salvare il maggior numero possibile di vite umane e infrastrutture in Ucraina»

Maidan illustra quindi i principali dilemmi dei movimenti e delle mobilitazioni globali: la classe operaia ha una capacità molto limitata di organizzarsi, di articolare gli interessi di classe e di fornire almeno una leadership nazionale.

Immagine di copertina per il post
Confluenza

DDL NUCLEARE : cosa aspettarci, cosa sappiamo?

Continuiamo ad approfondire e a tenere alta l’attenzione sul tema del ritorno del nucleare.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Armi e gas :l’Europa sempre piu’ dipendente dagli U.S.A.

A ottobre, per la prima volta, un singolo Paese gli USA ha esportato oltre 10 milioni di tonnellate metriche (mmt) di gas liquefatto, il 70% delle quali verso l’Europa.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Rompere la pace dentro territori, fabbrica e università della guerra

Partiamo da qui, da questa inquietudine mai risolta e sempre irriducibile che accompagna la forma di vita militante, l’unica postura da cui tentare di agguantare Kairòs, il tempo delle opportunità che possiamo cogliere solo se ci mettiamo in gioco. 

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Libertà vigilata

Un inedito maccartismo sta attraversando l’Occidente e, per quanto direttamente ci riguarda, l’Europa, sempre più protesa verso la guerra, irresponsabilmente evocata dalla presidente Ursula Von der Layen come “scudo per la democrazia”

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Il Segretario di tutte le guerre

a visione che Hegseth porta dentro l’amministrazione Trump è quella di un’America che può tornare «grande» solo riconoscendo la guerra come sua condizione naturale.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Ucraina: logoramento militare sul fronte orientale, esodo di giovani sul fronte interno

La situazione sul campo in Ucraina è sempre più difficile per le truppe di Kiev.