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In Cile, l’affare forestale dietro gli incendi

Pablo Torres

Nel maggiore disastro forestale della sua storia, secondo quanto dichiara il medesimo governo, nelle ultime settimane il sud ed il centro del Cile hanno vissuto una immensa devastazione e tragedia nelle case. Con più di cento punti attivi, ripartiti in sette delle quindici regioni del paese, gli incontrollabili incendi hanno messo fine a 519 mila ettari.

Attualmente si riportano 51 sinistri che sono stati controllati, 59 dove si lotta e 8 sono stati estinti. Questi incendi hanno spianato una superficie colpita di 396.089 ettari.

Il Ministero degli Interni e della Sicurezza Pubblica (Onemi) del Cile ha riportato che gli incendi forestali hanno lasciato 1.343 persone negli alberghi, 2.970 danneggiati, 1061 abitazioni distrutte e undici persone morte. Viene mantenuto lo stato di calamità nel comune di Valparaíso, Regione di Valparaíso, nelle provincie di Colchagua e Cardenal Caro nella Regione di O’Higgins e nelle regioni del Maule, Biobío e La Araucanía. La presidente Bachelet ha dichiarato “stiamo facendo il possibile”.

L’affare forestale dopo l’ondata di incendi

L’ondata di incendi che sta colpendo la zona centro-sud del paese ha le sue radici in una struttura produttiva e in una formazione sociale al servizio dei grandi monopoli. Non sono naturali: il grande affare forestale ha trasformato il bosco umido nativo in boschi con piantagioni che li seccano come il pino e l’eucalipto.

Nel 2014 si è vissuto il peggiore incendio della storia di Valparaíso. Con fiamme di 7 metri, in tre giorni più di mille ettari sono bruciati, più di 2 mila case sono state distrutte e ci sono stati 15 morti. Gli incendi forestali, che sono “ricorrenti” nei periodi estivi, sono aumentati con una rapidità e intensità impressionanti negli ultimi anni.

Questo risponde a vari fattori: il cambiamento climatico globale, prodotto in gran parte dall’acuta contaminazione e dal saccheggio delle risorse da parte delle imprese, è uno di quelli centrali. Stiamo sperimentando temperature sempre più alte a ritmi più accelerati. Uno dei suoi effetti, questa ondata di calore che si vive quest’estate. Un’altra causa strutturale: è la trasformazione, o distruzione, del bosco umido nativo in una grande piantagione secca di pini ed eucalipti. Siccità e mancanza d’acqua in zone storicamente ricche d’acqua, con crescenti periodi di scarsezza idrica che sono stati provocati dalla massificazione delle monocolture di pini ed eucalipti e la distruzione del bosco nativo.

L’affare dei boschi appartiene a due grandi famiglie

Questa è l’attuale configurazione dei “boschi” in Cile: un 75 per cento delle piantagioni sono di pino radiata, un 15 per cento di eucalipto, e solo un 10 per cento è nativo. Il predominio dei pini e degli eucalipti produce un’enorme siccità nella zona, poiché con questo tipo di piantagioni si mette fine all’umidità e all’acqua a seguito dell’enorme assorbimento di questa da parte di questi alberi. Seccano il territorio, distruggono le piante, con un enorme pascolo secco suscettibile ad ogni tipo di incendi.

Il Decreto Legge 701 dell’anno 1974, della dittatura, mantenuto fino ad ora (con parziali modifiche) conosciuto come legge per “l’incentivo forestale”, sussidia con il 75 per cento delle risorse le piantagioni di monocolture di Pini ed Eucalipti. Lo stato, che fissa un valore di costo della piantagione di alberi relativamente alto, insieme a questo “sussidio” alle imprese, promuoveva la graduale distruzione del bosco nativo con piantagioni di pino ed eucalipto redditizi per l’affare forestale.

È stato tale l’impatto di questo regalo dello stato alle imprese che hanno cominciato a sterminare il bosco nativo. Quando non era possibile tagliarlo, molti quello che facevano era incendiarlo. Sono innumerevoli gli incendi per produrre piantagioni redditizie di pino ed eucalipto. Solo nel La Araucanía sono stati persi più di 300 mila ettari di bosco nativo. La modificazione della struttura e della matrice produttiva e della vegetazione naturale è impressionante: il bosco cileno si è trasformato in una grande piantagione secca per promuovere l’esportazione forestale di un affare milionario (senza considerare la distruzione per l’uso di pesticidi, erbicidi e fungicidi).

