La collaborazione tra servizi segreti turchi, greci e CIA
L’arresto nel 2011 di quattro turchi fuggiti dalla Turchia per motivi politici in un appartamento di Ghyzi dopo la “rivelazione” dell’esistenza di un intero arsenale, quello quasi in contemporanea di un’altra turca a Creta e di altri tre turchi (in momenti diversi) che sembra fossero coinvolti con l’esplosione nell’appartamento di Triandria [Salonicco, n.d.t.] fanno parte di un’impressionante operazione delle autorità greche, operazione in cui sembrano siano state coinvolte in maniera più o meno evidente i servizi segreti turchi [MIT, n.d.t.], la CIA e altri servizi di sicurezza statunitensi.
A quanto pare i turchi, per non ostacolare il ritorno di Anghelos Filippidis e per facilitare le investigazioni, hanno contrattato con le autorità greche per il rimpatrio di tutti i ricercati dalle autorità turche in Grecia per terrorismo (tra virgolette o meno). La prova è la richiesta presentata dalle autorità turche a metà gennaio per l’estradizione del turco Sinan Ozen, detenuto nel carcere di Korydallòs, arrestato nel luglio scorso sull’isola di Chios per il suo coinvolgimento nel trasferimento di armi ed esplosivi verso le coste turche.
In base alla richiesta di estradizione effettuata dall’Interpol della Turchia, Sinan Ozen è imputato per aver fatto parte dell’organizzazione terrorista di estrema sinistra “Partito – Fronte Rivoluzionario Popolare di Liberazione” (DHKP-C). Sul gommone che portava le armi tra le isole di Oinousses e Chios sono stati arrestati anche il 34enne Mehmet Yayla (a quanto risulta ci sono prove che dimostrano la sua presenza nell’appartamento di Gkyzi) e Hasan Biber, di 55 anni. La Corte Suprema ha respinto nel novembre scorso la richiesta di una loro estradizione in Turchia. Sul caso di Chios è dimostrato il coinvolgimento statunitense nelle investigazioni, visto che all’inizio di dicembre ufficiali dell’ FBI hanno interrogato nel carcere di Korydallòs i tre turchi detenuti e i due greci arrestati, che sono tuttora in carcere in via preventiva.
L’ “interesse” americano nei confronti di quanto sta accadendo tra la Grecia e la Turchia è spiegato dal fatto che DHKP-C ha rivendicato l’esplosione presso l’ambasciata statunitense ad Ankara. Dopo l’arresto dei quattro nell’appartamento di Gkyzi, alcuni articoli di giornali turchi riferiscono che l’operazione è “riuscita” in seguito alla collaborazione tra i servizi segreti greci con la MIT turca e la CIA, e lasciano trapelare la notizia che i quattro arrestati sono stati interrogati sul territorio greco da un gruppo di cinque persone della MIT, dell’ FBI e della CIA ad Atene.
“Buchi” procedurali
Ma l’Antiterrorismo sostiene che le cose siano più semplici. Il cinque del mese arriva ad Atene Anghelos Filippidis: più o meno in quel momento arriva una “chiamata anonima al Servizio” in cui vengono segnalati…dei movimenti sospetti in via Ghennadiou a Gkyzi. Per alcuni giorni il palazzo viene sottoposto a sorveglianza e il 10 febbraio vengono arrestati i quattro e scoperto un intero arsenale. Un kalashnikov, due mitragliatrici (una Scorpion e una Mini Uzi), tre pistole, un silenziatore, sei chili e mezzo di dinamite, due granate F1 e molte munizioni, insieme a computer, berretti con l’emblema del DHKP-C, ecc.
Tale è stata la….gioia per il successo dell’operazione antiterroristica che gli agenti “si dimenticano” di redigere i necessari verbali di perquisizione, ritrovamento e confisca del materiale trovato nell’appartamento. I quattro arrestati sono presentati venerdì scorso di fronte al GIP, che non ha potuto far altro che strapparsi i capelli, visto che nel fascicolo non c’è alcun documento ufficiale né alcun rapporto sull’operazione nell’appartamento di via Ghennadiou; solo successivamente è stata inviata in tutta fretta dall’unità antiterrorismo una “nota informativa”, cioè il comunicato stampa presentato pochi giorni prima ai giornalisti.
Non c’era nessun rapporto ufficiale, però in tempi record sono state effettuate le identificazioni ed è cominciata la fuga di notizie. Uno dei quattro arrestati, il 49enne Hussein Tekin, è stato dichiarato capo della “frangia militare” del DHKP-C. Sembra che sia stato trovato del suo materiale genetico sulle armi confiscate sul gommone di Chios, ed è stato lui stesso ad aver affittato l’appartamento a Triandria ! Il 49enne, che ha già scontato una pena di 13 anni in Turchia, dopo la sua scarcerazione, secondo i documenti delle autorità turche, ha trovato rifugio prima in Siria e poi in Grecia.
Una sfilza di arresti
A parte gli arresti di Gkyzi, in queste ultime settimane si nota ancora un’inaudita attività dell’unità antiterrorismo contro i presunti membri del DHKP-C.
All’alba di venerdì, poco prima che i quattro venissero portati di fronte al GIP ad Atene, è stato arrestato a Salonicco Cetin Hasan, accusato di essere coinvolto nell’esplosione a Triandria nell’ottobre 2011, quando rimase ucciso un turco.
Per aver fatto parte del DHKP-C sono imputati altri due turchi, Mehmet Yaman e Kadir Kaya, arrestati il 22 gennaio a Salonicco in base a mandati di cattura internazionali.
L’8 febbraio è stata arrestata ad Iraklio la curda Kozan Nihayet, in seguito ad attuazione del mandato di cattura internazionale. Attualmente è detenuta nel carcere di Neapoli Lasithi, in attesa del processo in cui si deciderà sulla sua estradizione o meno in Turchia.
I sequestri di persona
Una simile iperattività delle autorità greche è stata documentata quasi un anno fa, subito dopo l’incontro tra Samaràs e Erdogan e l’”assemblea comune dei due consigli ministeriali” il 5 marzo 2013 a Istanbul e gli insistenti articoli sui giornali turchi che parlavano dell’addestramento di “terroristi” turchi e kurdi in Grecia.
Il 21 marzo è stata arrestata Gionul Yilmaz, rifugiata politica turca che ha passato gli ultimi 15 anni in Grecia, in base a un mandato di cattura internazionale. Questo arresto è stato seguito dai fermi di 12 rifugiati politici turchi e kurdi nella zona di Exarchia che sono stati rimessi poi in libertà.
L’avvenimento più importante però è il sequestro di persona del perseguitato politico turco Bulut Yayla (aveva richiesto l’asilo politico il 20 maggio 2013) il 30 di maggio a via Solonos: il giorno dopo si sarebbe consegnato alla polizia di Edirne in Turchia e il primo giugno è entrato in carcere a Istanbul. Com’è stato rivelato da un documento dell’unità antiterrorismo del generale Al. Tzoìtis diretto alla Procura di Atene, il turco è stato rapito al centro di Atene da una macchina con targhe della Sicurezza Statale.
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