IL CALCIO STORICO ED I SUOI NEMICI
da cortocircuito – arresto di sistema – Sono passate ormai alcune settimane dalla inqualificabile decisione presa dal neo-eletto sindaco Dario Nardella di non far disputare la finalissima del calcio storico in programma, come da tradizione, nel tardo pomeriggio di San Giovanni, causa, almeno a suo dire, gravi rischi per l’ordine pubblico. Al riguardo, nonostante non avessimo in precedenza preso alcuna posizione pubblica, ci teniamo subito a precisare che l’annullamento del torneo voluto dal braccio destro di Matteo Renzi resta per noi una ferita aperta. Anzi, apertissima. Le ragioni di questa nostra perdurante incredulità per quanto stabilito dall’amministrazione comunale rientrano in quel nuvolo di sconcerto e rabbia che i tanti profili virtuali di appassionati e tifosi hanno doviziosamente descritto, spesso anche con accenti ironici e sarcastici, nelle passate settimane. Non vogliamo però ripetere qui una storia già ampiamente nota alla cerchia di cultori del calcio storico e che, allo stesso tempo, rimane poco interessante per chi, dell’evento, farebbero tranquillamente a meno. In realtà, se scriviamo queste brevi note è proprio perché pensiamo che la decisione assunta dal sindaco Nardella riguardi non solamente chi con orgoglio ricorda il valore storico per la città della partita giocata nel 1530 dai nostri antichi avi a scherno delle truppe assedianti la città, ma anche chi considera la manifestazione una sterile sfilata di aggressività e virilità. Infatti, le trasformazioni che ha subito negli ultimi anni il calcio storico, e quelle ancora più gravi alle quali va pericolosamente incontro, sono una straordinaria lente per comprendere il carattere iper-liberista del partito di Matteo Renzi. Quale sia il valore del calcio storico per il Partito Democratico è stato esplicitato, senza possibilità di fraintendimenti, dalle poche parole rilasciate proprio da Dario Nardella ad Rtv 38 nei minuti che precedevano l’inizio della prima semi-finale. Nardella considera infatti l’evento come un semplice e mero strumento per diffondere l’immagine di Firenze, vero e proprio brand da vendere per attrarre turisti ed i loro profumatissimi soldi. La storia non è nuova. Già in passato, proprio sulle colonne non cartacee di questo sito, abbiamo sottolineato come, all’interno di questo sistema di produzione, qualsiasi cosa, materiale e persino immateriale, sia necessariamente una merce. Non sarebbe quindi logico aspettarsi che il calcio storico possa essere risparmiato da quell’ampio processo che mira ad estrarre generico profitto, o più specificatamente valore, da qualsiasi attività, sia questa produttiva oppure ludica. Qui però, per l’amministrazione comunale è storicamente sorto un problema di non facilissima soluzione. Se infatti affittare i ponti più famosi della città per cafone cene mondane oppure concedere come location esclusiva per il matrimonio di qualche iper-miliardario straniero ville e palazzi è alquanto semplice, più difficile è rendere un gioco considerato da molti eccessivamente maschio il trait d’union tra la Firenze rinascimentale e quella attuale. L’obiettivo, spesso anche mal celato, delle ultime amministrazioni è stato quindi quello di smorzare quegli aspetti ritenuti di eccessiva aggressività del gioco per rendere il calcio storico un rugby leggermente più vivace. Tale finalità è stata perseguita attraverso un severo inasprimento delle sanzioni disciplinari verso i calcianti ritenuti responsabili di scorrettezze e soprattutto con l’obbligo di fronteggiarsi esclusivamente in duelli testa a testa. L’effetto desiderato è stato però clamorosamente mancato, visto che l’assenza delle cosiddette risse, spesso create ad hoc per attaccare l’avversario con la palla sul lato opposto, ha fatto perdere profondità al gioco, esaltandone invece la dimensione di orizzontalità con due linee di pugili schierate una di fronte all’altra. Adesso, come nella miglior tradizione italica, il Comune dopo aver creato il problema, sia attraverso una profonda snaturalizzazione del gioco sia attraverso la scellerata decisione di non far disputare la finale, si dice disposto a perseguire ogni azione utile per ridare credibilità al calcio in costume. Quanta ipocrisia e falsità vi sia in tutto questo lo si può facilmente intuire dalle parole di Dario Nardella, nato e cresciuto a Torre del Greco, che parlando nel corso del Consiglio Comunale di lunedì scorso ha voluto ricordare che “non è possibile vedere sul campo così pochi fiorentini”. E allora delle due l’una: o si è fiorentini per nascita e quindi Nardella è il classico bue che dice cornuto all’asino; oppure si può essere anche fiorentini per adozione perché con i propri comportamenti ed atteggiamenti si incarna lo spirito della città ed in tal caso il Sindaco ha ancora molto da imparare da qualche storico calciante non nativo della città di Dante. Il resto è il solito moralismo strisciante e nauseante targato Partito Democratico.
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