È stata soprattutto l’appropriazione di enormi estensioni di territorio nazionale a favore di due grandi monopoli: CMPC, della famiglia Matte, e Bosques Arauco, del gruppo Angellini. Ambedue le imprese controllano il 70 per cento dell’affare forestale. Insieme possiedono più di 2 milioni di ettari: Matte 750.000, Angellini 1.200.000. Sostenute con il saccheggio del popolo mapuche, le cui diverse comunità non raggiungono nemmeno il mezzo milione di ettari. Un saccheggio totale.

Mentre il gruppo Matte (Bernardo, Patricia ed Eliodoro) accumula una fortuna di quasi 7.000 milioni di dollari e il gruppo Angellini circa 2.300 milioni di dollari, nelle zone forestali, con una presunta abbondanza d’acqua, ci sono 100.000 persone senza accesso all’acqua potabile, “diritto” accessibile solo mediante camion cisterna, e la povertà (“ufficiale”) è maggiore alla media nazionale: nel Cautín è del 25 per cento e nel Malleco del 35 per cento.

Uno stato al servizio dell’affare forestale

Perché non abbiamo questo aereo cisterna con una capacità di più di 10 mila litri? Perché non investire di più in aerei e brigatisti? Sono domande ricorrenti di fronte alle critiche per la situazione critica, non controllata dal governo.

Sono domande che nonostante ciò non attaccano la radice del problema. Ci sono numerosi problemi “tecnici”: gli aerei (e le discussioni su se sono necessari, se la loro capacità sia ottimale per pianure come quelle del Cile, se c’è capacità di infrastrutture, ecc.); il problema dei tagliafuochi (piccoli) e l’utilizzo di macchine pesanti per questi; l’uso di prodotti chimici (più cari) per sconfiggere il fuoco; meccanismi di prevenzione come un’altra pianificazione urbana, ecc.

Ma il problema va molto più in là: è uno stato al servizio del capitale; un apparato politico, legale, giudiziario, poliziesco e militare che è stato al servizio (“attraverso la ragione o la forza”) della grande proprietà forestale, che ha beneficiato grandi famiglie a costo dell’impoverimento dei popoli limitrofi; del super-sfruttamento degli operai forestali che subiscono salari da fame; della spoliazione del popolo mapuche; messo al limite della distruzione della natura, delle risorse idriche e delle grandi risorse del paese, accelerando la contaminazione che danneggia il popolo lavoratore.

Non si tratta di aumentare le risorse alla CONAF, che è una compagnia di diritto privato con risorse pubbliche; anche se senza dubbio molte più risorse devono esserci per gli incendi (solo per “controllo di incendi” la spesa pubblica è la terza parte degli stanziamenti della Camera dei Deputati).

Insieme ad un piano nazionale di emergenza, imponendo grandi tributi alle imprese per affrontare le catastrofi, impiegando migliaia di brigatisti con buoni salari e senza precarietà, e un immediato piano di prevenzione, elaborato dai lavoratori guidati dai sindacati della CONAF e cercando la solidarietà dell’insieme del popolo; bisogna lottare per un piano che contempli prima l’immediata abrogazione del DL 701 dell’affare forestale della dittatura, bloccando le piantagioni; la creazione di un ente pubblico forestale come hanno richiesto i sindacati dei brigatisti della CONAF (che mettono il corpo in questi incendi) mettendo fine alla precarizzazione lavorativa di migliaia di brigatisti che mettono il corpo; e di mettere fine all’affare di Matte e Angellini nazionalizzando i più di 2 milioni di ettari che oggi sono nelle loro mani; e che i sindacati, le comunità mapuche e le popolazioni ne prendano il controllo, affinché si possa pianificare in modo auto-organizzato e indipendente la produzione forestale tracciando il cammino transitorio verso il recupero del bosco nativo perduto in mano agli impresari. Parallelamente a queste azioni ci deve essere la restituzione delle loro terre ancestrali alla Nazione Mapuche, giacché il recupero dei boschi nativi è un compito comune di lavoratori e mapuche.

Un’Assemblea Costituente Libera e Sovrana, promossa dalla mobilitazione e dall’organizzazione dei lavoratori e del popolo deve discutere e mettere in scacco tutte queste regole del gioco che hanno protetto i pilastri dell’eredità della dittatura. Solo un Governo dei lavoratori garantirà la vera fine dell’affare forestale liquidando la proprietà privata sui boschi e metterà tutte le risorse del paese nella mani del popolo intero sotto il suo controllo, suggellerà l’alleanza con la nazione mapuche e metterà nuovamente in piedi migliori condizioni ambientali per tutto il popolo e per il recupero dei boschi nativi e dell’habitat.

Chile Incendio 4

foto: Infobae / Reuters / AFP 

Testo pubblicato su La Izquierda Diario del Cile

30 gennaio 2017

 

da: comitatocarlosfonseca.noblogs.org

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