I sud, contro la repressione, in preparazione dei prossimi appuntamenti di lotta
Orizzonti meridiani promuove due giorni per:
Ormai è dato assodato che la razionalità neoliberista non è soltanto un progetto economico dove lo stato borghese arretri dinanzi alle maglie larghe del laissez faire. E’ invece un modello di società divenuto egemone dal punto di vista culturale, in grado di produrre soggettività e di determinare “condotte di vita”, in cui l’individuo diventa fulcro della vita associata mentre la concorrenza e l’auto-imprenditorialità sono le direttrici dell’azione individuale. Un disegno di società che potremmo certo interpretare attraverso la categoria della “rivoluzione passiva” di Gramsci. Ma in realtà il neoliberismo europeo è qualcosa in più. E’ un nuovo orientamento, non solo nelle forme dell’autoritarismo populista, bensì proprio nell’egemonia culturale, ideologica che ricopre complessivamente la società. Una sorta di “sistema disciplinare mondiale”, nella fattispecie un sistema di regole dettate dalla Troika che regolamentano la concorrenza quando non le politiche fiscali e salariali dei singoli stati. E non serve tanto riprendere dispositivi di regolazione neo-keynesiani per ipotizzare una fuoriuscita dal tunnel, poiché il “finanzcapitalismo” ha pervaso bilanci e misure di finanziamento tanto degli stati quanto del pulviscolo di regioni, province, comuni, municipi, enti etc. Detto altrimenti: quell’articolazione capillare sul territorio del comando neoliberista, oggi, sull’altare del Patto di stabilita e del fiscal compact è sottoposta a un rigido controllo della Troika, riallineando` il comando alle strette decisioni verticistiche.
Sono gli effetti delle misure di austerity, che non scompariranno con la crisi, poiché la crisi è essenza dell’attuale regime di accumulazione capitalistico. Eppure l’austerità è qualcosa in più: rappresenta l’ordine del discorso della razionalità neoliberista e, in particolare, il tratto di un nuovo “orientalismo” esercitato sulle popolazioni meridionali. In altro modo possiamo definirla, la frontiera della cittadinanza neoliberista. In una vulgata ormai frusta, le popolazioni mediterranee sono la parte cattiva, “negra”, dell’Europa tedesca, di quel neoprussianesimo dall’etica di weberiana memoria. Uno stigma che la classe politica italiana ha fatto proprio, incarnato in politiche di privatizzazione e smantellamento del welfare, con risultati tragici: da una parte, aiuti ai capitali industriali, alle banche e al capitale finanziario; dall’altra, inarrestabile disoccupazione, lievitamento del tasso di povertà, contrazione dei salari, finanziarizzazione delle public utilities, crescita esponenziale della cassa-integrazione e dei licenziamenti… Per dirla con una pellicola dal titolo evocativo, “L’odio”: “fin qui tutto bene…fin qui tutto bene”. E’ il mantra ripetuto da re Giorgio Napolitano e cantilenato dai politici e agli intellettuali italiani per fugare le paure del conflitto sociale e vendere il fumo dell’emersione dalla crisi.
Tuttavia i capitali si muovono e si riconfigurano: nell’Europa tedesca, infatti, “la geografia economica e politica non va che riorganizzandosi in base a rapporti di forza e di dipendenza che sono anche rapporti di forza monetari”. Un orientamento che assume contorni più nitidi nel Sud Europa dove il neo-orientalismo dell’austerità favorisce la concentrazione di capitali sempre più in poche mani; e, mentre il costo del lavoro vivo si abbassa, la diffusione del lavoro nero cresce esponenzialmente al ritmo della crisi. Questi sono alcuni effetti del dispositivo dell’austerity. Inoltre, il sistema “crisi” economica e “crisi” politica s’innesta sul tronco della subalternità, ossia sul ricatto di vivere in territori di povertà, di lassismo, di inadattabilità alla razionalità neoliberista, e – con la retorica savianea – in territori criminogeni. “Che sfiga!” verrebbe da pensare se non fosse che le lotte sociali e politiche nel Sud d’Italia ci indicano altre contrade: cammini in direzione contraria alle lobby finanziarie, alle tristi politiche del debito, alla tautologica povertà e al folcloristico “familismo amorale”, in cui ci vogliono istradati l’intellighenzia e i politici della provincia Italia.
Queste lotte sono in grado di divenire leva in grado di organizzare la cooperazione del lavoro vivo attraverso processi riappropriativi. Le lotte per il reddito, la casa e la salute su cui negli ultimi anni insistono i movimenti antagonisti meridionali si presentano appunto come lotte contro l’austerità e contro i nuovi processi di accumulazione capitalistica dell’ambiente e della vita. Il calendario dei prossimi mesi ci consente di generalizzare queste lotte, dai nostri sud a terreni di lotta nazionali e, perchè no, transnazionali, europei. Su questo aspetto l’interrogativo fondamentale è se sia, già oggi, possibile sostanziare, realmente, un processo costituente per un’Europa del comune e delle lotte sociali. Il che significherebbe praticamente indirizzare senza mediazioni la prassi che soggettiva e che costituisce il comune contro i poteri finanziari (si tratti di territori inquinati, comuni, nazioni, spazi tutti attraversati e riscritti dai tracciati globali ed europei del governo della crisi). Poiché laddove lo spazio dell’offensiva capitalistica pare diventare sempre più l’Europa, lo spazio delle resistenze e della controffensiva delle lotte sarà immediatamente continentale? Ciò significa, di conseguenza, congedarsi da concetti e categorie dello Stato nazionale moderno (comprese le costituzioni, le politiche di bilancio, i servizi pubblici) per imporre, potenzialmente, alla Troika una rete di contropoteri in grado di riappropriare beni e servizi reinventandone, oltre la crisi, le forme di gestione collettiva. Si tratterebbe, dunque, di scrivere dal basso della cooperazione l’agenda costituente del nuovo welfare del comune, di far saltare assieme le convenzioni monetarie e le linee del loro scorrimento giuridico. “Degiuridicizzare l’agenda del comune significa, in questa chiave, non soltanto operare il salto di scala necessario a imporre un’autonomia costituente in grado di eccedere la pretensività del diritto, ma organizzare reti di contropotere installate sulla materialità delle prassi riappropriative (in tema di servizi, mobilità, formazione) come fuoco soggettivo interno all’ellisse che descrive la prassi di governo”. In altri termini: è un “divenire-europei” per esautorare i quadri della cittadinanza neoliberista. Una cittadinanza che verrà riproposta nei prossimi mesi (elezioni europee in maggio, semestre italiano di presidenza e vertice sulla disoccupazione giovanile a luglio) come accettazione delle forme di governance delle politiche di austerity a trazione tedesca. Ovviamente, questa, rappresenta solo una delle possibili chiavi di lettura sui processi e sulle tendenze; resta la necessità di metterla alla verifica dei fatti sociali, dei movimenti reali, delle pratiche antagoniste dei nostri e dei più ampi spazi critici prodotti, più che dalla governance, dalle lotte stesse.
Seppur a nessuno di noi interessino le tornate elettorali, sterili strumenti della rappresentanza politica, crediamo che l’agenda dei movimenti innanzi a noi offra l’occasione di indagare una prospettiva di ragionamento e di prassi che abbia come terreno possibile lo spazio europeo. L’incontro del 23 febbraio è un primo momento per interrogarci su questa agenda e soprattutto sul come adoperare la leva meridionale per aprire e tenere aperto le lotte territoriali in uno spazio nazionale e transnazionale. Nel frattempo, assistiamo a un’Europa in cui accanto alle lotte dei precari e dei migranti riesplodono battaglie sui luoghi di lavoro (logistica, trasporti, fabbriche occupate): cioè, lotte per il reddito come lotte per la libertà e l’autonomia dal ricatto della finanza. D’altronde parlare delle lotte per la casa e per la salute pensiamo che riporti al centro direttamente le lotte per il reddito di base, quelle per il salario minimo, quelle per il lavoro e la riduzione dell’orario di lavoro: le lotte contro la precarietà, la povertà e i diritti di cittadinanza come condizioni comuni, dalla “povera” Grecia alla “ricca” Germania. Non ricerchiamo la pietra filosofale per attivare questi processi, bensì l’esperienza ci consegna un metodo: soltanto nuotando nel fiume delle lotte sociali, nell’immanenza dei conflitti per il lavoro, il reddito, la casa, la salute, l’ambiente, i beni comuni, possiamo aggredire la Troika dai molti sud d’Europa. E sia chiaro: in questo metodo non vi è spazio per le territorializzazioni politiche che insistono su un passato sovranista e stato-nazionalista; né tantomeno scorciatoie di partiti e soggettività politiche che presentino pacchetti preconfezionati o perfino anacronistici, poiché la sollevazione per la casa, il reddito e la dignità, inaugurato il 19 ottobre scorso, conferma appunto quel metodo: insistere nelle lotte che muovano dai bisogni e dai desideri delle classi subalterne, e non da élite politiche barcamenanti con destrezza tra campi istituzionali e campi dell’ “alternativa”. Affrontare e costruire la primavera che viene con questa consapevolezza può significare mettere alla prova una generazione forse già europea, globalizzata e migrante, facendo della sua “transnazionalità” il nuovo spazio nel quale organizzarsi e riconoscersi? É possibile scommettere sulla necessità di dar vita a mobilitazioni direttamente europee che da condizioni e obiettivi comuni sappiano accumulare la forza necessaria a individuare e immediatamente fronteggiare il nemico e, allo stesso tempo, e ad affermare il proprio desiderio rivoluzionario di costruire un’Europa delle lotte e del comune? Da queste domande muoveranno i nostri ragionamenti collettivi.
*programma in aggiornamento*
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